OGGETTO: Le Olimpiadi della discordia
DATA: 13 Agosto 2024
SEZIONE: Società
I Giochi della XXXIII Olimpiade fin dalla cerimonia inaugurale del 26 luglio hanno suscitato, e stanno suscitando, un vespaio di polemiche, che hanno interessato ampi strati e settori della società, determinando reazioni dualistiche e antitetiche, nel rispetto della più classica delle dinamiche calcistiche.
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Già la cerimonia di apertura ha disvelato il tema dell’eccesso, che rappresenta il sostrato su cui si regge, oramai, l’impianto valoriale occidentale; uno spettacolo prettamente circense dove, all’insegna del trash, dell’eccesso e della confusione, si sono alternati soggetti e motivi che, a ben vedere, con esibizioni funamboliche e deliberatamente provocatorie, hanno ricordato il vecchio e inattuale “fuori tema”. “Vecchio” e “inattuale” proprio perché le ragioni che hanno portato gli organizzatori delle olimpiadi in questione a optare per la carta dell’”eccesso” rappresentano il nucleo fondante del relativismo morale e culturale proprio della nostra epoca: non esiste il “fuori tema”, giacché tutto è in tema in materia di eccessi e, conseguentemente, tutto è lecito.

Ovviamente, a fungere da Cavallo di Troia è l’onnipresente e oppressivo motivo della (falsa) inclusione; preziosa ancora di salvataggio quando il naufragio, dovuto a scelte poco oculate e discutibilissime, è più che una possibilità. Così, se le reazioni di una parte del clero non si sono fatte attendere, sollevando la questione della blasfema rappresentazione dell’Ultima Cena, che avrebbe indignato milioni di credenti, dall’altra parte, malgrado le scuse di rito, si è precisato che non si è trattato della rappresentazione dell’Ultima Cena, ma di una sorta di Simposio degli dei in salsa arcobalenica, scatenando, poi, la parola del popolo dei social network per le puntuali “precisazioni scientifiche” di rito. Tuttavia, da un’analisi un po’ più accurata della situazione, si evince che il (fragile) pilastro argomentativo su cui si basa la chiusura della polemica si è rivelato, ancora una volta, il tema dell’inclusione. A detta degli organizzatori, si è voluto, infatti, delineare una rappresentazione “inclusiva” del Simposio degli dei.

Polemica chiusa e riflessione aperta: la questione della rappresentazione, di fatto, è una falsa questione, in quanto completamente fuorviante. A ben vedere le cose e in considerazione del materiale offerto dallo spettacolo inaugurale, non è affatto centrale il “cosa” è stato rappresentato, ma il “come” è stato rappresentato, e, soprattutto, l’attinenza e la coerenza con quello che doveva fungere da “traccia”: le Olimpiadi e ciò che nella loro essenza e nella storia significano e hanno significato. Ciò è da intendersi come aspetto chiave, strategicamente omesso nella successiva discussione. Il succitato “come” è, pertanto, l’elemento che tradisce un quadro culturale di fondo ben preciso, oltre a una specifica volontà. E siamo, dunque, all’educazione al grigio relativismo, terribilmente omologante, che pretende, furiosamente, di abbattere ogni differenza (culturale, biologica, religiosa, etnica ecc.) – il termine “differenza” è assolutamente bandito –, in virtù di una precisa linea politica che fa, per l’appunto, dell’omologazione e della riduzione dell’uomo a merce tra le merci il proprio fine.

«Tutto deve essere uguale (omologato), non possono sussistere differenze a prescindere e comunque, perché ne va dell’”inclusione”» è il mantra del politicamente corretto; una linea politica (disastrosa), essenzialmente nichilistica, che non ammette obiezioni e opposizioni, avvalendosi di evolutissimi e raffinati modi di repressione del dissenso (“reductio ad Hitlerum”, denigrazione, banalizzazione, accuse di operare discriminazioni e odio, gogna mediatica e conseguenziale riduzione al silenzio, ecc.), espletati attraverso la potentissima arma dei social network.

Le richiamate ed empiriche differenze, al contrario, costituiscono una vitale fonte di arricchimento e di confronto, e sembra del tutto inutile ribadire che, proprio in virtù del confronto consapevole con ciò che è differente, si cresce spiritualmente e culturalmente, adempiendo a quel miglioramento dell’essere in quanto essere che è prerogativa esclusiva dell’uomo. La testimonianza più autorevole, al riguardo, è quella della storia stessa: storia di incontri e scontri tra popoli e culture essenzialmente diversi.

