Che si tratti di trasporto marittimo, terrestre o digitale, la logistica è presente ovunque, dalle prime caravelle portoghesi fino alle contemporanee autostrade sottomarine dell’informazione. Paradossalmente, questa rete complessa si manifesta solo nelle sue criticità, quando un tassello della catena viene a mancare. Intervistiamo Cesare Alemanni, saggista e autore de “La Signora delle Merci” (Luiss University Press, 2023), un libro che racconta la logistica e il suo ruolo nei processi profondi delle strutture globali della supply chain.
–Storicamente antica, la necessità di governare la complessità in termini logistici ha avuto i suoi albori nel mondo militare. Quali sono le origini pre-moderne dei principi della logistica?
Affondano appunto nelle necessità del mondo militare. Questo poiché, come scrivo nel libro, gli eserciti furono le prime grandi organizzazioni sociali sottoposte a pressioni competitive tali da incentivare e premiare una maggiore organizzazione e ottimizzazione spazio-temporale dei loro processi, sia in termini quantitativi che qualitativi.
–Dal punto di vista del legame tra pensiero economico e logistica, lo sviluppo della supply chain su scala internazionale si connette con la fine del paradigma fordista-keynesiano. In che modo di delinea negli anni Ottanta l’affermarsi dei processi di delocalizzazione e della produzione just in time?
Dal punto di vista industriale, il sistema Ford-keynesiano si basava su sistemi produttivi che, a conti fatti, erano già logistici. Nel senso che presupponevano un alto livello d’organizzazione spazio-temporale del movimento e della catalogazione di cose (componenti etc) al loro interno. Si pensi alla catena di montaggio. Ebbene quando, tra anni Sessante a Settanta, la marginalità di questi sistemi entra, per molte ragioni, in crisi la reazione dell’industria è di cercare di recuperare efficienza smontando le catene di montaggio e ridistribuendone le porzioni (delocalizzazione) laddove i costi (del lavoro o delle materie) sono inferiori e i vantaggi competitivi maggiori. Ad abilitare, dal punto di vista normativo, politico e teorico tale delocalizzazione, fu una profonda trasformazione al cuore della relazione tra Stati e mercato: dalla visione “sociale” e di compromesso tra politica ed economia di Keynes al radicalismo “cibernetico” del “sistema dei prezzi” elaborato dai neoliberal. Un paradigma in cui la logistica e i trasporti divengono “fattori di produzione” indispensabile.
–L’espansione moderna delle catene del valore non sarebbe stata impossibile senza l’introduzione di due strumenti tecnologici fondamentali: il container e il computer. In che modo si legano queste due innovazioni?
Il container permette di trasportare cose in grandissime quantità e a costi bassissimi poiché riduce le frizioni tra mezzi di trasporto diversi e rende più semplice e immediata la catalogazione delle cose trasportate. Accelerando il bio-ritmo dei sistemi di trasporto, la containerizzazione tuttavia crea enormi e rapidissimi flussi di dati che hanno bisogno di essere gestiti ed è qui che entra, simbioticamente, in scena il computer.
-Un elemento poco considerato della competizione economica globale, in riferimento alla supply chain, è il controllo degli standard di gestione delle merci, ad esempio per l’intermodalità tra mare, gomma e ferro. In che modo gli standard possono incidere sugli equilibri geopolitici?
Gli standard sono fondamentali per la fluidità dei processi logistici poiché permettono a diverse infrastrutture o sistemi di dialogare e inter-connettersi. Un esempio banalissimo: io posso anche inventare i container ma se non standardizzo le dimensioni dei ganci o le caratteristiche dei sistemi di gru per sollevarli rischio di trovarmi con decine di container bloccati sui moli perché non ho le infrastrutture adatte a gestirli. E va da sé che se riesco a influenzare quali sono le caratteristiche di quei ganci tendenzialmente ne traggo un vantaggio (potrei per esempio decidere di usare ganci che ho già in casa obbligando tutti gli altri a spendere tempo e denaro per adeguarsi). Questo è uno dei tanti modi in cui gli standard hanno “potere”. Quando questo potere si distribuisce su infrastrutture o sistemi logistici molto diffusi o addirittura globali, va da sé, che esso diviene un potere geopolitico.
-La diffusione di termini come Reshoring/Friendshoring suggeriscono una riorganizzazione della supply chain internazionale. L’attenzione alle catene del valore si interseca sempre più con la necessità di sicurezza nazionale come dimostrato da quanto accaduto nello stretto di Bab Bab al-Mandab. Da un punto di vista della logistica, stiamo assistendo alla fine della globalizzazione così come la conosciamo?
Dipende dai settori industriali. È sicuramente vero che, soprattutto su iniziativa degli USA, si stanno riorganizzando e accorciando alcune filiere strategiche. Penso a quella dei semiconduttori, a cui ho dedicato il mio nuovo libro, ma non solo. Se però guardiamo a industrie più “semplici” come, per esempio, il tessile vediamo che i flussi internazionali e i livelli di interdipendenza non sono diminuiti poi di molto. Situazioni come la crisi di Suez hanno un impatto soprattutto sui costi dello shopping (ne ho scritto anche di recente in un editoriale su Domani) e quindi, potenzialmente, sull’inflazione ma al momento non stanno riducendo più che tanto il livello complessivo degli scambi tra Occidente e Asia.
-La filiera marittima con le sue 228mila imprese è un settore strategico dell’economia italiana. Dal governo è stata ipotizzata una riforma del sistema portuale del nostro Paese. Quali sono le opportunità che l’Italia potrebbe cogliere nel prossimo futuro settore della logistica?
Sicuramente sviluppare una maggiore capacità di vedere la logistica come una questione sistemica che necessita quindi di un approccio altrettanto sistemico. Il tutto nella consapevolezza che, sì, l’Italia occupa una posizione privilegiata nel Mediterraneo, ma anche che il suo territorio – per gran parte attraversato da rilievi – non è certo ottimale per i flussi logistici. È una cosa che avevano capito già i romani e di cui scrive persino Machiavelli (senza ovviamente parlare di “logistica”).
-In prospettiva si potranno aprire nuovi percorsi di trasporto merci che vedranno come arene inedite da un lato le vie aperte dallo scioglimento dei ghiacciai artici e dall’altro le future missioni spaziali. Quale sarà l’evoluzione della logistica nel prossimo futuro?
Purtroppo temo che sarà, come sempre, soprattutto espansiva: cercherà di aggiungere nuovi territori e dimensioni al suo raggio d’azione, trascurando però d’interrogarsi abbastanza sulla sua sostenibilità e sulle sue responsabilità in alcuni processi di accumulazione che si stanno rivelando deleteri non solo socialmente e geopoliticamente ma anche, e anzi soprattutto, ecologicamente.