Bisogna sempre aver timore degli stati più poveri, specie se questi, in tempi ormai distanti, sono stati oggetto di colonizzazione. Il Burkina Faso, formalmente indipendente dal 1960, ancora oggi una delle nazioni più instabili e povere dell’Africa occidentale, vive oggi una fase di profonda transizione politica e identitaria. A decenni dall’assassinio di Thomas Sankara, figura rivoluzionaria ancora oggi venerata come simbolo di giustizia sociale e indipendenza africana, il suo spirito sembra riemergere nella figura del giovane capitano Ibrahim Traorè. Salito al potere con un colpo di Stato nel 2022, Traorè ha saputo intercettare il malcontento popolare e il bisogno di riscatto, presentandosi come erede morale di Sankara: antimperialista, radicalmente critico verso l’influenza francese, e deciso a riconquistare la sovranità territoriale contro l’avanzata jihadista. Tra speranze di emancipazione e rischi di deriva autoritaria, il suo governo (almeno sulla carta transitorio) resta al centro di una sfida geopolitica che coinvolge potenze straniere, attori regionali e il futuro stesso del Sahel.
Il legittimo sentimento di piena indipendenza del Burkina Faso, o meglio le legittime aspettative della popolazione ad una vita dignitosa, si scontrano con la cruda realtà del mondo e sull’impossibilità di uno stato indigente di poter fare tutto da solo. In questo limite di fondo si annida un pericolo non irrilevante per l’Occidente e per il popolo Burkinabé: il passaggio da un padrone ad un altro.
Dietro l’astro nascente della politica africana in effetti sembra annidarsi la mano della Russia, decisa ad ampliare la sua influenza nella regione del Sahel, dopo i due colpi di Stato in Mali e Niger. Quella che sembra essere un grande poema epico di riscatto di un intero Stato potrebbe tramutarsi in puro arrivismo di altri: la lotta contro il colonialismo sembra diventare un implicito consenso al Neocolonialismo di altre potenze. Si cerca in altri termini di controllare uno Stato basando la propria influenza non sull’oppressione o sull’uso della forza, ma propugnando e vendendo un ideale di libertà che seppur apparente è percepito come autentico.
Gli indizi, anzi le prove di un’ingerenza Russa sono lampanti sin dall’insediamento di Traorè, a partire dall’espulsione della presenza militare francese sul territorio, attiva in azioni militari anti jihadiste e tesa a contrastare l’influenza sino-russa nella zona. Contestualmente si è avuta l’instaurazione di una alleanza degli Stati del Sahel (con la partecipazione non a caso di Mali e Niger) e l’uscita dall’Ecowas considerata corrotta e vicina all’Occidente.
Sul piano interno la situazione si fa ancora più chiara, specie per quanto riguarda il settore dell’estrazione dell’oro. Se da una parte il governo ha dimostrato una politica di nazionalizzazione delle miniere presenti sul territorio, dall’altra si può notare come questa abbia avuto come destinatarie le sole compagnie occidentali. Alla nazionalizzazione a favor di popolo si è accompagnata la collaborazione con la Nordgold, società di estrazione dell’oro Russa, controllata dalla Severstal, attiva nella produzione di acciaio. Il tutto controllato da Alexey Mordashov, oligarca vicinissimo a Putin. A ciò si aggiungono poi numerosi accordi di partenariato strategico in campi di primaria importanza per la vita di ogni Stato: dalla cooperazione militare e di sicurezza tramite supporti militari diretti e tramite la formazione dei soldati burkinabé, dalla cooperazione nella produzione di energia nucleare, ricerca medica ed agricoltura fino ad arrivare alle infrastrutture e la tecnologia spaziale.
Dell’amicizia tra i due paesi non ne fa mistero lo stesso Traorè che anzi più volte ha incontrato lo stesso Putin, riflettendo non solo un’intesa personale fra i due leader, ma soprattutto un progetto strategico che sfida apertamente l’influenza occidentale nella regione. La percezione della popolazione poi segue quella del suo leader, che tramite una legittimazione e un acclarato culto della personalità appare come infallibile in ogni scelta. Traorè ha il carisma dei grandi leader, ogni azione appare intrisa di una profonda verità e motivata sempre da ragioni di progresso sociale: la concezione dello Stato e del suo rappresentante si amalgamo in una sola entità.
Il controllo quasi totale del Sahel da parte dei Russi non può che tradursi in un pesante colpo per tutto l’Occidente che vede gradualmente perdere sempre di più l’influenza sul continente Africano. L’Occidente per suo contro sembra si sia disinteressato completamente a cucire rapporti stabili con l’Africa, anzi l’ha dimenticata totalmente, preferendo grigi accordi societari in luogo di vero progresso.
Ed è proprio in questo vuoto politico, militare e simbolico che si inserisce la Russia. La relazione tra Putin e Traoré non è solo diplomatica: è ideologica. La narrativa proposta da Mosca che si presenta come partner non coloniale trova terreno fertile. I vari accordi diseguali, nonostante implichino una presenza attiva russa nel campo militare, economico ed energetico sono letti dalla popolazione come strumenti di autodeterminazione, non di dominazione. La simbologia parla chiara, dalle bandiere russe sventolate dalla popolazione in festa nelle strade di Ouagadougou, alle manifestazioni popolari contro la Francia, fino alla visita di Traoré a Mosca per la parata della vittoria sul nazi-fascismo.
L’Occidente ha chiaramente sottovalutato il peso della memoria coloniale, ha ignorato la sete della popolazione di dignità politica, di dignità umana. Ed oggi mentre i nuovi attori come la Russia (e sempre di più la Cina) sono pronti a divorarsi l’Africa nella maniera più discrezionale possibile, consci del fatto che riceveranno sempre e comunque applausi, l’Occidente scopre di aver perso non solo influenza, ma sopratutto credibilità.