OGGETTO: Fallaci vs. Terzani. Islam a due voci
DATA: 24 Giugno 2021
SEZIONE: inEvidenza
Tiziano Terzani, Oriana Fallaci e l'Undici settembre
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L’undici settembre 2001, due grandi giornalisti fiorentini erano esuli: Tiziano Terzani e Oriana Fallaci. Terzani, sull’Himalaya, trascorsa l’età dell’impegno familiare e sociale, il terzo passo nel silenzio verso l’Uno. Fallaci, a New York, espatriata del liberalismo austero, del risorgimento incompiuto, non sopportava la piccineria dell’Italia ex democristiana o comunista. Entrambi avevano abbandonato il giornalismo e la città natale sciupata. Poi, gli attentati orribili contro il World Trade Center ed il Pentagono, minacciosi di premesse e conseguenze, scossero gli eremi.

Il Corriere della Sera ospitò i nuovi “scritti corsari”, come al tempo di Pasolini. L’islamofobia della Fallaci e soprattutto le lettere di Terzani, erano lontane dalla linea editoriale: «Siamo tutti americani» del direttore Ferruccio de Bortoli. Certo, la sfida alla linea e lo scontro civile aperto, fecero bene al giornalismo italiano, ai lettori ed alle vendite. Giornalisti e studiosi si sentirono chiamati a prendere posizioni avverse, spesso sullo stesso Corriere; tra tanti, Eugenio Scalfari, favorevole alla guerra americana e Dacia Maraini, contraria. I due “scritti corsari” furono infine raccolti ed estesi a libro, nella Trilogia di Oriana Fallaci (La rabbia e l’orgoglioLa forza della ragioneOriana Fallaci intervista sé stessaL’apocalisse) e nelle Lettere contro la guerra; quindi influenzarono l’analisi profonda di La paura e l’arroganza, curata da Franco Cardini con i saggi tra gli altri, di Alain de Benoist, Noam Chomski, Tariq Ali.

Noi aspiriamo alla lezione di Terzani, tenendoci a cuore lo scrittore passionale, di Niente e così siaSe il Sole muoreUn uomo. Terzani osservò la tragedia, dopo avere appreso in Asia che tutto è Uno. L’articolo uscì il sedici settembre, Quel giorno, tra i seguaci di Bin Laden; per riassumere poi, nelle Lettere contro la guerra, il paradossale titolo originario: Una buona occasione.

Tiziano Terzani

“Il mondo non è più quello che conoscevamo, le nostre vite sono definitivamente cambiate. Forse questa è l’occasione per pensare diversamente da come abbiamo fatto finora, l’occasione per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all’oggi e potrebbe domani portarci al nulla” .

Lettere contro la guerra Corriere della sera, 16 settembre 2001

Sul quel cammino, avevano solcato i flutti le navi nere dell’ammiraglio Matthew Perry (1794-1858). Il Giappone se ne stava chiuso, tranquillo, per conto suo, vento e legno anziché ferro e carbone; non competitivo, intollerabile. Allora, nel 1853, gli Stati Uniti inviarono la flotta da guerra contro l’arcipelago del Sol Levante, per obbligarlo a commerciare. Su quel cammino, l’orgogliosa Cina si era scoperta indifesa, innanzi alla superiorità militare britannica che le impose il dramma sociale dell’oppio libero ed un secolo di umiliazioni. Per molte civiltà umane, l’evo moderno ha significato: confronto con l’Occidente; voltarsi dall’altra parte o impadronirsi della tecnica, scimmiottare, occidentalizzarsi per trovare la forza di mantenere -in qualche modo- la propria identità. Il dilemma scosse anche l’Islam. Kemal Atatürk (1881-1938) abolì la sharia, copiò il codice penale italiano ed il codice civile svizzero, tolse i veli. Nel 2001, pareva che la Turchia procedesse ancora verso l’Unione Europea.