Tornando ai giochi olimpici, ancora più polemiche ha destato l’incontro di pugilato femminile tra l’atleta italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif; un incontro che, a dispetto dei 46 secondi di effettiva durata, ha registrato una durata significativamente maggiore, in termini di conflittualità, rispetto a qualsiasi evento sportivo. Invero, ha trascinato sul ring tutta la classe politica italiana, che, sia da destra e che da sinistra, ha dato vita a un penoso spettacolo, caratterizzato da colpi di trans, ermafroditismo, femminismo, intersessualità, vittimismo, egualitarismo esasperante e storie strappa lacrime. A parte le speculazioni della politica, sul ring, soprattutto, sono finite le associazioni pugilistiche e le inevitabili contraddizioni, ancora una volta figlie di una deficienza cronica di cartesiano buonsenso. Infatti, nel 2023, sulla base di test effettuati dall’International Boxing Association (IBA), si è prodotta la squalifica dell’atleta algerina dai Campionati mondiali dilettantistici femminili, presumibilmente, per la presenza di cromosomi XY – i cromosomi Y, su un piano biologico, risultano associati al sesso maschile – e livelli di testosterone significativamente alti. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), invece, ha ammesso l’atleta algerina a competere alle Olimpiadi, sulla base degli esiti dei test medici somministrati. Il caso è oggettivamente controverso, giacché denuncia parametri di idoneità differenti e contraddittori. Risulta oltremodo evidente, inoltre, che standard e parametri, spesso, celano e riflettono precise visioni politiche della realtà. Di qui l’altra falsa questione: è maschio o donna? Questione alimentata funzionalmente anche dalla stampa russa per ovvie ragioni politiche.

A darsele di santa ragione, quindi, più che le atlete, sono state IBA e CIO, con la prima che si è perfino spinta ad annunciare il premio (centomila dollari da ripartire fra atleta, allenatore e federazione) solitamente riservato per coloro che conquistano l’oro, precisando, per bocca del presidente Umar Kremlev, che l’atleta Angela Carini verrà premiata “come se fosse diventata campionessa olimpica”. L’IBA, inoltre, ha annunciato di voler tutelare anche l’atleta ubzeka Sitora Turdibekova, la quale ha perso ai punti l’incontro pugilistico contro l’altra discussa atleta, la taiwanese Lin Yu Ting, anch’essa squalificata nel 2023 dall’IBA per ragioni presumibilmente analoghe a quelle che hanno interessato l’atleta algerina. La stessa atleta taiwanese, successivamente, ha sconfitto la bulgara Svetlana Kamenova Staneva, la quale, molto platealmente, rivolgendosi al pubblico, a mo’ di protesta, ha fatto il gesto della X, rivendicando l’identità sessuale femminile. A irrompere sul ring, in risposta all’iniziativa dell’IBA, poi, è stata la Federazione Pugilistica Italiana (FPI), che, con una secca nota, ha smentito l’ipotesi di accettazione di “qualsivoglia premio in denaro”.

In buona sostanza, la confusione scatenata da consumate scelte infelici ha trasformato il ring di pugilato in un ring di lotta libera, dove la pletora di attori protagonisti e non ha sicuramente dato il peggio di sé, in una ferma difesa delle ideologie di appartenenza, configuratasi come sicuro K.O. per lo spirito olimpico. Alla gogna mediatica, molto ingiustamente, sono finite le atlete, attaccate ed esaltate a colpi di social network e stampa dai rispettivi sacerdoti e custodi dell’ideologia di turno. Un epilogo decisamente volgare che ha inficiato la credibilità dello spirito olimpico stesso, completamente fagocitato dalle lotte tra fazioni ideologiche.

A prescindere dal loro epilogo, i giochi olimpici francesi hanno messo a nudo tutta la fragilità di una società, quella occidentale contemporanea, di cui la Francia è sicuramente degna rappresentante; una società che, da tempo, versa in un pessimo stato di salute, profondamente alienata da sé e dominata da un impianto valoriale materialistico, schizofrenico ed essenzialmente nichilista; una società, che, tradendo la propria storia, pretende, molto ipocritamente, di dare insegnamenti al resto del mondo per poi cadere vittima dei colpi fatali derivanti dalle innumerevoli contraddizioni di un – hegelianamente parlando – “razionale” che naviga in cattive acque; acque tanto malsane quanto quelle della Senna…

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