Intervista

«Viviamo in una fase della nostra storia in cui l'ansia e l'angoscia (e il loro uso strumentale) non sono mai stati così pervasivi.» Rob Riemen e la necessità di un neoumanesimo

«Nel XXI secolo, con l'avanzare delle crisi economiche, ecologiche, sociali e politiche, con la pandemia, con i fascismi, la paura è tornata. Capire, spiegare e indagare questa paura è fondamentale per capire il nostro tempo. Per tali ragioni credo che siamo in una nuova "Age of anxiety".»
«Viviamo in una fase della nostra storia in cui l'ansia e l'angoscia (e il loro uso strumentale) non sono mai stati così pervasivi.» Rob Riemen e la necessità di un neoumanesimo
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“L’arte di diventare umani. Quattro lezioni sulla crisi della nostra epoca”(Mondadori) scritto da Rob Riemen è un’opera che unisce tanti generi e tanti livelli di lettura con un principale obiettivo: difendere e risvegliare il valore dell’umano nella Civiltà delle macchine e dei fanatismi. Un testo che mischia pamphlet e saggio filosofico, manifesto intellettuale e romanzo di formazione in una sintesi che si presenta tanto come un omaggio alla grande tradizione dell’umanesimo quanto una raccolta di nuovi “Moniti all’Europa” di manniana memoria. Ne emerge un breviario di atteggiamenti, esempi, testimonianze dei grandi maestri (da Socrate a Bulgakov) che difesero la loro libertà di pensiero contro l’oppressione del Potere totalitario, ma anche un saggio marcatamente intimo, quasi da Bildungsroman, su come diventare umani nel mondo del postumano, del transumano, dei fanatismi.

Riemen scrittore, intellettuale e fondatore del Nexus Institute che con la sua opera e attività culturale segue il filone aureo dell’umanesimo europeo (da Mann a Croce, Bulgakov e Leone Ginzburg) ha raccontato un umanesimo militante avverso a certo neopuritanesimo (pensiamo alla cancel culture), ai fascismi (sia rossi che neri), alla disumanizzazione – come ha rimarcato nel suo splendido “To Fight Against This Age: On Fascism and Humanism” sul ritorno del fascismo in Europa – per rilanciare la tradizione dello spirito in un’epoca automatizzata. Un testo che come ha sottolineato magistralmente l’ambasciatore Maurizio Serra, Immortale di Francia e grande diplomatico e saggista, si presenta come “un manifesto contro lo spirito della disumanizzazione e il fanatismo cieco dei nostri tempi”. Per approfondire questi temi abbiamo incontrato il presidente Riemen durante un soggiorno romano.

-Perché “l’arte di diventare umani”?

In quanto diventare umani è un’arte. Perché richiede impegno, dedizione, costanza, disciplina e soprattutto tanta pratica. È una costruzione e un percorso. Non un dato naturale. Un’Arte che ogni individuo con tutti i desideri, le insicurezze, i dubbi, le paure e le sconfitte propri della nostra esistenza deve saper padroneggiare. Non importa essere un imperatore o un esule, essere nati nella ricchezza o nella povertà, prima o poi ci ritroviamo tutti a guardare il nostro volto allo specchio e a domandarci: «Chi sono io? Come sto vivendo? È per questo che sono venuto al mondo, oppure dovrei cambiare vita?». È quindi in sostanza provare a dare delle risposte a questi quesiti cercando di coltivare la cura dello spirito, dell’umano, del pensiero.

-Seguendo l’esempio dei grandi maestri della tradizione europea…

Certamente. La questione, infatti, non è tanto creare capolavori come fecero due esuli inimitabili del calibro di Ovidio e Dante (sono in pochi a disporre del loro genio), quanto appropriarci di quei valori spirituali universali e intramontabili (e quindi eterni) che consentono di vivere nella verità, di avere compassione, di donare bellezza e di agire con giustizia. Ed in questo la lezione dei grandi maestri del passato da Socrate a Thomas Mann, da Ovidio a Bulgakov è fondamentale. Anche perché la vera chiave per diventare umani è la cura dell’anima.

-Come nasce questo libro? 

