Guerre puniche a parte lo hanno accusato di tutto. Tanto che fino a qualche anno fa il nome di Giulio Andreotti, sovrastato da soprannomi tanto sinistri e suggestivi quanto equivoci e fuorvianti, non sembrava più quello di un protagonista della nostra storia repubblicana, bensì quello di una suggestiva maschera del Potere. Complice, del resto, una rappresentazione figlia più di una certa tendenza al mito, alla mitomania, alla dietrologia del nostro circuito mediatico, più che della storia, delle fonti, dei documenti. Sembra quindi giunto il momento per una ricostruzione e contestualizzazione, tanto severa quanto imparziale, della vera vicenda personale e politica di Giulio Andreotti e soprattutto di quella della cosiddetta Prima Repubblica. Con i suoi errori, ma anche i suoi meriti. Non per cedere a nostalgie o idealizzazioni, ma per storicizzare finalmente l’opera e il pensiero di una figura che ha incarnato nel mondo il nostro Paese in anni complessi. È questo anche lo scopo che muove l’azione di Stefano Andreotti (tra i quattro figli del Divo Giulio), che insieme a sua sorella Serena, sta promuovendo l’approfondimento delle carte dell’archivio Andreotti e la pubblicazione dei diari del padre (di cui è uno dei curatori) tra cui i “Diari segreti” e i “Diari degli anni di piombo” (Solferino). Manager di successo alla Siemens, grande giocatore di calcio, tifoso sfegatato della Lazio, e acuto osservatore del panorama politico, Stefano Andreotti è una figura ricca di riserbo e acume, simpatia e garbo. Un testimone della storia repubblicana che ha potuto osservare le evoluzioni del nostro panorama politico da una angolatura privilegiata in grado di aiutarci a capire meglio la figura di suo padre e di quel mondo istituzionale “visto da vicino”.
-Chi è Stefano Andreotti, visto da vicino?
Non è mai semplice descriversi o, peggio, definirsi. Forse però se dovessi trovare una sintesi le direi che sono “una persona normale”. Perché in fondo ritengo di aver avuto, sia grazie alla mia famiglia, sia per le mie scelte personali, la fortuna di vivere una vita normale nonostante tutto. Sono, infatti, uno dei quattro figli di una famiglia, direi, “tradizionale”. Venuta su con un’educazione cattolica. Con un padre che era occupatissimo per la sua attività politica (di cui però eravamo tutti orgogliosissimi), e quindi viveva la famiglia con dei tempi molto ristretti. Anche se compensava poi con l’interesse, l’impegno, l’attenzione, quello che non faceva in casa. E con una madre invece che ha fatto un po’ da capofamiglia. Mia mamma era, infatti, una professoressa di lettere che poi lasciò l’insegnamento per dedicarsi a noi, per le motivazioni che ho evidenziato. Entrambi i miei genitori hanno inoltre sempre tenuto a regalarci un’infanzia normale e serena. Siamo cresciuti, infatti, con tanti amici di ogni tipo, di ogni genere, abbiamo studiato tutti nelle scuole pubbliche, tutti quanti siamo per fortuna andati molto bene negli studi e abbiamo tutti fatto il classico. Eravamo quindi una famiglia normale, che per fortuna era molto unita e serena. Poi dopo la maturità proseguii gli studi…
-Che percorso scelse?
Feci giurisprudenza. Non con l’idea di fare poi l’avvocato, ma per avere un bagaglio capace di ampliare le mie possibilità lavorative e professionali. Finiti gli studi, però, quasi per una casualità, ho accettato la possibilità che mi veniva offerta da un amico di andare a fare un periodo di apprendistato in una grande azienda, la Siemens. Una multinazionale tedesca che è presente in tutto il mondo e è presente molto fortemente, anche se allora più di oggi, anche in Italia. Ci sono poi rimasto più di 40 anni, occupandomi un po’ di tutto e dopo alcuni anni sono diventato responsabile della sede romana e delle filiali, la cui sede italiana è a Milano. Svolgendo attività che riguardavano a tutto tondo quello che era il mondo dell’azienda: rapporti con l’esterno, rapporti istituzionali, rapporti con i clienti, con i fornitori, il lato fiscale, il lato legale che era un po’ l’origine dei miei studi, la gestione del personale, della comunicazione, della pubblicità. Mi occupai un po’ di tutto in quella esperienza, e se devo essere sincero fu una scelta di cui sono stato molto felice perché in Siemes sono stato molto bene. Altrimenti non ci sarei rimasto per più di 40 anni.
