La modernità in fondo non è che una televendita ben costruita. Qualora ci si rechi in viaggio nei paesi economicamente progrediti, e dunque culturalmente moderni, non si può che rimanere meravigliati (e intristiti) nel constatare che l’apice del progresso umano si realizza in delle sempre più avanzate modalità di consumo. Si prenda ad esempio la Corea del Sud. Nata in un miracolo sorto sulle rive del fiume Han, oggi si appresta ad essere uno dei paesi più progrediti ed economicamente avanzati dell’Asia. La ricchezza è visibile e si esibisce nell’elettrificazione della vita stessa: auto elettriche, mezzi pubblici elettrici, illuminazione stroboscopica ovunque, dalle metropoli ai piccoli centri antichi.
Nelle metropolitane si scorgono armadietti pieni di maschere antigas e kit di sopravvivenza in caso di attacco chimico; flebili schegge di paura all’interno di un universo elettrificato pacifico ed edonista. Ci si domanda se risieda proprio in questo il culmine dell’umana civilizzazione.
Ad ogni angolo di strada vi è un posto per mangiare, in ogni palazzo un negozio di qualche tipo. Ovunque inviti sfacciati al consumo. Ma soprattutto nei media. La televisione coreana è quasi interamente composta da televendite.
I canali in cui si vende qualcosa (dalle creme per il viso ai vestiti fino ai pacchetti vacanze) occupano l’etere in una fantasmagoria di oggetti e prezzi annessi da impressionare il vegliardo visitatore europeo, abituato a degli incitamenti allo shopping meno pervasivi.
Basta scorrere rapidamente con il telecomando per essere invitati a comprare qualsiasi cosa da azzimati presentatori ed entusiaste presentatrici.
Nei nostri arretrati paesi i canali dedicati al tele-acquisto in genere si contano sulle dita di una mano. Là sono padroni incontrastati dell’etere e pare fungano anche da intrattenimento, considerando la bellezza dei televenditori e l’accuratezza di luci e scenografia.
Nella Corea del Sud ultraconsumista il moderno coincide con il nuovo; la categoria filosofica viene riassorbita dall’idea del marketing. La corsa alla modernità equivale a rincorrere l’ultimo modello di qualcosa, stile di vita decisamente efficace in un paese ricco e prospero. Nulla di nuovo se si guarda all’America.
Ritenendo ancora la televisione il migliore microscopio attraverso cui osservare la società, anche quella americana si distingue per il martellante tripudio pubblicitario. Ogni contenuto televisivo deve inchinarsi ad un soverchiante richiamo pubblicitario che ne interrompe il flusso ripetutamente, con talmente tanti stacchi da rendere difficoltosa l’intelligibilità del contenuto stesso. In poche parole, i contenuti sono contorni per rendere più digeribile la pubblicità.
Nella vecchia Europa cerchiamo ancora di mitigare l’impulso consumistico dando priorità allo spettacolo (che altro non è se non una diversa forma di consumo). L’incitamento è meno oppressivo, gli inviti meno sfrontati. Ma si sa, noi siamo ormai vetusti, la modernità risiede altrove.
E se il suo apice non fosse che questo? Un paese davvero moderno è un paese che santifica al consumismo la sua vera ragion d’essere. Non ad un welfare progredito, ad una particolare cura verso le fasce più deboli della società, a un sistema di accesso al credito che non soffochi le persone (si vedano le famose serie coreane per comprendere cosa significhi questo), ma solo al puro, scintillante consumismo.
La meravigliosa, eterna, sempre verde accumulazione primitiva di oggetti. La ricchezza delle nazioni, e dunque il capitalismo, procede sempre allo stesso modo; solo che nei paesi asiatici il progresso viaggia a velocità doppia e porta con sé un possente bagaglio di riscatto che deve essere colmato in fretta, specie nei paesi ancora in guerra come la Corea.
In Asia in particolare, così come in alcune città americane, il consumismo svela il suo volto più accattivante, rendendo possibile la realizzazione di (quasi) tutti i desideri. Sempre a patto che si possa pagare. Davvero tutto quello che volete.
L’ingegno dell’uomo sembra concentrare la sua potenza nelle due sole direttrici dell’ingegneria bellica e in quella degli intrattenimenti. Che poi sono in effetti la stessa cosa, cambia il bersaglio ed il modo di colpirlo. Si resta davvero a bocca aperta quando si osserva lo skyline di una metropoli contemporanea dalla punta della torre-osservatorio, seduti comodamente nel ristorante forse più costoso della città.
Persino dagli orinatoi è possibile scorgere le luci metropolitane in tutte le loro sfumature lontane. Nell’aria, si ode una voce squillante annunciare che l’ultimo singolo della famosa boy-band è disponibile per il download. Contemporaneamente, l’ascensore a levitazione magnetica ti riporta a terra scorrendo trenta piani in 15 secondi. Camminando per le labirintiche vie metropolitane, a qualsiasi ora, la fame può trovare soddisfazione in infinti modi, a qualsiasi ora. Se si ha dimestichezza con la tecnologia poi, non c’è segreto urbano che non possa essere svelato dalle innumerevoli app più o meno gratis. Lo sballo trova pane per i suoi denti sui rooftop dei grattacieli con i loro club super chic o nelle luminosissime sale giochi aperte tutta la notte.
E infine, al ritorno nel proprio giaciglio, lo spettacolo del consumo di domani giunge a consolare la mente stanca e al contempo grata di vivere in un tempo così meravigliosamente moderno. La modernità è pensare di poter comprare tutto quello che desideri. Praticamente, una televendita.