Ho impiegato un paio d’anni a scrivere questo testo. È un libro piccolo, ma per me molto importante anche perché lo ho scritto durante una fase molto impegnativa delle attività del Nexus Institute in cui ci dovevamo confrontare con una stagione molto complessa della storia europea. I principali stimoli che mi portarono a scriverlo furono sicuramente le risposte alla pubblicazione del mio libro “To Fight Against This Age: On Fascism and Humanism” e la consapevolezza che di fronte al ritorno dei fascismi in Olanda, negli Stati europei e negli Stati Uniti fosse fondamentale riscoprire la lezione di quei grandi maestri che nel Novecento di fronte all’affermazione dei totalitarismi storici nonostante tutto e tutti difesero la loro integrità intellettuale e la loro idea di morale e cultura. Degli intellettuali che seppero fare la scelta giusta anche quando fare la scelta giusta era più difficile e pericoloso. Pensiamo a Thomas Mann, a Benedetto Croce, ai coniugi Mandel’stam. Così ho realizzato questo libro raccogliendo testi inediti e alcuni miei scritti completati durante la fase pandemica per cercare di fare capire cosa significa “diventare umani” e di come si può diventarlo in una fase di disumanizzazione come la nostra. Un compito che mi ha portato a riscoprire anche la mia storia personale e familiare raccontando come io ho provato seguire l’ “arte di diventare umani” e il ruolo che questi maestri hanno avuto nella mia formazione. Allo stesso tempo questo libro cerca di essere anche una chiave per affrontare i nodi del presente.

-Ovvero?

Ricordo che, quando scrissi il mio “To Fight Against This Age: On Fascism and Humanism”, in pochi avevano capito che l’ascesa di Trump corrispondeva al ritorno del fascismo. E tanti non lo capiscono tutt’ora… Tale pericolo è ancora profondamente sottovalutato, come lo sono i rischi del postumano, dell’economicismo e della cancel culture. Oggi, quindi, di fronte ad una fase in cui forte è una tendenza alla disumanizzazione, al ritorno di un modello economicista e transazionale della vita e all’affermazione del fascismo bisogna riscoprire l’importanza dei valori umanistici, seguendo la lezione di grandi come Bulgakov. E lottare contro chi prova a cancellare la cultura e la coscienza critica, lottando contro i fascismi odierni come lo hanno fatto un secolo fa Bulgakov contro il fascismo sovietico e Mann contro quello tedesco. 

-Cosa intende quando parla di fascismo?

Intendo quello che Anna Achmatova e Osip Mandel’štam intendevano quando fronteggiavano lo stalinismo e parlavano di “fascismo sovietico”. Una forza disumanizzatrice e feroce la cui vera antitesi è la lotta per la dignità umana e quindi l’umanesimo e la vera democrazia. Un valore quest’ultimo minato dal ritorno del fascismo (tanto di destra quanto di sinistra). Anche perché il fascismo è l’opposto della vera democrazia in quanto se lo spirito democratico vuole elevare il popolo per realizzarne l’umanità, quello fascista vuole, invece, mantenerlo soggiogato tramite la propaganda trasformando i singoli in una collettività irresponsabile, in una folla informe e indifferente. 

-Ciò è valido per fenomeni inquietanti e spesso con derive ridicole come il woke o la cancel culture…

Certamente l’ideologia woke è in fondo una forma di neostalinismo. La cancel culture è stata inventata da Hitler e Stalin, non c’è niente di nuovo in essa. Ecco cosa sono. La cultura woke considera, quindi, la personalità degli individui come una manifestazione della loro identità collettiva: dicono la stessa cosa, pensano la stessa cosa. Si tratta di un’identità collettiva di una politica fondamentalista. Affermano di conoscere la verità, affermano di sapere cosa sia la giustizia, affermano di sapere cosa sia sbagliato. Questo è ciò che è accaduto in Unione Sovietica. È come un nuovo stalinismo. È estenuante, è pericoloso. È l’opposto di ciò che le capacità intellettuali dovrebbero fare.

-A chi bisognerebbe guardare?

Alla tradizione dell’umanesimo europeo, ovvero Thomas Mann, Albert Camus, Bulgakov, Spinoza, George Steiner e molti altri. Tutti grandi maestri che hanno rifiutato ogni forma di fanatismo. Serve in questo senso quello che Thomas Mann chiamava “umanesimo militante”

-Ovvero?

Come intellettuali (ma non solo loro) non dobbiamo solo stare dalla parte dei deboli, o guardare ciò che accade da una torre d’avorio e dire: “quanto è terribile ciò che sta accadendo”. Dobbiamo entrare nell’arena e avviare la discussione. Il mio libro vuole essere un piccolo contributo in questa direzione.

Roma, Febbraio 2025. XXIV Martedì di Dissipatio

-Quali sono le lezioni su cui si basa questo libro? 