-Da giovane, invece, quali erano i suoi sogni, le sue ambizioni, i suoi progetti? Chi era il giovane Stefano Andreotti, invece?
Certamente ho amato molto quello che ho fatto, per fortuna. Anche perché è un lavoro che mi ha portato a contatto con tante persone. A me è sempre piaciuto, infatti, avere confronti con l’esterno, non fare un lavoro da scrivania o meramente d’ufficio. Bensì un lavoro che mi permettesse di avere tanti contatti con il mondo esterno e poi anche, chiaramente, di seguire le mie passioni. L’amore per lo sport, sia praticato che visto, e un po’ anche l’amore per i viaggi.
-Parlando di sport, lei è un tifoso della Lazio.
No, attenzione, io sono un “malato della Lazio”, come amo definirmi.
-A tal proposito ho scoperto che lei è diventato tifoso della Lazio a quattro anni; quindi, io le volevo chiedere come è diventato tifoso e poi malato della Lazio e come questa vocazione, è stata vissuta in famiglia, soprattutto con un padre di un’altra squadra…
Scherzando, quando mi chiedono come sono diventato laziale, gli dico “perché è l’evoluzione della specie” … Però questa è ovviamente un po’ una stupidaggine, una battuta. In realtà sono diventato laziale perché andavo allo stadio con un cugino che lo era moltissimo e ho preso da lui la passione per il calcio e per la mia squadra. Il calcio mi è piaciuto moltissimo, in generale sin da piccolo. Ci ho giocato per molto tempo. E nonostante, abbia più di 70 anni, fino a pochi anni fa giocavo ancora a calcetto. Adesso che ho molto più tempo libero, seguo la Lazio anche in un modo un po’ più eccentrico o diverso rispetto al passato, partecipando anche a tante trasmissioni. Mio padre poi era romanista, però lo era, in un modo un po’ meno attivo di quanto lo sono io.
-Non era “praticante”?
Un pochino sì. È stato però sempre molto aperto e tollerante. Ricordo che spesso andavamo allo stadio anche assieme. Ai tempi si poteva, oggi, purtroppo, è diventato tutto molto più difficile, perché negli stadi ci sono tanti problemi. E andavamo anche tante volte a vedere sia le partite della Lazio che quelle della Roma. Anche se ciò avvenne soprattutto negli anni 60. Poi mio padre scelse di non andare più allo stadio, dato che il momento che dedicava di più alla famiglia era proprio la domenica pomeriggio, nella sua vita professionale consegnata solo alla sua attività politica. Ed a mia madre, il fatto che babbo andasse a vedere la partita la domenica pomeriggio con me e togliesse anche due o tre ore di quel poco tempo che dedicava alla famiglia per andare allo stadio, era una cosa che non piaceva. Anche giustamente. Quindi ci andammo successivamente in maniera molto sporadica. Poi con l’arrivo del terrorismo, negli anni 70, dato che andare allo stadio significava mettere a rischio la nostra famiglia e quelle dei tanti poliziotti che lo accompagnavano come membri della scorta, decise di non andarci più. E quindi successivamente seguì il calcio ogni tanto dalla poltrona, anche se neanche troppo spesso.
-Invece Enzo Biagi racconta che i grandi interessi di suo padre fossero oltre allo sport, i gialli, l’ippica e il cinema…
L’ippica soprattutto è stata veramente la sua grande passione. Mio padre ogni volta che poteva andava a vedere le corse a Roma, allora c’era sia Capannelle che Tor di Valle, ma anche nel mondo quando ha potuto, ha sempre seguito il mondo dei cavalli. Pensi che una volta ha “costretto” l’allora presidente francese, che odiava da quello che sapevo le corse di cavalli, (malgrado in Francia siano uno degli sport più diffusi) a vedere per benevolenza nei confronti di mio padre, il Prix de l’Arc de Triomphe. A testimonianza che dovunque c’era una corsa lui ci andava. Poi sì amava, al di là delle letture che faceva di argomento politico, molto i gialli.
