«Purtroppo la storia non conosce progressi lineari e non dispone di un rimedio per tutti i mali dell’umanità. Questo vale particolarmente per un secolo folle come quello che si è chiuso»
– François Fejtő e Maurizio Enrico Serra, Il passeggero del secolo
François Fejtő fu tra i maggiori intellettuali di quell’altra Europa (laica, loica e libera) che difese le prerogative dello spirito critico e della libertà di pensiero in un siecle fou (oltre che siecle de foules) denso di fanatismi e dogmatismi. Storico, politologo, giornalista, saggista, intellettuale, nel suo lungo itinerario culturale Fejtő si distinse come uno dei maggiori conoscitori della storia dell’Impero asburgico, della nascita (e dell’agonia) delle democrazie popolari, dei grovigli balcanici e dei veri nodi dell’Europa orientale. Di cui non fu solo un acuto studioso, ma anche un lucido testimone. “Requiem per un Impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico”, “Giuseppe II. Un Asburgo rivoluzionario”, “Storia delle democrazie popolari”, “Gli Ebrei e l’Antisemitismo nei Paesi Comunisti”, sono solo alcuni dei titoli dei suoi testi più importanti che ancora oggi aprono squarci definitivi sul nostro presente e sui suoi precari equilibri.
Dalla crisi dell’Europa post 1989 ai vizi di fondo delle ricostruzioni degli stati orientali, fino allo studio delle ragioni della crisi della governance euroatlantica: leggendo Fejtő, scomparso nel 2008 dopo una lunga e brillante carriera, ci si trova, infatti, di fronte ad un vero conoscitore degli ingranaggi della storia capace di svelarli e analizzarli in tutta loro complessità e importanza. Per meglio conoscere l’opera, il pensiero e le intuizioni di questo ungherese paneuropeo “imperdonabile” occorre riscoprire un testo come “Il passeggero del secolo. Guerre, Rivoluzioni, Europe” (Sellerio, 2001) scritto da Fejtő e dall’ambasciatore Maurizio Enrico Serra, già ambasciatore e tra i maggiori intellettuali europei. Un’opera che dietro la maschera apparente di “libro-intervista”, si presenta in realtà sia come un “breviario dialogico” – raffinato e suggestivo – di storia politica, culturale e internazionale dell’Europa (e delle Europe) contesa tra guerre, spartizioni e rivoluzioni, che come una sorta di “biografia a due voci del secolo” (e di quel suo passeggero-testimone che fu Fejtő) che apre spunti cruciali sul nostro domani e sul nostro oggi.
Una dimensione dialogico-biografica che oltre che a consegnarci una “guida” e una “esegesi” del corpus intellettuale del politologo ungherese ci mostra soprattutto un profilo globale di Fejtő (e del suo tempo) rivelandone le finezze e il carattere, la visione e la sensibilità. Gli incontri memorabili (da Tito a Mitterand, da Camus a Lukacs) e i momenti più intensi del suo percorso culturale.