Il fondamentalismo religioso è invece un fenomeno moderno che tenta di rifiutare la Modernità. Terzani aveva assistito al risveglio dell’Islam in Asia centrale. Nel 1991, a Dušanbe, una folla contadini tagichi, barbuti e sgargianti nei loro caftani, aveva abbattuto la prima statua di Lenin, sormontandone il tonfo, «Allah… Allah… Allah Akbar» (Buonanotte, signor Lenin). Tramontato il comunismo, l’Islam risorgeva anche quale:

“Ideologia dei dannati della terra, di quelle masse di poveri che oggi affollano, disperate e discriminate, il Terzo mondo occidentalizzato”.

Lettere contro la guerra Corriere della sera, 16 settembre 2001

Intanto, la Seconda Guerra Mondiale aveva esplicitato un lento corso del progresso: le popolazioni civili quale obiettivo da colpire, per demoralizzare il nemico, gravarlo dei feriti, privarlo della forza lavoro, conseguire obiettivi politici. Città inglesi, tedesche, russe, Hiroshima e Nagasaki conobbero l’inimmaginabile. La guerra tecnica perse ogni vestigia rituale e cavalleresca. Così dalla fine della Guerra Fredda, mentre Stati Uniti e globalizzazione parevano in grado di racchiudere tutta l’umanità nel sistema unico, il fondamentalismo islamico è diventato sempre più aggressivo, brutale, terrorista. Bin Laden ed Al Qaeda hanno ereditato la lezione terribile dalla guerra tecnica, applicandola in maniera asimmetrica per ferire un avversario incommensurabilmente più forte. Nel 1998, Al Qaeda organizzò un attentato terroristico contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania, le esplosioni provocarono centinaia di morti. Comprensibilmente, gli Stati Uniti colpirono le basi di Bin Laden in Afghanistan e bombardarono una fabbrica di medicinali (ed armi chimiche ?) in Sudan, dove le vittime si contarono forse nell’ordine delle migliaia. L’inchiesta delle Nazioni Unite che avrebbe potuto fare luce, fu impedita proprio dagli Usa. L’undici settembre, un attentato atroce ha avvolto le Torri Gemelle alla catena della vendetta; riconoscerlo,

“Non significa confondere le vittime con i boia, significa solo rendersi conto che, se vogliamo capire il mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista”.   

Lettere contro la guerra Corriere della sera, 16 settembre 2001

Nell’oscuro yin degli attentati, era possibile discernere anche una buona occasione per comprendere come, le basi americane in Arabia Saudita, sacrileghe nei pressi di La Mecca e Medina, il mezzo milione di morti inflitto all’Iraq con l’embargo, i bombardamenti in Libano, Libia, Iran, suscitassero nei popoli del Medio Oriente gli stessi sentimenti che in quel momento straziavano l’America. Terzani invitò a spezzare la catena della vendetta. Sarebbe stato saggio cercare la pace, a cominciare da quella tra israeliani e palestinesi ed affrontare le cause che avevano convinto tanti giovani ad uccidere ed uccidersi. I terroristi speravano in una grande rappresaglia che allargasse la loro minoranza; arduo distinguere, sotto le bombe, tra guerra contro il terrorismo e guerra contro l’Islam. Arrogarsi il monopolio del «bene», considerarsi l’unica civiltà, presentare le vittime mussulmane quali «danni collaterali», avrebbe fatto emergere dai crateri insanguinati soltanto più terroristi.    

Il sedici settembre, occorreva un’alta levatura morale, per concludere:

“Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo.. Duemilacinquecento anni fa un indiano, chiamato poi «illuminato», spiegava una cosa ovvia: che «l’odio genera solo odio» e che «l’odio si combatte con l’amore». Pochi l’hanno ascoltato. Forse è venuto il momento”.

Lettere contro la guerra Corriere della sera, 16 settembre 2001

Fallaci assistette agli attentati pressoché in diretta, corrispondente di guerra, sapeva ancora intuire i razzi; così, dopo un presentimento respinto, contravvenne alle regole della mattina ed accese la televisione. Orrore e gelo. Una torre bruciava. Poi un aereo impattò contro la gemella. Le persone cercavano scampo dalle fiamme con un gesto disperato, agitavano

“Le gambe e le braccia, nuotando nell’aria. Sì, sembravano nuotare nell’aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf!”.