Per esempio, ricordo che faceva abbonare mia nonna al Giallo Mondadori, che non so se esiste ancora, che era un libricino quindicennale, di cui leggeva spessissimo i numeri. E lo leggeva in un modo stranissimo, perché praticamente a mano a mano che lo leggeva, poi strappava le pagine già lette e le buttava, perché era molto pigro e gli pesava portare anche dei libricini con sé, dei piccoli pesi. Anche se fondamentale la sua altra vera passione fu il cinema.
-Come nacque tale passione?
Il cinema gli piaceva tantissimo e lo ha seguito sin da ragazzo, perché era ad esempio un grande amante di Totò, quando Totò era considerato un po’… non dico il cinema di secondo livello, ma non aveva il riconoscimento critico che ha oggi. E poi questa passione crebbe molto quando dovette approfondire quel mondo anche professionalmente nel periodo in cui ha seguito tutta la rinascita del cinema italiano. Mio padre, del resto, aveva rapporti con tante persone del mondo del cinema, in particolare posso dirle con Alberto Sordi o con Federico Fellini, di cui aveva una grande amicizia. Ma anche con Monica Vitti, con cui ha avuto un grande rapporto.
-Ma è vera la leggenda per cui per quella foto con Anna Magnani, poi sua madre diede se non uno schiaffo, un pizzicotto ad Andreotti?
Un pizzicotto gliel’ha dato sicuramente, ma la cosa fu minima. Allora mio padre, come sottosegretario alla presidenza di De Gasperi, aveva la delega, appunto come ho detto prima, del cinema, e quindi andava al Festival di Venezia. Qualche anno ci andò anche con mia mamma. Un anno invece andò da solo, perché mamma dovette rimanere a Roma, e Anna Magnani lo andò a trovare la mattina in albergo e in quell’occasione scattarono queste fotografie in cui erano sottobraccio. Quando mamma vide le riviste si seccò un attimino, ma si trattava di pochissima cosa. Anche perché c’è da dire che mio padre non ha mai dato grandi problemi di gelosia… Pensi che per togliere ogni possibilità di equivoci o cose del genere, normalmente non prendeva mai l’ascensore con una donna da solo, e quando in ufficio riceveva una donna da sola faceva tenere sempre la porta della camera aperta.
-La figura di Andreotti ha ricevuto anche recentemente una riscoperta per alcuni commenti infelici. Al di là di questi giudizi, su cui lei già si è espresso su molte testate, le volevo chiedere come ha vissuto e come vive quel clima un po’ di mistificazione, di demonizzazione vera e propria che fu fatto e che purtroppo ancora permane verso la figura di suo padre?
Guardi, io come ho detto mi sono occupato di tutt’altro nella vita, e ho seguito la politica, sempre da spettatore. Magari da spettatore con la possibilità di avere una visione un po’ più ravvicinata e chiara sulle cose, ma sempre con estrema distanza. Però da una decina di anni da quando ho smesso di lavorare e sono andato in pensione, mi sto dedicando in particolare con mia sorella Serena a quel mondo. Proprio per chiarire e approfondire la memoria di mio padre. Cercando di ricostruire la figura di nostro padre sì con i ricordi, questo senz’altro, ma soprattutto con i documenti. Di documenti, del resto, ne abbiamo davvero tonnellate, in quanto mio padre ha lasciato un archivio colossale che donò in vita all’Istituto Luigi Sturzo ed è consultabile da chiunque ne abbia interesse. Si tratta del più grande archivio privato che esiste in Italia e soprattutto è l’unico realmente aperto al pubblico proprio per questa idea che mio padre aveva di consegnare tutto quello che era il proprio percorso umano e politico in assoluta trasparenza alla posterità. In modo che chiunque ne abbia interesse possa andare a leggere e vedere quello che realmente ha fatto e detto. Del resto, tante delle storie che si sono raccontate su di lui sono davvero inventate o mistificate ed in troppe occasioni sono state smentite dai documenti e dalle fonti. Quello che stiamo facendo, quindi, è proprio questo, cercare nei limiti del possibile (e non è facile) di controbattere quelle che in tanti casi sono davvero solo dei pettegolezzi o delle narrazioni trite e ritrite, e soprattutto di raccontare una verità storica che molto spesso non si è voluta cercare.