Un percorso ben delineato nel saggio introduttivo (“Ritratto di un europeo libero”) dell’ambasciatore Serra (Immortale di Francia all’Academie Francaise, saggista di fama internazionale e già diplomatico di grande carriera e ambasciatore all’Unesco) che riesce a ricomporne il profilo e l’immagine attraverso uno stile tanto narrativo e suggestivo, quanto rigoroso. Serra, infatti, distilla in poche pagine il pensiero, le tesi, le esperienze di questo maestro novecentesco preparando il lettore al dialogo delle pagine successive. Ne emerge il ritratto di un europeo libero la cui vita sembra uscita fuori da un romanzo di Enzo Bettiza, in cui si intrecciano il finis Austriae e la guerra fredda, la zweighiana fine del “mondo di ieri” e l’epopea dei “fantasmi” del Novecento dello scrittore spalatino – con i suoi protagonisti in fuga in un mondo spettrale e fanatico. Fejtő si presenta in questo ritratto come un europeo, “nel senso più zivilisiert del termine” e un “magiaro suddito di Francesco Giuseppe”, con una coscienza orientale e una sensibilità occidentale che però non scade in facili nostalgie e inutili romanticismi. Un profilo che, in molti aspetti, anticipa le migliori pagine di quel corpus biografico – che va da Malaparte a Svevo e Aragon- per cui Serra ha vinto numerosi premi come da ultimo il Premio Prezzolini
Delineando il ritratto di un vero intellettuale antitotalitario e dissidente che ha vissuto traumaticamente la distruzione (e non “dissoluzione” – da qui la differenza rispetto alle riflessioni di Valiani) della vecchia Kakania asburgica e ha compreso lucidamente i pericoli e le ambiguità dei totalitarismi. Un “passeggero del secolo” che viaggiò tra Ungheria, Francia e Italia, da ebreo (cristianizzato) errante, da uomo di frontiera, da cosmopolita volterriano in una Europa posseduta da rivoluzioni nere e rosse, da brutali guerre civili, da divisioni e spartizioni. Un testimone ideale per raccontare una controstoria (o meglio, una “confessione”) del secolo XX; senza omissioni e senza timori.
L’opera in questo senso può essere letta come un “libro-metronomo” (a due voci) del Novecento, in cui il confronto tra Fejtő e Serra ne scandisce, misura e rileva le oscillazioni e le cadenze, più che in un botta e risposta in un duetto intellettuale. Creando una “sinfonia storica” articolata in più “tempi” in cui moralia e memoralia si intrecciano: il “preludio” di una belle époque che racconta gli anni della formazione e il tramonto del mondo asburgico; l’andante funebre della prima guerra mondiale e il canto crepuscolare delle vecchie frontiere; l’intermezzo vivace tra le due guerre in cui si mostra come le ineludibili eredità del Trattato di pace condizionino gli animi dei popoli con spasmodiche fibrillazioni; l’allegro barbaro della seconda guerra mondiale e delle sue discese infernali; l’andante agitato della guerra fredda ad Est quanto ad Ovest; il presto, rubato della caduta del muro. Fino alle conclusioni tra incertezze e speranze in cui le riflessioni dell’autore già prefigurano alcuni cortocircuiti del nostro tempo.
Un viaggio storico narrativo che parte indagando tramite memoria e analisi, ricordo e ricostruzione le tappe della distruzione dell’impero asburgico fino al crollo dell’impero sovietico e le sue eredità. Con il racconto del crepuscolo di una Europa Ville Lumière preda del suo ottimismo borghese, innamorata del progresso, però gravida di guerre e contraddizioni che verrà sepolta dal nazionalismo e dalla pace ideologica di Parigi che segnerà il primo grande suicidio dell’Europa. Sottolineando, oltre alle responsabilità dei residui del vecchio ordine nello scoppio della Prima Guerra Mondiale, le colpe del Trattato di Pace nel generare una nuova concezione della guerra (totale, missionaria) e un successivo (dis)ordine ideologico e instabile.
Fejtő mostra, infatti, quanto il XX secolo che si affermava con la Pace di Parigi sancisse non tanto l’epoca del principio di nazionalità quanto, piuttosto, l’era della divisione e del declino dell’Europa. Un declino che di cui l’Austria Ungheria fu una vittima eccellente (pur con i suoi limiti e le sue colpe) e la cui distruzione portò più che alla concreta applicazione del principio di nazionalità (se l’Austria-Ungheria contava 8 nazionalità, la Cecoslovacchia ne comprendeva 7 e la Iugoslavia 9…) alla creazione di aree di insicurezza, instabilità e conflittualità garantite da una pace deleteria per gli equilibri europei. Una pace che presto verrà minata dagli appetiti di potenze revisioniste come la Germania e l’Unione sovietica. Quest’ultima figlia di un evento non lineare e complesso come la rivoluzione bolscevica; di cui Fejtő mostra il volto totalitario e dispotico ben prima dell’ascesa di Stalin. Evidenziando, tra l’altro, le continuità e affinità tra il centralismo sovietico e zarismo.