Corriere della sera, 29 settembre 2001

La rabbia e l’orgoglio fu pubblicato sul Corriere il ventinove settembre. L’autrice non concepì il suo lungo articolo come una risposta alla buona occasione di Terzani, si rivolse piuttosto a De Bortoli che l’aveva raggiunta a New York, per convincerla a scrivere e tramite lui, ai lettori italiani. Il punto di vista è quello di una finestra newyorchese, in soggettiva forte, senza distacco, autobiografico. L’esule era furiosa, «siamo tutti americani» non bastava; specialmente quando il pensiero di alcuni , intellettuali, politici, cicale di lusso, andava tradotto in termini opposti: «Bene. Agli americani gli sta bene». Le cicale innominate meritavano disprezzo, “io gli sputo addosso”. E quando la rabbia divenne un libro, l’ira della Fallaci raggiunse anche le cicale “più uguali”, timorose di criticare l’oppressione islamica della donna.

Con le cicale omosessuali, che

“Divorati dalla stizza di non essere del tutto femmine, aborrono perfino le poverette che li misero al mondo, e nelle donne non vedono che un ovulo per clonare la loro incerta specie”.

La rabbia e l’orgoglio

E le cicale di sesso femminile ossia le femministe, ingrate verso chi aveva spianato loro la strada, mostrando come una donna potesse fare qualunque lavoro -perfino il corrispondente di guerra- con pari valore o meglio degli uomini,

“Siete e siete sempre state galline cui riesce soltanto starnazzar nel pollaio, coccodè-coccodè-coccodè. O parassite che per tentar d’emergere avete avuto bisogno di un uomo che vi reggesse lo strascico”.

La rabbia e l’orgoglio

Diversa l’America, faro di civiltà, nata dal bisogno di avere una patria, da libertà ed uguaglianza sposate assieme; mentre l’Europa borbonica e papalina, esitava a leggere l’Encyclopédie e ad ascoltare la buona lezione dei filosofi illuministi. Gli americani, guidati da straordinari padri fondatori come Benjamin Franklin e Gerorge Washington che conoscevano greco e latino, o Thomas Jefferson che parlava anche «toscano», avevano fatto la rivoluzione tredici anni prima dei francesi; con la guerra ma senza massacri vandeani. Dopo quella la rivoluzione, oltre oceano, una plebe riscattata era cresciuta libera e democratica, sconfiggendo inglesi, messicani, tedeschi, nazisti e comunisti. La guerra più difficile era iniziata l’undici settembre, contro la jihad. Se l’Europa non avesse partecipato, ci sarebbe stato da temere. Gli americani sapevano cosa fare, uniti. Italiani ed europei, divisi, mal guidati, timorosi di passare per razzisti, dormivano ancora.

Fallaci urlò che era iniziata una guerra di religione. Irrilevante che soltanto pochi mussulmani simpatizzassero con la jihad. L’aggressione dell’Islam contro l’Occidente era in corso. La civiltà dell’Europa e dell’America poteva soccombere. L’ombra dei minareti, la legge coranica, il latte di cammella potevano prevalere.  

“Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci”.

Corriere della sera, 29 settembre 2001

Oriana Fallaci

L’America era giunta al vertice del progresso umano. Le due culture, islamica ed occidentale erano diverse per dignità. Impossibile, “metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura”. Dietro la civiltà occidentale, nel progresso, Omero, Socrate, Roma, Cristo, il Rinascimento, la scienza e la tecnica. Dietro la cultura islamica, soltanto Maometto ed il Corano, le cui esegesi pacifiche non dovevano ingannare. Fallaci leggeva nel Corano una discriminazione iniqua per la donna, la legge del taglione, la poligamia, la pena di morte per chi beveva alcolici. Perfino in Italia toccava sperimentare simili tentativi d’imposizione. Ma ai diplomatici dell’ambasciata iraniana, scandalizzati dallo smalto rosso, la giornalista indicò che cosa sarebbe stato bene togliere a loro. Così, anche l’immigrazione andava interpretata nel contesto dell’aggressione islamica all’Occidente.