-Mi faccia un esempio
Recentemente è uscito un articolo per un grande giornale sui fascicoli del Sifar del generale De Lorenzo – che furono un grande scandalo negli anni Settanta. E nell’articolo c’era scritto che mio padre da ministro della difesa di allora non solo non aveva fatto incenerire o distruggere i documenti come era stato richiesto da una commissione parlamentare, ma addirittura li aveva consegnati in copia a Gelli… Ciò è falso perché nel 1974 quando mio padre tornò al ministero della difesa per pochi mesi (e successivamente l’hanno praticamente allontanato perché aveva diciamo prestato i piedi a qualcuno di influente) una delle prime cose che fece come ministro quando seppe che i famigerati fascicoli del Sifar erano ancora lì, fu di dare l’incarico (e non se ne occupò direttamente proprio per non creare malintesi) a un sottosegretario di far procedere alla distruzione di tutti i documenti. Addirittura, qualcuno gli venne a proporre di leggere il suo e lui disse, “ma io non voglio leggere quello che hanno fatto su di me: bruciate tutto” … Una testimonianza di una brutta abitudine di un certo giornalismo di rifugiarsi in facili stereotipi e comode narrazioni di cui le ho fornito solo l’ennesimo esempio. Io spero, però, che con il passare del tempo (e un po’ mi pare che questo stia avvenendo) che la cronaca lasci il posto alla storia e la storia significa andare a studiare i documenti (con imparzialità) e non il sentito dire. Magari riuscendo a fare capire forse che tanti dei nodi dell’Italia di oggi vengono fuori dalla grande crisi portata all’inizio degli anni 90 dalla sostanziale distruzione dei corpi intermedi e della classe politica e partitica. E spero che questa storicizzazione non riguardi solo mio padre, ma tutti i protagonisti della cosiddetta Prima Repubblica.
-A tal proposito uno dei lavori che sta svolgendo lei con sua sorella Serena è proprio anche la curatela e la pubblicazione dei diari di Andreotti. Tra cui i “Diari degli anni di Piombo” inediti e “Diari segreti” pubblicati da Solferino…
Si abbiamo per ora pubblicato vent’anni di diari che sono quelli degli anni Settanta e degli anni Ottanta (quelli che l’editore ha ritenuto di titolare “segreti”). Questi sono le annotazioni che mio padre scriveva quotidianamente e soprattutto per sé stesso tanto che in un primo tempo non avrebbe neanche voluto pubblicarli (pensi che aveva lasciato detto di bruciarle una volta che lui fosse morto) poi invece lui stesso ne ha attinto per tanti libri che ha scritto (più di cinquanta). I quali sono principalmente libri di ricordi dove lui attingeva ai diari in cui erano contenute le notazioni che potevano essere utili a lui quando doveva riaffrontare dopo molti anni un argomento, un fatto, un incontro che era avvenuto tempo prima. E credo che la cosa veramente particolare di questi diari sia che non sono un’autobiografia (anche perché le autobiografie molto spesso vengono in qualche modo un po’ sistemate da chi le fa), ma sono realmente le notazioni prese giorno dopo giorno della sua attività politica. Si tratta, quindi di impressioni, schizzi, note sulla sua attività politica in presa diretta senza però filtri, revisioni o ritocchi. Tant’è che ci sono in alcuni casi anche delle inesattezze, portate da notizie che gli erano state date magari in quel giorno ma che non erano veritiere. Emerge poi in tutti gli anni di Piombo la testimonianza personale di un clima cupo chiaramente di tragedia, di sofferenza e di preoccupazione come anche con lucidità la cognizione dei cambiamenti repentini in quelli degli anni 80. E anche per questo credo in futuro saranno una fonte molto importante per comprendere quegli anni.
-In una intervista ha detto che avete espunto dai diari solo la parte relativa alla vostra famiglia. Volevo chiederle quindi quale Andreotti inedito anche per voi emerge da questi diari? E cosa la ha sorpresa?