Il testo di Fejtő e Serra ricostruisce attentamente lo scenario internazionale (e dei singoli stati) degli “anni folli”, e le patologie di un ordine internazionale postbellico precario che raggiunse il punto di rottura con la questione cecoslovacca e la Pace di Monaco del 1938. Un argomento su cui Serra, vent’anni dopo, è ritornato con il suo ultimo, “Scacco alla pace. Monaco 1938” per Neri Pozza, che ne approfondisce e analizza le complesse dinamiche oltre facili stereotipi e banali biasimi.
Oltre a ricostruire le evoluzioni della guerra fredda e le mutazioni della socialdemocrazia nello scenario europeo, Fejtő e Serra colgono inoltre con estremo anticipo alcuni dei principali nodi della nostra instabile Europa. Le contraddizioni dell’unificazione tedesca, le difficili relazioni tra Ossis e Wessis di cui la anomala questione tedesca è ancora contraddistinta, i vizi di fondo del mondo post 1989. Fejtő mostra, infatti, l’anatomia di un ordine unipolare (all’epoca ancora in nuce) che presto sarebbe diventato a-polare di cui oggi vediamo tutte le contraddizioni. Contraddizioni, specie nell’Europa orientale, figlie tanto di una errata e miope applicazione del “sacrosanto principio dell’autodeterminazione dei popoli” quanto dalla convinzione di poter risolvere la transizione dal mondo sovietico a quello liberaldemocratico semplicemente impostando e importando i modelli dell’ovest (come il centralismo francese) nell’est.
Leggendo “Il passeggero del secolo”, emerge quindi, il profilo di un grande intellettuale europeo come Fejtő che sa comprendere il passato e vedere con lungimiranza e con piglio volterriano (conscio però che i “sogni” della Ragione spesso sono pericolosi quanto i suoi “sonni”) i nodi di un futuro estremamente incerto. Un conservatore laico e loico con il senso del sacro e ricco di preoccupazioni spirituali (“Deploro in effetti il silenzio del sacro, o piuttosto il fatto che “esso” parli, ma che non si voglia ascoltarlo”), di sensibilità eclettica liberale e socialdemocratica. “Conservatore, perché ritengo che vi siano nel patrimonio della nostra civiltà dei valori da conservare, i valori giudeo-cristiani, il rispetto degli avi, l’amore del prossimo, il razionalismo illuminato, il senso delle tradizioni positive morali, politiche, culturali. Liberale perché, come Goethe, Croce o il mio maestro e amico Raymond Aron, credo al libero arbitrio, malgrado tutti i determinismi che pesano su di noi. Credo, come Michel Foucault, alla libertà di essere libero, di scegliere tra il bene e il male, alla libertà della stampa, del pensiero, dell’impresa meglio se media o piccola. Infine, socialista perché come immaginare una società moderna o “postmoderna” senza la salvaguardia di uno stato abbastanza forte per proteggere chi ne ha bisogno e impedire le disuguaglianze troppo stridenti?”.
Campione di un pensiero moderato, conservatore e tagliente Fejtő nelle pagine di questo “diario di un Gran Tour nella storia europeo”, si rivela, infine, come un “osservatore impegnato”, un “intellettuale dissidente”, uno spirito critico che ha guardato con speranza e lucidità le fibrillazioni di un secolo sterminato e sterminatore di cui ha saputo tracciare un affresco vivo, dinamico e lucido, tra scena e retroscena. Con un occhio su un passato che aveva (ed ha) ancora tanti processi aperti e incompleti ed un altro verso un avvenire minato dai rischi del nichilismo e dei nazionalismi la cui lezione è ancora profondamente attuale per comprendere e superare i limiti di un’Europa perdurante gigante economico e costante nano politico.
Un’eredità che come ha sottolineato l’ambasciatore Serra, nel suo saggio colpisce soprattutto per “l’originalità del suo pensiero e l’ampiezza della sua prospettiva”.