È del 6 febbraio il tweet del segretario di Stato USA Marco Rubio che annuncia la sua assenza al G20 del 22 novembre in agenda a Johannesburg. 3 giorni prima il magnate Elon Musk aveva incontrato il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa, firmatario di una legge che consente allo Stato la confisca di terre senza che avvenga una compensazione nei confronti del proprietario terriero. Sempre del 3 febbraio la notizia della minaccia di Trump di sospendere i finanziamenti al Sudafrica in risposta al presunto razzismo verso i bianchi della proposta di legge in questione. La legge in teoria consente di confiscare la terra solo se giusto ed equo verso l’interesse pubblico, definendo basi e modalità di azione, tra cui la negoziazione di un accordo col proprietario prima di procedere con l’esproprio. La ragione, sostiene Ramaphosa, sarebbe principalmente di promuovere l’accesso alle risorse naturali e favorire l’inclusione di quelle etnie non titolari, così pare, di sufficienti diritti: infatti, la maggior parte delle terre in Sudafrica appartiene tutt’oggi alla minoranza bianca.
I veri scopi appaiono diversi. Secondo i contestatori, infatti, la proposta di legge avrebbe conseguenze favorevoli nei confronti della sola leadership del Paese e non andrebbe in alcun modo a risollevare la disastrosa situazione socioeconomica in cui riversa la popolazione: disparità di ricchezza, altissimo indice di disoccupazione e criminalità dilagante (il Sudafrica è terza nazione al mondo per omicidi su numero di abitanti); inoltre l’attuazione della proposta fornirebbe al governo più terra da vendere alle multinazionali e ciò alimenterebbe il tremendo tasso di corruzione, rivelandosi in sostanza un modo reperire fondi a seguito della crisi post Mandela, a discapito del benessere nazionale.
Cyril Ramaphosa è leader dell’African National Congress, storico partito di cui è emblema l’ormai defunto Nelson Mandela. Dopo la presidenza Mandela fu il turno di Thabo Mbeki, il quale adottò politiche ultraliberali che portarono di fatto a una sospensione delle svolte sociali intraprese dal suo predecessore. Successivamente a Mbeki, toccò poi a Jacob Zuma dirigere le redini del partito, e del Governo, dal 2009 al 2018: sotto di lui la corruzione in Sudafrica dilagò, essendo lui stesso oggetto di settecento capi d’accusa ad essa relativi; inoltre durante la sua presidenza avvenne una crisi di governo che mise in risalto l’egemonia oligarchica della famiglia indiana Gupta sulla politica locale, nata grazie al precedente ordinamento filobritannico (il clan Gupta dopo aver egemonizzato l’industria tecnologica grazie alla loro Sahara Computer ha poi abbandonato l’economia sudafricana per dedicarsi ai mercati di Svizzera ed Emirati).
Ramaphosa assume la presidenza del Sudafrica nel 2018. Contestualmente ha acquisito rilievo il partito MK (uMkhonto we Sizwe), dello stesso Jacob Zuma, attuale leader dell’opposizione schieratosi contro la firma del progetto di legge. L’ideologia politica di MK è basata su una iper-pragmatica politica anti-foreigner in realtà facente leva sul populismo degli autoctoni che sognano la cacciata dei boeri, ma i quali sono a loro volta divisi tra loro per via dei conflitti tribali presenti soprattutto nella zona orientale del Paese: ironico, quindi, che siano essi contrari ad una proposta di legge definita dal segretario Rubio “antiamericana”.
Per quanto riguarda la minoranza bianca, le ripercussioni verso il disegno di legge sono ovviamente legate alla minaccia del suo patrimonio terriero che, come già detto, è ancora in gran parte un’esclusiva, uno strascico dell’apartheid: all’interno dei gruppi etnici olandesi, concentrati attorno a Città del Capo e nella zona occidentale e settentrionale del Paese, è presente una forte identità boera, nutrita dai crescenti crimini dei nativi nei confronti degli Afrikaner causati da rancori duri a morire; forte di questa situazione è Fredoom Front Plus, partito con tendenze verso il suprematismo bianco. Testimone della disunità identitaria del Sudafrica è la crescente fondazione ed espansione di comunità, ormai molte delle quali vere e proprie città, destinate esclusivamente ai bianchi.
Ciò che conta veramente, più che l’effettiva distribuzione etnica degli omicidi o qualsiasi altro dato oggettivo, è la percezione: è quanto afferma l’accademico Federico Benini. E finché i vari gruppi etnici percepiranno l’altro come minaccia alla propria sopravvivenza, e ogni lupo travestito da agnello in politica avrà modo di sfruttare la situazione per tirare acqua al proprio mulino, continueranno ad alimentare il circolo vizioso a cui il Paese è ormai costretto, da cui traggono beneficio solo pochi oligarchi.