Credo che la cosa che mi ha più sorpreso (che è stato anche il motivo per cui poi abbiamo iniziato a rimetterli in ordine e appunto per ora pubblicarne un ventennio) è stato notare che anche nei brevi periodi in cui non ha avuto un ruolo di governo, che tutti i giorni incontrava una quantità di persone del mondo della politica sia italiani ma soprattutto esteri, del mondo dello spettacolo, della cultura, dello sport e della finanza impressionante. Cioè, incontrava praticamente tutti i giorni una quantità di gente che lo andava a trovare nel suo studio e la cosa davvero incredibile che io non potevo immaginare ma non avevo mai approfondito è la conoscenza di politica estera e di personaggi del mondo fuori dall’Italia che aveva mio padre. Mio padre praticamente conosceva gli uomini politici di tutto il mondo e con essi aveva rapporti di grande stima e rispetto. Un altro aspetto che mi ha colpito è il fatto che mio padre si sia occupato soprattutto di tutti i paesi in cui c’era una guerra o una tensione particolare al fine di trovare soluzioni diplomatiche e pacifiche. Basti pensare a quello che ha fatto certamente per il Medio Oriente ma questo è avvenuto nella distensione della guerra fredda tra americani e Unione Sovietica dove lui ha comunque avuto rapporti sia da oltre l’oceano Atlantico che con l’oltre Cortina di ferro dall’altra parte, stringendo rapporti con i paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina. Dovunque c’era un qualcosa lui ha avuto rapporti questo mi ha sorpreso davvero e non immaginavo che potesse avere un’attività così intensa anche in paesi incredibili come qualche piccolo paese asiatico o qualche piccolo paese africano. Penso quindi un giorno andrebbe approfondito il ruolo svolto in politica estera da mio padre.
-Un’altra pubblicazione molto più recente è proprio le lettere a sua madre ovvero “Cara Liviuccia. Lettere alla moglie” edito Solferino. Le volevo chiedere quindi che tipo di rapporto lei aveva con sua madre e che invece che rapporto c’era tra Giulio Andreotti e sua moglie Livia Danese?
Loro si sono conosciuti nel 1944 e si sono sposati nel 45 e hanno avuto un matrimonio davvero intensissimo fino a 2013 quando è morto mio padre. Mia mamma come ho detto prima era il vero capofamiglia. Ci ha educato, ci ha fatto crescere, ci ha seguito nelle cose di tutti i giorni e mio padre ha sempre riconosciuto questa funzione e ha ammirato mamma proprio per come lei si è (fino a che noi siamo cresciuti) dedicata alla famiglia. Mia madre è stata sempre l’ancora di salvezza di mio padre: nei momenti belli è stata sicuramente la partner felice, ma anche nei momenti difficili è stata il suo grande faro. Era il suo rifugio, il pilastro della sua vita, la sua migliore amica e la confidente. Con noi figli è stata sicuramente un po’ severa rispetto a mio padre che era con noi di una bonomia senza confini. Questo forse anche per compensare una certa assenza. Se ci penso, devo ammettere che mio padre non ci ha mai detto di non fare una cosa. Ci ha sempre tirato su con un’idea aperta della vita e delle nostre vite. Dicendoci spesso “guarda tu vuoi fare quella cosa, io penso che non sia giusta però se la vuoi fare tu sei padrone di farla”. Mamma, invece, era un po’ più autoritaria anche perché era una donna d’altri tempi, e un po’ più rigida, seppur molto ironica. Però diciamo la nostra è stata una famiglia – come la definiva mio padre – sanamente normale. Pur avendo un cognome importante però abbiamo sempre vissuto come una famiglia qualsiasi con rapporti con tanta gente, con amici di qualsiasi di qualsiasi tipo e siamo stati più o meno come una famiglia qualsiasi famiglia italiana.
-Leggendo le carte che compongono il corpus dei diari e dell’archivio tra cui anche proprio quelle con sua madre ha capito o ha perdonato qualcosa di più di suo padre anche nel vostro rapporto personale?
