Negli studi storico-religiosi, l’espressione invention of the West definisce l’errore interpretativo causato dall’applicazione di categorie proprie dell’occidente coloniale, cristiano prima, illuminista e liberale poi, nella comprensione delle culture altre. Soprattutto a partire dall’opera dell’accademico statunitense di origini palestinesi Edward Said, Orientalismo (1978). Nonché un rischio ancora insidioso.
In particolar modo, quando il termine “fondamentalismo” corre nella cronaca, a qualificare i movimenti politico-religiosi più lontani dalla sensibilità dell’occidente liberale. Tutto sommato, un uso alla stregua di insulto non argomentato, rischioso di associazioni erronee o malintesi. E motivo per il quale, vale la pena di cercare le origini della parola, assieme al significato suo proprio, come categoria di storia delle religioni.
Senza dubbio, il fondamentalismo nacque nel contesto del cristianesimo protestante degli Stati Uniti d’America. Al volgere di un Ottocento già segnato dai processi di modernizzazione e secolarizzazione, destinati ad approfondirsi e diventare globali. Infatti nel 1895, a Niagara Falls, un gruppo di teologi, appartenenti a diverse confessioni, si riunì per affermare cinque principi fondamentali, l’inerranza della Bibbia, la divinità di Gesù Cristo, nato dalla Vergine, morto e risorto per la redenzione universale, il cui ritorno sicuro va atteso, assieme alla resurrezione della carne.
Allora, Niagara Falls rappresentava la risposta all’influente corrente teologica liberal. Favorevole all’interpretazione della sacra scrittura attraverso i metodi delle scienze umane, quali storia, archeologia o filologia. Da cui la particolare importanza attribuita al primo fondamentale, l’inerranza della Bibbia. Interpretata in maniera astorica e letterale, in modo da scongiurare ogni smarrimento dell’autentico messaggio divino. Se pure, anche la tensione apocalittica per il ritorno di Cristo avrebbe segnato la corrente, legandosi al Dispensazionalismo del teologo Cyrus Scofield.
Dopo di che, tra il 1909 e il 1915, alcuni pastori curarono la celebre serie dei piccoli volumi intitolata: The fundamentals. Il successo fu enorme. E nel 1919, i teologi di Niagara Falls poterono animare la World Christian Fundamentals Association.
Esemplare, per il fondamentalismo nascente, fu quindi lo Scope Trial o Processo alle Scimmie del 1925. Quando un tribunale di Dayton chiamò a rispondere John Scopes. Insegnante vicino ai movimenti che promuovevano la separazione tra Stato e religione, accusato di blasfemia e violazione delle norme didattiche per il suo insegnamento evoluzionista. William J. Bryan, avvocato democratico, religioso e creazionista, rappresentò l’accusa ed ebbe la meglio. Dopo il processo, oltre al Tennessee, Oklahoma, Mississipi, Florida e Arkansas adottarono una legislazione ispirata al creazionismo. Ma soprattutto i Fundamentals irruppero nel contesto mediatico moderno. In quanto, radio e giornali coinvolsero milioni di americani nel Processo alle Scimmie, stringendo il legame tra fondamentalismo, nuovi media e politica.
L’uso moderno del termine “fondamentalismo” emerse pertanto quale indicativo emico, auto designazione di una corrente teologica che desiderava opporsi alla modernità, in nome della purezza biblica originaria.
Soltanto in seguito, il termine fu adottato dalla storia delle religioni e dalla sociologia. Quale categoria generale, utile ad accomunare movimenti diversi, non solo cristiani; prima, nei contesti ampi dell’Ebraismo e dell’Islam, quindi, con maggiori problematicità, oltre il monoteismo abramitico, negli ambiti del Buddismo, dell’Induismo e del Sikhismo.
Il che ha favorito l’emergere di un’ampia varietà di definizioni. Nell’oscillazione tra il riconoscimento di «un fenomeno assolutamente moderno», la ricerca di antecedenti storici e l’accostamento ad una forma mentis giacobina (Shmuel Eisenstadt, Fondamentalismo e Modernità, Laterza, 1994), il paragone al modello politico dello stato etico, necessario al ripristino dei legami e dell’identità collettiva, minacciati dal disordine morale e sociale (Enzo Pace, Renzo Guolo, I Fondamentalismi, Laterza, 2002). Fino alla proposta di Samuel Huntington che scorse nel fondamentalismo l’ultima resistenza contro il progresso. Proveniente dal buio passato dell’umanità, segnato da fanatismo e intolleranza. Probabilmente una vera e propria invention of the West, nel quadro della teoria dello scontro tra civiltà.
Lo storico delle religioni Giovanni Filoramo ha studiato il fondamentalismo nel contesto suo proprio, quello del presente e religioso (Giovanni Filoramo, Millenarismo e New Age, Edizioni Dedalo, 1999). Infatti, se i fondamentalisti cercano il modello utopico nel passato, non propongono affatto il ritorno alla società tradizionale premoderna, quanto al tempo mitico delle origini, espresso nella lettera del testo sacro. Avversando ferocemente la stratificazione secolare di riflessione teologica, gerarchie clericali, usi e costumi, colpevoli dell’allontanamento.
Una simile avversione consente peraltro di separare il fondamentalismo dall’integralismo o da un semplice atteggiamento tradizionalista. In quanto la visione integralista si oppone alla modernità: proprio il ruolo del clero, assieme all’applicazione integrale della tradizione, irrigidita o bloccata nel suo rinnovarsi. Un’inclinazione che allontana dalla classificazione nel genere fondamentalista alcuni indirizzi presenti nel Cattolicesimo, confessione inseparabile dalla propria tradizione storica. Tutto il contrario del ritorno sconvolgente alle origini.
