Quello che non ti dicono è che è morto. Ma, comunque, te lo chiedono il riscatto. In Quello che non ti dicono (Mondadori) Mario Calabresi racconta la storia terribile e tragica di Carlo Saronio, figlio del ricco imprenditore Piero Saronio, ma simpatizzante e militante di Potere Operaio, rapito e ucciso dai suoi stessi compagni, tra cui il fidato amico Carlo Fioroni. Tra quello che non ti dicono c’è anche quello che non sanno i rapitori. Quando cercano di narcotizzare il giovane Carlo Saronio (che non ha ancora compiuto 26 anni), durante il sequestro, lo fanno con uno straccio imbevuto di toluolo.
“Non hanno idea delle reazioni che provoca il toluolo, del fatto che stimoli, dop una prima fase di stordimento, tremori, crampi e iperreattività. Carlo comincia ad agitarsi e, pensando che stia tentando di scappare, i rapitori continuano a premere il tampone sul suo viso, fino a intossicarlo in modo tanto grave da mandarlo in coma”.
Muore quella stessa notte. È il 15 aprile 1975. La fidanzata di Carlo Saronio, Silvia, con cui il giovane progettava di sposarsi, all’oscuro di tutto, non sa ancora di aspettare un figlio. Questa cosa non gliela dirà mai. La bambina si chiama Marta ed è nata alla vigilia di Natale del 1975. Mercoledì 15 gennaio 2020 Marta Saronio è a Lodi – la città dove vive – e, alla fine della presentazione di un libro, aspetta in silenzio, che Mario Calabresi le rivolga la parola. “Mi aiuti a scoprire chi era mio padre? Non l’ho mai conosciuto, ma è sempre con me”. La gente sa, ma non parla. Non te lo dicono quello che è successo. E magari tu hai paura di fare domande. Perciò “ricostruire nei dettagli quel che è successo negli anni Settanta è un’illusione”. Mario Calabresi – il cui padre è stato uno dei primi a occuparsi del rapimento Saronio – sa che non si può fuggire dalla sofferenza, ma si può attraversarla, dolorosamente, fino in cima, al chiarore della verità – il cammino sarà ripidissimo, ma lassù, nella baita di montagna, il panorama èstupendo.
“Dobbiamo arrenderci a non avere la verità? No. La verità storica sulle stragi e sul terrorismo è acquisita, chiara. Conosciamo matrici, mandanti, organizzazioni, esiste la mappa precisa delle responsabilità del terrorismo di sinistra e di destra e delle stragi. Quella storia è come un mosaico antico: per leggere le figure, i colori, le linee bisogna allontanarsi e tenersi a distanza. Così se ne coglie l’insieme, la visione è completa. Se invece ci si avvicina si vedono i buchi, le tesserine mancanti, quelle sbreccate o scolorite e si ha la sensazione che il mosaico non esista più, sia solo un caos senza senso. Ma basta fare due passi indietro e l’immagine torna a parlarci e a raccontare la sua storia”.
Ma non solo:
“Ho avuto chiaro una volta in più che entrare e cercare di spiegare un tempo caotico e indefinibile è un’illusione pericolosa. Ci si perdono gli occhi, il sonno e la direzione. Ho cercato testimonianze dirette in quel mondo, incontrando silenzi gelidi e imbarazzanti, allora mi sono procurato tutti gli atti ufficiali possibili”.
La banda criminale assoldata per l’occasione seppellisce il corpo di Carlo Saronio nel letto di un piccolo canale vicino a Segrate, non lontano dal traliccio sotto il quale era morto Feltrinelli. Ma il piano non viene abbandonato. Anche se il giovane rapito è morto, i rapitori, senza scrupoli, “decidono di fingere che sia ancora vivo per ottenere il pagamento del riscatto”. Lunedì 20 novembre 1978 – novembre, il mese dei morti – la madre di Carlo lancia un appello: “fatemi avere le ossa di mio figlio”. Dopo tre giorni, Carlo Casirati svela dove è stato nascosto il corpo del giovane Carlo. Ma chi era Carlo Saronio? Il romanzo cerca, in ogni pagina, tenacemente, di rispondere alla domanda della figlia Marta, orfana precocissima, di dire chi era Carlo. La sua foto è anche sulla copertina, il suo volto, gli occhiali da miope, lo sguardo intelligente e triste, ritagliato dalla fotografia di classe dell’anno 1962-1963. Carlo Saronio “aveva uno strano sorriso che non riuscivi a decifrare, un po’ imbarazzato, un po’ distante”.