Io ho avuto per fortuna un rapporto molto aperto con mio padre, anche perché con lui si poteva parlare di tutto. Certo quando eravamo bambini lui cercava di non portare la politica a casa. Però quando siamo cresciuti abbiamo poi parlato un pochino di tutto e ripeto mio padre certo era una persona un po’ diversa da noi perché è di una generazione diversa molto più attaccato alle tradizioni ma con lui abbiamo avuto (io e i miei fratelli) un rapporto straordinario di grandissimo affetto e riconoscimento di quello che faceva. Tra l’altro noi siamo quattro figli e nessuno ci ha mai imposto mai cosa votare, ma tutti noi abbiamo sempre votato alle elezioni per nostro padre. Anche se so che molte famiglie di democristiani invece hanno avuto dei figli che hanno fatto scelte molto diverse… E questo non per obbligo, dovere o familismo, ma perché credevamo in lui, per l’amore nei suoi confronti e per la stima che avevamo per lui e per quello che faceva. Ed è anche per questo motivo che tante cose che vengono dette su di lui sono un motivo davvero di dolore perché, se si conoscesse realmente chi è stato mio padre non inseguendo tante cose che vengono più o meno ripetute da pappagalli mediatici e da parte di qualche capzioso, se ne avrebbe un’idea davvero diversa. Per questo credo che lui si meriti di essere conosciuto per quello che era e non per quello che per alcuni capziosamente rappresentava.
-Come valuta l’utilizzo di una sorta di “misterocrazia” che c’è in Italia? Ovvero questo combinato disposto di stampa, media, e anche un certo mondo editoriale e giudiziario che cavalca questi misteri e molto spesso inquina sempre di più le acque più che trovare verità?
Purtroppo, la stampa e la comunicazione in Italia mi sembra che da tanti anni siano in gran parte schierati tutti in una certa strada… Ciò non stupisce anche perché poi sono e sono stati tutti più o meno su una certa linea a partire dagli anni 80. Allo stesso tempo tale fenomeno non è solo una responsabilità dei media. L’Italia è, per certi versi, il paese dei misteri, della dietrologia, dell’indiscrezione. Ovviamente io non credo che ci siano paesi al mondo che non sono suscettibili al fascino del mistero, del complotto. Però forse l’Italia lo è un po’ più degli altri. Su questa base si inserisce un modo di fare comunicazione che io non condivido, che non va ad approfondire i fatti attraverso documenti reali, ma preferisce le narrazioni o in certi casi delle vere e proprie fantasie. Mi pare però che leggermente, forse, qualcosa stia cambiando. Che da parte di tanti si comincia forse a guardare a tanti aspetti, con uno sguardo un po’ più sui fatti e non sul sentito dire. Però indubbiamente è un fenomeno che soprattutto in Italia ancora oggi persiste.
-Invece, lei, ha mai sentito la tentazione, di seguire quel tipo di percorso politico? E se no, come mai non l’ha mai sentita?
Guardi, assolutamente no, io non ho mai avuto nessuna voglia di fare politica e non l’hanno avuta neanche i miei tre fratelli e io credo che dipenda un po’ dal fatto che di uomo politico a casa già ce n’era uno abbastanza, diciamo, “ingombrante”. Penso che certamente se avessi voluto seguire la stessa strada presentandomi ad esempio alle elezioni politiche non ci sarebbero stati grandi problemi per essere eletto deputato o via dicendo. Allo stesso tempo credo che nella vita però che ciascuno deve fare secondo le proprie attitudini e secondo i propri meriti. Se ho fatto una mia strada professionale, come ho detto prima ho lavorato per più di 40 anni in un’azienda, e seppure non sia diventato il numero uno al mondo, però comunque ho fatto una bella carriera e l’ho fatta con i miei mezzi, non l’ho fatta perché sono figlio di… e credo che questo sia il motivo essenziale per me e i miei fratelli. D’altro canto, mio padre era il primo che ci avrebbe scoraggiato a seguire la strada politica che, invece, lui ha fatto per mille motivi. Ma soprattutto proprio per il fastidio di dover dire, “mio figlio è diventato così perché è figlio mio”. E ciò non ci apparteneva come famiglia perché abbiamo sempre creduto che ognuno deve andare avanti con i suoi mezzi, con i suoi meriti e non per i meriti acquisiti. Però, ovviamente, ci tengo a sottolinearlo, che ho profondo rispetto per quei figli che hanno seguito la carriera paterna anche con risultati straordinari e significativi, scegliendo di seguire un percorso politico.
-Che tipo di rapporto, secondo lei, ebbe Andreotti, con la sua seconda patria di adozione, la Ciociaria?
Beh, lui nonostante sia nato a Roma, era originario di Segni, una cittadina ai limiti della Ciociaria, anche se è provincia di Roma. E proprio la Ciociaria insieme alla provincia di Latina e di Viterbo e a quella di Roma, erano la sua base elettorale.
