L’Italia è un Paese prismatico ricco di forti contraddizioni e ambiguità. Un Paese formato da un intreccio di paesi, in cui anche il Potere tende a disgregarsi in poteri poliarchici e diffusi. In cui convivono una aspirazione al cesarismo ed una vocazione ai particolarismi, una tradizione statalista e un uno stato “introvabile”. Composto da una pluralità di centri di potere con obiettivi, proiezioni strategiche e tattiche completamente diverse, se non divergenti. Una tendenza alla divisività e alla porosità che si associa però ad una grande ricchezza e diversità culturale, economica e sociale straordinaria delineando il quadro di una nazione dotata di tante miserie, ma anche di altrettante nobiltà. Un tema che è il centro dell’ultimo saggio del professor Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, saggista, editorialista e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa: “Miseria e nobiltà d’Italia: Dialoghi sullo stato della nazione” (Solferino, 2024).
Una raccolta di “operette morali” sullo stato della Nazione, sui suoi meccanismi, sulle sue reali condizioni. Cassese, tramite dialoghi che confrontano le due anime dello stesso autore (e della società italiana), realizza uno studio e un confronto a tutto campo sui veri nodi del Paese: su leggi e deroghe, burocrazia buona e cattiva, passato e futuro della Repubblica, pro e contro dell’Unione Europea, riforme presidenziali e ruolo del capo dello Stato. Dei colloqui dal sapore volterriano che sulla scia della tradizione dialogica di Diderot e Leopardi associa coppie di opposti (un riformista e un illuminista, uno statalista e un globalista, un militarista e un pacifista, un aristocratico e un plebeo) non solo per mostrarne le differenze ma soprattutto per cercare di affrontarle, capirle, rivelarle. Ne emerge un saggio fatto di tante operette morali che in maniera sobria, plastica e sopra le parti cerca di fare sintesi, in un panorama politico già troppo diviso, sui veri problemi del Paese, con un ottimismo concreto pieno di responsabilità. Per affrontare questi temi abbiamo intervistato il Professor Cassese.
–Perché “Miseria e nobiltà d’Italia”? Cosa l’ha spinta a scrivere questa raccolta di dialoghi sui veri nodi del nostro Paese?
Due motivi. Primo: fare il punto sulla situazione dell’Italia, perché vi sono indicatori di declino da circa vent’anni, un declino molto chiaro in termini comparativi, sia nell’economia che nella demografia. Secondo: valutare anche le contraddizioni del nostro Paese, che è un Paese prismatico, nel senso che ha molte facce, aree di eccellenza e aree di sottosviluppo.
–Sulla scia di Diderot ha tracciato una sorta di enciclopedia dialogica dell’Italia e dei suoi vizi e delle sue virtù. Come le appare lo stato della nazione di fronte alle sfide della contemporaneità?
Se vuole una valutazione sintetica, direi che tra gli aspetti negativi e gli aspetti positivi prevalgono quelli positivi, per cui continuo ad essere ottimista. Faccio qualche esempio: abbiamo una struttura sanitaria che da vent’anni è in crisi, ma le aspettative di vita degli italiani sono tra le più alte in Europa. Abbiamo un debito pubblico altissimo, ma la ricchezza privata è di dimensioni quasi quattro volte superiore al debito pubblico. Continuiamo ad avere un forte divario tra Nord e Sud, ma questo è compensato sia dalla forte meridionalizzazione delle strutture pubbliche, sia dalle migrazioni: due milioni di persone negli ultimi vent’anni si sono spostate dal Sud al Nord.
–Nel dialogo tra un italiano e un anti-italiano ha tracciato alcuni lineamenti sulla condizione dello Stato e della macchina pubblica. Perché esso è “introvabile” e “onnipresente”?
È onnipresente perché, come in tutte le democrazie mature, moltissimi interessi collettivi sono stati canonizzati come interessi pubblici e presidiati da uffici pubblici. È introvabile perché non abbiamo imparato a gestire la complessità e quindi, ad ogni piccolo intoppo, la macchina amministrativa si ferma.
–Quanto ritiene significativo il ruolo e il valore di una cultura realmente garantista per affrontare i veri tarli del potere giudiziario?
Più che significativo, essenziale, perché lo stesso potere giudiziario consiste in un sistema di garanzie e quindi la cultura garantista ne fa parte.
–Viviamo in una fase di numerosi allarmi sullo stato della nostra democrazia. Quali sono le vere forze e debolezze della nostra democrazia?
Un punto di forza è costituito dalla diffusione della democrazia a livello territoriale, negli ottomila comuni e nelle venti regioni. Un altro punto di forza è il pluralismo della nostra società. Il principale punto di debolezza è costituito dalla scarsa affluenza alle urne, che è andata diminuendo in particolare negli ultimi anni, e che si accompagna alla mobilità dell’elettorato. Ed ora anche la concentrazione della funzione legislativa nel governo, che così svolge una funzione sia esecutiva che legislativa.
–Come valuta oggi il ruolo e lo stato delle élite italiane, soprattutto burocratiche, rispetto a quelle francesi?
Abbiamo, in Italia, alcune eccellenti strutture amministrative, alcuni bravi amministratori, ma non abbiamo un sistema amministrativo funzionante come quello francese. La responsabilità di tutto questo sta nel sistema delle spoglie, nel patronato politico, nell’abbandono del criterio del merito e del concorso.
–Si parla molto di premierato o di una opzione presidenziale. Lei cosa ne pensa della possibilità di una riforma istituzionale in questo senso?
Penso che bisogna concentrarsi sulla sostanza, non sulla forma. Quindi, cercare di assicurare la stabilità del vertice dell’esecutivo, cioè del governo, e la sua coerenza di azione politica, che può essere garantita dalla preminenza del presidente del Consiglio dei Ministri. Se vengono assicurate queste due finalità sarà una buona riforma.
–Che prospettiva vede per il nostro Paese?
Non appartengo alla categoria dei piagnoni, anche se mi rendo conto che siamo in una fase negativa del ciclo. Penso che l’Italia abbia le risorse per potersi risollevare. Per far questo, bisognerebbe avere chiari gli obiettivi. Minore attenzione da parte dell’opinione pubblica a fatti e fatterelli e maggiore concentrazione sulle grandi tendenze e sui grandi problemi, come quelli della sanità e quelli della scuola. Individuazione chiara degli obiettivi e loro stabilità nel tempo, per evitare di cambiare strada ogni anno. Maggiore produttività del Paese. Una cultura e un’opinione pubblica più attente al buon funzionamento della società e delle istituzioni.
di Valerio Molinaro e Francesco Subiaco