Le città italiane erano oppresse dal degrado, dall’abusivismo, dalla criminalità. Un gruppo di somali aveva davvero esasperato la Fallaci. Gli immigrati si erano accampati nella Piazza del Duomo di Firenze, per estorcere i documenti, necessari a condurre in Italia le loro numerose famiglie;

“Le gialle strisciate di urina che profanavano i marmi del Battistero.. il fetore dello sterco che bloccava il portone di San Salvatore al Vescovo. […] E guai se il cittadino protesta, guai se gli risponde quei-diritti-vai-ad-esercitarli-a-casa-tua. «Razzista, razzista!»”.

Corriere della sera,29 settembre 2001

Nell’apatia delle istituzioni politiche, Fallaci racconta di avere ottenuto lo sgombero con una promessa ai poliziotti dell’ufficio sicurezza: trascorso un giorno avrebbe dato fuoco alle tende. Anche i documenti furono concessi. Andò peggio, sul sagrato della Chiesa di San Lorenzo, ad un immigrato che osò importunare l’antica signora con parole oscene. La promessa dell’ambasciata fu mantenuta. L’immigrazione islamica in Europa non poteva paragonarsi a quella italiana negli Stati Uniti: operosa e soprattutto legalmente invitata dal Congresso americano, in un continente spopolato e privo di un’identità culturale definita. Più difficile integrarsi in un paese dalla storia millenaria, con il cattolicesimo, usi, regole, vestiti, mense ed arredi scolastici ben determinati. O nella violenza estetica del linguaggio fallaciano,

“Da noi non c’ è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà”.

Corriere della sera, 29 settembre 2001

Anche Terzani si sarebbe espresso contro l’immigrazione in Europa e contro la società globalizzata, multirazziale e multiculturale ma in termini pacifici (Un altro giro di giostra). L’esule newyorchese concluse la lettera, rivolgendosi alla sua Italia silenziosa. La patria del Risorgimento, del Carso, di una giovanissima partigiana quattordicenne, era stata ricoperta da un paesello imbelle, furbetto, con la pensione a quarant’anni ed politici affezionati alla poltrona; eppure c’era ancora. E guai a chi invadeva l’Italia silenziosa, con i gommoni o con i cannoni, di Napoleone, di Hitler, dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Guai a tutti ! ‘ Dimenticando’ gli americani. Terzani lesse La rabbia e l’orgoglio, mentre si preparava a volare in Pakistan, per conoscere il punto di vista degli “altri”. La Rabbia e l’Orgoglio negava al nemico ogni ragione e la sua stessa umanità. Bianco e nero esondavano nelle inscritte sfere dello yin e dello yang, guerra fino alla distruzione totale della controparte, niente buona occasione. L’otto ottobre uscì sul Corriere Il sultano e san Francesco, lettera da Firenze ad Oriana Fallaci. Era importante frenare la bestia dell’odio e rompere la catena della vendetta. I kamikaze, secondo l’analisi di Chalmer Johnson (1931-2010), professore dell’Università di Berkeley, non avevano attaccato l’America ma la politica estera americana. Guarire dal petrolio sarebbe stato meglio che costruire l’oleodotto afgano, mantenere centinaia di basi militari in tutto il mondo, fomentare guerre e colpi di stato, intrattenere amicizie discutibili nel Medio Oriente, origine di tanto antiamericanismo.

“Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori ? Non sarebbe meglio che imparassero, a lezione di religione, anche cosa è l’Islam ?”.