Lui ha seguito queste zone per un’idea che è un po’ superata, dal mondo di oggi, ma che a mio avviso andrebbe riscoperta. Per mio padre essere deputato voleva dire, infatti, seguire effettivamente il proprio collegio e cercare, con tutti i mezzi possibili, di far crescere questo territorio e io ancora oggi quando vado, in qualche paese soprattutto della provincia di Latina e di Frosinone sento dire che “Andreotti ci ha portato la luce, l’acqua, le case popolari, ha fatto venire qui le industrie”, perché c’era davvero questo rapporto diretto del parlamentare con il territorio. Tant’è che mio padre quando nel 1991 fu nominato senatore a vita dal presidente Cossiga ci rimase malissimo.
-Perché?
Me lo raccontarono i suoi collaboratori. Lui stava partendo in aereo per l’Arabia e fu fatto scendere. Allora i telefonini erano, diciamo, un po’ ai primordi, nei primi anni Novanta.
Fu fatto scendere dall’aereo perché lo cercava con una grande urgenza Cossiga e quando ritornò sull’aereo lo videro buio in volto e gli dissero “presidente che succede… qualcosa di molto grave”. Al che lui disse: “No, il presidente Cossiga mi ha detto che mi nomina senatore a vita”. Erano tutti sbalorditi e gli dicevano “ma come, non è contento?”. E lui disse “no, io non sono contento perché per me la politica è il Parlamento (nel quale lui credeva come cosa più importante della struttura democratica ndr.) e il mio rapporto con l’elettorato, con le persone che seguo”. Per lui il rapporto con i suoi elettori era un rapporto totale. Li conosceva davvero, anche perché aveva una memoria straordinaria ricordava fatti incredibili.
Lui andava in qualche riunione nei comizi e incontrava la gente e chiamava per nome magari persone che aveva visto solo due anni prima, tre anni prima e questo ha creato per lui davvero un rapporto con i suoi elettori straordinario, molto più straordinario di quello poi che ha avuto magari con qualcuno, diciamo, della bella società o dell’alta finanza.
-Parlando proprio di un tipo di politica che si fa sul territorio, all’inglese potremmo dire proprio, quindi distretto per distretto. Oggi come valuta invece l’attuale scenario politico?
È cambiato il mondo, quindi bisogna pure essere onesti, non è che si può dire prima era tutto perfetto, o prima faceva tutto schifo, oggi è tutto perfetto. Ci sono stati dei cambiamenti e sono stati drastici ed estremamente complessi. Io credo che uno dei grandi problemi, comunque, della politica di oggi sia proprio lo svuotamento che è stato fatto del ruolo del Parlamento come organismo nel quale si dovevano dibattere, discutere e decidere le decisioni più importanti del Paese. Certamente mio padre non apprezzava e non avrebbe apprezzato questa politica dell’io, questa politica dell’urlo, questa politica un po’ troppo legata alla persona. Mentre preferiva invece il dialogo e aveva rapporti con tutti quanti, anche con il partito avversario per antonomasia ovvero il Partito Comunista. Questo perché intendeva la vita della democrazia basata sui partiti composti da persone che hanno iniziato a fare vita politica lì dentro, da giovanissimi, facendo la gavetta, lavorando e studiando tutta la vita. Una politica che dietro ha sempre delle voci e delle persone che stanno dietro un parlamentare e che in ogni caso vanno rispettate e ascoltate. Ecco, magari la politica di oggi è un po’ cambiata sotto questo aspetto.
-Chi furono i veri amici o riferimenti di suo padre nel mondo politico? Non i sponsor o i sostenitori, ma amici a livello personale?
L’unica figura che è stata realmente per lui un riferimento, un maestro che lo ha formato e al quale è rimasto attaccato, anche se è morto molto tempo prima, verso il quale lui ha avuto un affetto, al di là della stima, tanto da considerarlo come un secondo padre, (tenendo conto che mio padre rimase orfano a soli due anni) è stato De Gasperi. Certo ha avuto rapporti con tutti i politici di tutti partiti, e ovviamente anche nel suo partito. Però nessuno era per lui come De Gasperi.
-Allora invece da poco è stato pubblicato il primo tomo di cui è uscito anche il secondo, guardi e dopo l’estate uscirà il terzo, l’ultimo, del carteggio appunto con Cossiga. Che ritratto emerge del rapporto tra queste due personalità estremamente diverse per caratteri e temperamenti?