Solo mezzo secolo fa la speranza di una fratellanza universale sulla nostra bellissima sfera blu, unico punto luminoso nell’immensità e nell’impenetrabilità dell’universo, era un orizzonte concreto e condiviso. Oggi, invece, alle nostre orecchie queste speranze suonano datate, come la promessa di un ideale ormai sfumato. Perché la distruzione del pianeta Terra non si è fermata. L’umanità è sempre più lacerata, e la paura e la violenza non hanno fatto altro che aumentare. Nuovi telescopi cercano di sondare le origini del cosmo, esplorandone i confini più remoti, ma l’essenza dell’uomo ci è sempre meno nota. E così pure l’arte di diventare umani. Le quattro lezioni del mio libro vogliono rispondere al monito di Pascal per cui l’uomo deve imparare “a dare il giusto valore alla terra, ai regni, alle città e a sé stesso”. Ho cercato di dare una risposta tramite quattro lezioni: la prima ha come scuola di vita la guerra, la seconda spiega come vincere stupidità e menzogna, la terza è dedicata a coraggio e compassione, mentre l’ultima esorta a liberarsi dalla paura, sfruttando la capacità creativa dell’uomo e il vero amore. Quattro lezioni che, come i Tristia di Ovidio, vogliono essere una guida per chiunque abbia a cuore i due grandi quesiti socratici: «Ditemi, qual è il modo migliore di vivere? Qual è la società giusta?».

-Come mai, secondo lei, oggi viviamo in “A new Age of anxiety”? 

Perché oggi viviamo in una fase della nostra storia in cui l’ansia e l’angoscia (e il loro uso strumentale) non sono mai stati così pervasivi. Se non bisogna essere uno psicologo per capire che la paura è l’emozione umana dominante, non serve, allo stesso tempo, essere uno storico per capire che non c’è mai stata un’epoca in cui le persone abbiano vissuto senza paura. Auden catturò perfettamente lo spirito del XX secolo quando pubblicò nel 1947 la sua poesia in prosa “The Age of Anxiety”. Con la caduta del Muro nel 1989, quel senso di paura scomparve lentamente ma inesorabilmente. Ora, nel XXI secolo però, con l’avanzare delle crisi economiche, ecologiche, sociali e politiche, con la pandemia, con i fascismi la paura è tornata. Capire, spiegare e indagare questa paura è fondamentale per capire il nostro tempo. Per tali ragioni credo che siamo in una nuova Age of anxiety e in questo senso nel 2020 ho ritenuto di mettere questo tema al centro delle attività del Nexus Institute tramite conferenze e rapporti. 

-Quanto (e perché) è importante la lezione di Musil per affrontare “stupidità e menzogna”? 

In quanto Musil sottolinea l’urgenza di riconsiderare ciò che è realmente vero e sensato da un lato e ciò che è assolutamente stupido dall’altro, perché oltre a quanto è già stato definito stupido e può persino trasformarsi in violento, e oltre alla famosa «stupidità onesta», che è lenta a capire, povera di idee e di parole, esiste anche quella che lui chiama: “la stupidità sostenuta e piena di pretese”. Di cui avevamo parlato rapidamente nella precedente domanda. Musil spiega che quest’ultima non è vera mancanza d’intelligenza, ma piuttosto il suo fallimento. Descrive il fenomeno come una malattia della cultura, un’assenza di cultura, una cultura mancata, e la più letale delle malattie dello spirito, pericolosa per la vita stessa, proprio perché si può presentare in qualsiasi forma concepibile e, come un invisibile ultracorpo, riesce ad assumere le sembianze di un obiettivo nobile, di qualcosa di buono e realmente necessario. Lo scrittore ammonisce: “Non v’è pensiero importante che la stupidità non sappia utilizzare. La stupidità è mobile in tutte le direzioni, e può indossare tutte le vesti della verità. La verità, invece, ha una sola veste e una sola via, ed è sempre in svantaggio”.

Secondo Musil, il principale antidoto contro l’azione subdola e multiforme del veleno della stupidità è il “significativo”, il “prezioso”. Poiché il “significativo” unisce la verità che noi siamo in grado di percepire nel significativo stesso e le qualità del sentimento nelle quali abbiamo fiducia. In tal modo nasce qualcosa di nuovo: una nuova visuale, ma anche una decisione; un tener duro, ma allegramente; nasce qualcosa che possiede uno spirito ma anche un’anima ed esige, da noi o da altri, un comportamento. Al contrario della stupidità, il significativo è accessibile alla critica ed è l’antagonista comune della stupidità e della rozzezza. Per concludere, oltre al significativo basato sulla verità, Musil cita un ultimo e più importante rimedio contro la stupidità, ovvero la modestia. 

-Che cosa intende quando (citando Olga Freidenberg) parla di Skloka? E perché questo termine descrive una parte dell’intellighenzia di oggi? 