Corriere della sera, 8 ottobre 2001

Secondo i Jataka, racconti delle vite precedenti, perfino Buddha annegò un uomo per salvarne cinquecento; né libro Cuore, né odio. L’analisi politica va svolta con onestà, poi l’impegno umano deve essere quello per la pace. Tanto più che la figura del terrorista muta secondo lo sguardo. Nella discussione sulla colpevolezza di Bin Laden, la scrittrice indiana Arundhati Roy aveva richiamato quella di Warren Anderson (1921-2014), l’inestradabile presidente americano della Union Carbide. Sicurezza contro profitto e l’impianto chimico di Bohpal, al quale i visi pallidi mai avrebbero permesso di inquinare casa propria, era esploso assieme a 16000 vite. Quanto a Firenze, la città feriva tutti e due gli esuli. Terzani aveva già subito la globalizzazione estrema in Giappone; apparecchi tecnologici ovunque, amati e desiderati, le case di legno e carta di riso abbattute per i grattaceli, artigiani e piccoli negozi sostituiti dai centri commerciali, periferie, pendolarismo, ritmi di lavoro folli. Il giornalista aveva sperato che i distributori automatici non potessero giungere in Europa. Invece anche la città natia era caduta. Una bella strada del centro aveva appena perso quattro locali storici, una libreria, una farmacia, un bar ed un negozio di musica; sostituiti dai negozi della moda che fanno uguali tutte le città del mondo e distruggono le identità. Gli immigrati mussulmani non avevano colpa, spinti da un vento irresistibile, assieme ai negozi firmati.

La divergenza tra Oriana Fallaci e Tiziano Terzani non nasce l’Undici settembre, è oltre gli eventi, oltre il fiume. Fallaci accetta Illuminismo e Liberalismo, ritiene che l’Occidente abbia trovato la via del progresso e che vi si sia incamminato, con la sua scienza e con la sua economia, adottando forme di civiltà superiori a quelle di ogni passato; una superiorità assoluta, innanzi a tutti, ovunque, manifesta nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Allora, l’alterità è inaccettabile. I diritti umani, l’american way of life, vanno imposti ovunque per il bene di tutti, anche con la guerra. Da parecchi secoli la prospettiva della Fallaci è quella dell’Occidente; espressa in maniera politicamente corretta, implicita, ipocrita, senza talento letterario e senza coraggio. Tiziano Terzani invece rispetta ogni civiltà, ognuna con le sue forme ed i suoi valori. Quando tutto è Uno, mirare la bellezza del mondo che si manifesta nella diversità, non spaventa. Il diverso non si mostra quale inferiore, da civilizzare o convertire. Americani ed europei non hanno abbandonato il fardello coloniale dell’uomo bianco, portare la civiltà, con i loro diritti umani e la loro scienza; difficilmente riescono ad accettare una diversità vera che non si lasci friggere in cucina o spappolare nel calderone new age. E nel materialismo dell’apparenza, la diversità più invisa è quella esteriore. Indiani, cinesi, turchi, ogni popolo ha affrontato il problema dell’abito con le sue navi nere.

“In Afghanistan, una bambina non gioca a fare la grande andando a giro per la casa con le scarpe della mamma, ma indossando il suo burqa e sognando il giorno in cui, donna, avrà diritto al proprio. Cosa penseremmo noi se un giorno la nostra società fosse conquistata dai naturisti e noi tutti dovessimo celebrare la nostra «liberazione» andando improvvisamente a giro nudi bruchi ?”.

Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra

Allora nessuno sfugge al confronto con la Modernità. Se l’Europa e l’America si accorgono di avere affrontato, esse stesse, le navi nere, l’Occidente esiste ancora ? L’America può liberarsi dal fardello e l’Europa riscoprirsi autonoma ? Probabile che la nostra risposta, moderna o degli opposti nell’Uno, non discenda dalla scelta razionale ma dall’innato, dall’emozione, dalla mistica.


Collegamenti agli articoli citati:

Tiziano Terzani, Quel giorno, tra i seguaci di Bin Laden:  https://lists.peacelink.it/pace/2001/09/msg00189.html

Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio:https://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/09_Settembre/15/rabbia1.shtml

Tiziano Terzani, Il sultano e san Francesco;

Dacia Maraini, Ma il dolore non ha bandierahttps://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/10_Ottobre/05/maraini_1.shtml

Eugenio Scalfari, La guerra e la pace nell’anno terribile:https://www.repubblica.it/online/speciale/trentadic/trentadic/trentadic.html

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