Beh, diciamo sono persone tra loro molto diverse. Cossiga era leggermente più giovane di mio padre, tutti e due vengono dal mondo comunque della FUCI, della Federazione Universitaria Cattolica Italiana e hanno avuto un rapporto importante e che va approfondito per capire l’Italia di quegli anni. In questo senso la pubblicazione curata dal professor Luca Micheletta, che appunto ha raccolto più di 400 lettere, trovate in gran parte nell’archivio di mio padre, è una grande testimonianza degli anni dell’Italia repubblicana. Un carteggio di grandissimo interesse soprattutto perché affronta gli anni in cui mio padre era Presidente del Consiglio e Cossiga Presidente della Repubblica, con lettere dove si affrontano i grandi temi politici, culturali, e di diritto costituzionale. Sono lettere che raccontano soprattutto gli anni delle cosiddette “picconate”, con momenti di confronto, ma anche di frizioni, su questi temi. Il loro fu certamente un rapporto di grande rispetto reciproco e confronto e per certi versi anche di amicizia. Tenga conto che a casa nostra politici ne venivano davvero molto pochi, uno dei pochi che io ho visto più di un’occasione è stato proprio il presidente Cossiga che veniva a trovare mio padre a Ferragosto quando andavamo in vacanza,
-Suo padre venne a mancare a pochi mesi di distanza dall’insediamento di Papa Francesco. Una figura che conosceva anche per la sua conoscenza del mondo Vaticano. Che rapporto c’era tra suo padre e Bergoglio?
In Vaticano non poteva non conoscere tutti, è un po’ come la politica estera, quindi anche Bergoglio. L’ultimo anno di vita di mio padre è stato un anno diciamo molto pesante; quindi, non era così attento a quello che accadeva, nel mondo, tant’è che, quando fu nominato Bergoglio, praticamente mio padre non se ne rese conto. Però con Bergoglio aveva avuto comunque più di un incontro quando era cardinale argentino. Oltre ad aver avuto per tantissimi anni un rapporto di frequentazione con la costola romana di Comunione e Liberazione e in più di un’occasione partecipò alle funzioni anche il cardinale Bergoglio. Io ho delle foto con mio padre che si intrattiene con il futuro Papa Francesco anche perché mio padre era direttore del giornale 30 giorni e su cui sono stati pubblicati più di qualche articolo e intervista fatta da o al cardinale Bergoglio. Quindi ne aveva una conoscenza non straordinaria, ma aveva avuto più di un’occasione per incontrarlo.
-Quali sono i momenti con suo padre a cui si sente più legato?
Ce ne sono stati davvero tanti, però le posso dire che i momenti più incredibili della vita di mio padre sono stati quando ho potuto vedere la gioia che provava quando parlava di due figure che ne hanno davvero segnato per tanti anni la sua esistenza e alle quali è rimasto estremamente legato in modo incredibile, che sono stati Giovanni Paolo II e Maria Teresa di Calcutta, con cui aveva dei rapporti splendidi, speciali. I momenti in cui lo sentivo parlare di questo rapporto privilegiato con loro, che per lui erano veramente due santi, sono stati davvero i più belli. Perché si vedeva negli occhi di mio padre una luce, una felicità, che non ho mai visto in nessun’altra persona. La stessa luce che aveva in modo simile quando parlava di De Gasperi. E quella luce forse è la cosa che più mi manca di lui.
-Che ne pensa di Papa Leone XIV?
Posso dirle la stessa cosa che disse ai tempi dell’elezioni Giovanni Paolo II mio padre rammaricandosi della sua età: “che è il primo pontefice più giovane di me che ho visto”. Anche se al contrario di Bergoglio non credo che mio padre abbia avuto mai contatti con Papa Prevost, mentre conosceva bene il cardinale Parolin e il cardinale Zuppi. Mi sembra, però, Leone XIV un Papa che è stato accolto immediatamente con forte partecipazione ed emozione dei fedeli e questo mi rincuora. Come mi sono piaciuti molto i suoi primi interventi e le sue prime omelie ricchi di profondità, sensibilità e commozione. Ovviamente però è molto presto per dare un giudizio. Però mi sembra un ottimo inizio in questi anni così difficili.