Evidentemente, il fondamentalismo è figlio legittimo della modernità. Soltanto una volta frammentate e indebolite le strutture antiche con gli stili di vita tradizionali, diventano possibili l’individualismo religioso e la scelta fondamentalista di risacralizzazione. Una scelta più oppositiva che costruttiva, «il fondamentalismo … costituisce, nel contempo, una categoria e un fenomeno essenzialmente moderni, un tipico prodotto della modernità. La modernità costituisce il testo, a partire dal quale il fondamentalismo costruisce il suo controtesto o il suo momento decostruttivo; o, se si preferisce, essa è la struttura a partire dalla quale si costruisce la deriva sovrastrutturale fondamentalista» (Giovanni Filoramo, Millenarismo e New Age).
Del resto, se i movimenti fondamentalisti mettono in discussione la laicità della polis, ridiscutono in stile moderno, formando associazioni basate sull’adesione volontaristica, tendenzialmente egualitarie, avvolte democratiche e largamente politicizzate. Basti pensare ai fondamentalisti americani, coinvolti nelle campagne a favore di Ronald Reagan o George W. Bush. Tutte inclinazioni affatto scontate, per una sensibilità tradizionale. Pur senza dimenticare la fonte religiosa di un fenomeno, irriducibile alla politica.
Infatti è necessario osservare il fondamentalismo anche alla luce dalla categoria del sacro. In quanto, parallelamente alla crisi delle istituzioni storiche, il sacro segna tutto il campo religioso moderno: con le sue manifestazioni spontanee, irrazionali, imprevedibili, non mediate, emotive. Dove singoli individui e gruppi possono cercare proprie fonti di identificazione, futuro o senso. Per i movimenti fondamentalisti, sacro è anzitutto il proprio canone di scritture. Sorgente del processo di risacralizzazione ma anche del «senso di esclusività e di esclusivismo» che separa dagli altri uomini, compresi i correligionari non fondamentalisti. In accordo alla consueta struttura del sacro, dicotomica rispetto al profano. Da tale prospettiva è possibile osservare la tendenza fondamentalista della minoranza islamica nell’India meridionale, caratterizzata dall’effetto di allontanare il rischio dell’assimilazione.
Così, il fondamentalismo opera «logiche antiche, legate ad esempio alla funzione del Libro sacro, del leader carismatico, dei simboli di purità, facendo loro svolgere funzioni nuove, la cui novità è data, appunto, dal particolare contesto in cui esse si trovano ora a realizzarsi. Si pensi alla funzione non soltanto di coesione sociale, ma anche di identificazione individuale che questi meccanismi svolgono» (Giovanni Filoramo, Millenarismo e New Age).
Ovvero, una volta che la modernità ha promosso e mescolato nuovi e mutevoli stili di vita, appiattiti sulla dimensione materiale e consumistica, distruggendo le vecchie forme di coesione ed identificazione: i fondamentalismi prosperano meglio, nella loro utopia di ritorno alle origini. Infatti il tema dell’allontanamento è tanto comune, quanto le rimpiante origini divergono. E divergono non di meno, quando diversi gruppi fondamentalisti leggono gli stessi libri. Sebbene, pressoché immancabilmente, il ritorno corra in prospettiva dualistica, tra le forze del bene impegnate nella difficile riconquista e quelle del male che si oppongono.
Le previsioni otto-novecentesche di un futuro completamente secolarizzato non si sono avverate, il sacro trascina ancora l’agire sociale. Almeno in certe situazioni. Certo, non sempre l’agire sociale, volto al recupero dei fondamenti, assume forme di coinvolgimento politico. Ma nel rimpianto del perduto vincolo forte, la propensione all’impegno politico di molti fondamentalisti sorprende poco. Giungendo avvolte a rappresentare, specialmente nei contesti di maggiore sradicamento e miseria, un elemento importante di richiamo. Ne risulta come il fondamentalismo attualizzi le antiche domande sulla corretta esegesi del testo sacro ma anche la teologia politica.
Solo raramente, se pure con frequenza crescente nel corso degli ultimi decenni, il ritorno politico ai fondamenti ha preso i modi del terrorismo e della violenza. Con espressioni tanto tragiche da imporsi quali aspetti determinanti nella rappresentazione mediatica del fenomeno e conseguentemente della sua percezione diffusa. Pertanto, osservare il fondamentalismo esclusivamente nelle sue versioni più inquietanti, rischia di precludere la comprensione corretta con gli interrogativi da porsi.
Conclude infatti Filoramo: «A prescindere dal giudizio che si dà del fondamentalismo, esso costringe infatti a chiedersi su quali basi sarà mai possibile mettere in moto quei più generali processi di azione collettiva, di messa in discussione della libera opinione senza limiti, di una ricerca individuale incapace di autolimitazioni e di sacrifici in nome di un bene metaindividuale, di una solidarietà in grado di trascendere finalmente i vincoli dell’egoismo e del narcisismo individuali. Nel contempo, nella situazione multiculturale e di pluralismo religioso in cui oggi ci troviamo a vivere, esso costringe a chiedersi fino a che punto può ancora funzionare un modello di rapporto tra Chiesa e Stato costruito in funzione di un’ideologia secolare e di una concezione privatistica della religione» (Giovanni Filoramo, Millenarismo e New Age).
Domande lontane dalla risposta. Tuttavia, sollevando tali interrogativi, il fondamentalismo certifica il suo carattere di forma religiosa moderna. Forse, più che l’oggetto distorto, inventato con l’applicazione di una lente occidentale, vera e propria creation of the West.