“Si vergognava delle sue origini e della vita facile che aveva acuto, questo lo aveva spinto verso quei gruppi di estrema sinistra. Per questo frequentava Fioroni, per questo andava alle riunioni, per questo li finanziava”.
Era un ricco che voleva essere povero, che accarezzava il sogno di una vita normale, senza privilegi, senza agio. Ed è finito nelle braccia di chi lo ha tradito. Cercava una vita normale, Carlo, figlio di Piero che del padre e dell’azienda chimica di famiglia non parlava mai. Era un argomento ingombrante, peggio: soffocante. Nel 1935, Piero Saronio, padre di Carlo ucciso avvelenato da terroristi:
“Aveva messo in un fabbricato vicino alla stazione cinque mucche di razza olandese per dare ogni giorno ai dipendenti un bicchiere di latte, illudendosi potesse bastare contro le sostanze tossiche. La stalla rimase in funzione fino a metà degli anni Cinquanta. Ma non ci sono invece tracce di depuratori o di interventi di bonifica e prevenzione”.
Cercare la verità significa dissotterrare nuovi enigmi, scoprire un terreno minato, oltreché avvelenato. Il padre di Carlo aveva ricevuto una visita di Mussolini, la madre di Carlo non ha mai nascosto la foto del marito in camicia nera insieme al Duce, in visita allo stabilimento di Melegnano. Mussolini, Saronio se l’era preso sottobraccio.
“Dal 1940 la produzione a Melegnano viene triplicata, ma non basta, così Piero Saronio nel 1942 apre un centro militare anche a Foggia, dove produce l’iprite e i gas soffocanti. L’anno dopo raddoppia, inaugurando il centro chimico militare di Riozzo, vicino a Melegnano, dedicato agli aggressivi chimici. Uno spazio immenso di 45.000 metri quadrati. Ancora oggi non sappiamo con certezza cosa producesse, perché da oltre settant’anni quell’area è coperta da segreto di Stato”.
Cercare la verità, per Marta e per suo cugino, il giovane prete missionario in Algeria Piero Masolo, significa fare anche i conti con le menzogne. Cercare i fili d’oro della verità in una trama di versioni oscure. La verità è che, nonostante le cause intentate persino contro di lei, Marta è figlia di Carlo. Il test del DNA dà ragione a Silvia, la madre di Marta che ha concepito un figlio con Carlo. La famiglia Saronio, invece, l’ha considerata un’estranea, quasi un’intrusa. Questa è talvolta la strada di sorte, il vicolo cieco, degli orfani, a cui viene negata l’appartenenza, viene precluso il dolore, che è prerogativa di altri, le sorelle, la madredi chi non c’è più. Cercare quello che non ti dicono è cercare – tra quello che ti dicono – il vero. Come quando il giovane prete missionario vola in Francia, al confine, sulla frontiera con il Belgio, a Lille, per conoscere l’ex terrorista Carlo Fioroni, l’ex amico dello zio, il responsabile del suo rapimento, del suo delitto.
“Negli scambi con l’ex terrorista, Piero scopre che suo zio Carlo era molto più militante di quanto lui potesse immaginare”.
Ma dove sta la verità? Piero aveva portato con sé una medaglia del nonno per Fioroni in segno di riconciliazione. Ma la medaglietta è rimasta sul fondo del suo zaino. Il terrorista, secondo il giovane missionario PIME:
“Ha tenuto la maschera tutto il giorno, non ho trovato un dolore sincero e ho visto una persona piccola, qualcuno che non rinnega quello che ha fatto. È consapevole del danno, ma ancora oggi cerca giustificazioni. Non provo perdono e nemmeno pietà”.
Fioroni voleva regalare a Piero un quadro – è diventato un pittore, un artista – ma il giovane ha lasciato cadere l’idea. Conoscere il terrorista responsabile del rapimento dello zio, ha permesso a Piero di togliere Carlo dal piedistallo su cui l’aveva appoggiato nel suo cuore. Anche i morti, dopotutto, sbagliano, hanno sbagliato.
“Ho sempre pensato che avesse abbracciato quel bisogno di cambiamento sociale che era lo spirito del tempo, ma ora vorrei chiedergli: Carlo, ma che compagni di strada ti eri scelto? Perché gli hai dato retta? Perché hai passato tanto tempo con lui?”.
“Ho sempre avuto paura. Paura di scoprire cosa c’era dietro la sua immagine riservata e silenziosa. Ma ora ho bisogno di fare la pace con il passato, con la mia storia, qualunque essa sia” aveva detto la figlia di Carlo Saronio, Marta, a Mario Calabresi. Qualunque sia la storia, è fondamentale leggerla, per voltare pagina.