Skloka è il termine che utilizzò Olga Freidenberg, cugina del grande Boris Pasternak, per descrivere il clima del mondo intellettuale sotto lo stalinismo ( o per citare Mandel’stam durante il fascismo sovietico). Un termine duro, di complessa traduzione che coglie però plasticamente lo stato del mondo intellettuale durante ogni regime fascista (di sinistra o di destra) e che, a mio avviso, è utile per spiegare parte del nostro clima intellettuale. Anche per la sua capacità di inquadrare le frasi vuote di quelle ideologie che pretendono di prendere il posto un tempo occupato dalla coscienza umana e dalla conoscenza della verità, e contro cui purtroppo non resta che unirsi al coro delle menzogne. 

“In tutte le istituzioni e in tutte le case fermenta la skloka, un prodotto del nostro ordine sociale, un concetto totalmente nuovo, una parola che non può essere tradotta in nessuna lingua civile. É difficile spiegare di cosa si tratti esattamente. Rappresenta un’ostilità grossolana e banale, è la malignità che oppone una cricca all’altra, è l’amoralità più maliziosa che genera intrighi meschini. È denuncia, calunnia, spionaggio, intrigo, sospetto, innesco di vili passioni contrapposte. Dove l’estrema tensione e il degrado morale scatenano l’ira di un gruppo nei confronti dell’altro. Skloka è la condizione naturale di chi viene aizzato contro il prossimo, di chi è costretto a uno stato semi-selvaggio e viene mandato in camera di tortura. Skloka è l’alfa e l’omega della nostra politica. Skloka è la nostra metodologia” – ecco cosa significa questo termine per la Freidenberg,

Il termine skloka, quindi, oltre a descrivere nitidamente i mali del nostro tempo descrive, inoltre, bene anche l’intellighenzia di oggi. Un clima in cui gli intellettuali sono trasformati in puritani, che non solo non possiedono più le qualità necessarie per andare in cerca della verità, ammettere l’esistenza del dubbio, saper ascoltare argomenti e comprendere opinioni diverse, avere una coscienza morale, coltivare valori spirituali e conoscere certe tradizioni, ma che ormai ridicolizzano, disprezzano e perseguitano spudoratamente coloro che, invece, queste qualità continuano a coltivarle. I puritani sono sempre i peggiori fanatici, sono estremamente rigidi nel definire cosa è giusto e sbagliato e ora, in questa nostra epoca, dedicano la propria vita ad una finta purezza e all’indottrinamento. 

-Come mai lei nega una differenza concettuale tra populismo e fascismo?

In quanto l’uso del termine populista è solo un altro modo per coltivare la negazione che lo spettro del fascismo stia di nuovo perseguitando le nostre società e per negare il fatto che le democrazie liberali si siano trasformate nel loro opposto: democrazie di massa private dello spirito della democrazia. Perché questa negazione?

-E come mai oggi seconde lei assistiamo ad un ritorno del fascismo?

Volevamo credere nel progresso eterno e ci siamo convinti che gli esseri umani sono buoni. Abbiamo costruito un mondo disneyano. Tuttavia, i fatti ci mettono di fronte a una prova essenziale che avevamo dimenticato. Abbiamo una duplice natura. Abbiamo un lato buono e un lato cattivo. Possiamo scegliere la vita o la morte. Il secondo problema è che siamo diventati una società molto materialista, ossessionati dalla tecnica, da certezze esatte. E lungo il cammino abbiamo dimenticato il ruolo fondamentale dello spirito. 

-Che ruolo ebbe nella sua formazione Thomas Mann?

Mi considero un intellettuale europeo, probabilmente un intellettuale umanista europeo forse anche perché il mio grande eroe intellettuale è Thomas Mann. Tutto il mio pensiero si basa molto su ciò che ho imparato da lui, il suo lavoro, la vita che ha vissuto, il suo impegno nel mondo della politica. Forse il libro più importante per la mia formazione è stato sicuramente “La montagna incantata”, che mi ha insegnato il ruolo cruciale del confronto, del dibattito, della parola. 

Der Zauberberg è stato, in questo senso, il romanzo fondativo del Nexus Institute. L’istituto, in un certo senso, non prevede altro che leggere libri e avere grandi conversazioni e dibattiti sulle grandi, urgenti, persino maledette, questioni del nostro tempo. 

-Da dove ripartire in questa epoca di disumanizzazione?

Oggi la cultura deve ripartire dal basso, dalle realtà locali. Dal dibattito dal confronto, dalle piccole riviste, dai giornali, da chi non si accontenta della propaganda. Da quelle realtà e da quei giornali che cercano un vero approfondimento. E per questo sono contento di aver fatto questa intervista con voi. 

(Intervista a cura di Francesco Subiaco, Alice Coppola e Federico Subiaco)

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