Regista e attore, scrittore, poeta, direttore di teatro, pittore, lettore di tarocchi e, in ultimo, padre della psicomagia, Alejandro Jodorowsky sembra racchiudere in sé la vera essenza di un artista tout court, poliedrico, eclettico ed enigmatico. C’è chi lo ritiene un visionario, chi un genio: a ben vedere, Jodorowsky è uno dei pochi nello scenario contemporaneo a meritare per davvero l’etichetta di “artista”. Formatosi nel solco dell’arte di Marcel Marceau, l’esordio artistico del cileno Alejandro Jodorowsky è da collocarsi nel segno del teatro e del cinema. Quest’ultimo è stato spesso definito semplice epigono tardo del surrealismo, una ripresa negli anni ’70 dell’avanguardia surrealista del primo Novecento, che vide esponenti come André Bretón, Salvador Dalì o Max Ernst. Le basi volontariamente provocatrici del suo cinema, con elementi di pornografia e omosessualità maschile, sono di chiara ascendenza surrealista. Lo stesso Jodorowsky ha affermato più volte quanto Luis Buñuel, uno dei massimi rappresentanti del cinema surrealista, sia sullo sfondo di film come El topo (1971), La montagna sacra (1973) o Santa Sangre (1988).
«La realtà, senza l’immaginazione, è la metà della realtà.»
Luis Buñuel
L’elemento che accomuna il cinema di Buñuel e quello di Jodorowsky è il grande spazio che è concesso all’immaginazione e all’irrazionale, senza dare alcuna importanza a tabù religiosi, morali o sessuali, che anzi vengono puntualmente violati. L’obiettivo del cinema jodorowskiano è sconvolgere lo spettatore attraverso la rappresentazione del perturbante, ciò che disturba e al tempo stesso attrae. Un cinema che attinge dal teatro della crudeltà di Antonin Artaud, dal cinema di Cocteau, Fellini e Tod Browning, e dalla tradizione esoterica. Da quest’ultima Jodorowsky ricava l’ampio uso di simboli, che scavano uno spazio maggiore nella pratica della psicomagia, recentemente introdotta da Jodorowsky stesso. Proprio la psicomagia ha messo in dubbio la validità artistica del regista cileno. Se il valore artistico del suo cinema è accreditato da buona parte della critica, la conversione alla pratica psicomagica, che unisce psicologia ed esoterismo, è stata condannata da molti. Nel 2019 è uscito il documentario Psicomagia. Un’arte per guarire, ritenuta l’opera più esaustiva realizzata da Jodorowsky per spiegare questa nuova forma d’arte da lui introdotta. Vedere sullo schermo donne che fanno il proprio ritratto usando il sangue mestruale, un uomo che viene sepolto vivo mentre degli avvoltoi si cibano di pezzi di carne su di lui, o l’uomo che frantuma delle zucche immaginando di uccidere la propria famiglia, ebbene sono immagini, per l’appunto, perturbanti, che disturbano e sconvolgono lo spettatore. Chi osteggia la psicomagia, e la figura di Jodorowsky in particolare, definisce quest’ultimo un folle visionario, un ciarlatano fuori di sé, che illude le persone di poter guarire da traumi con una serie di riti osceni e profani, spesso a sfondo sessuale. È davvero così? Riportiamo le parole che il regista in persona recita all’inizio del documentario:
«La psicoanalisi fu creata da Sigmund Freud, un medico neurologo; le sue radici sono scientifiche. La psicomagia fu creata da Alejandro Jodorowsky, un regista e direttore di teatro; le sue radici sono artistiche. La psicoanalisi è una terapia mediante parole. La psicomagia è una terapia mediante atti. La psicoanalisi proibisce al terapeuta di toccare il suo paziente. La psicomagia raccomanda al terapeuta di toccare i suoi consultanti.»
Bisogna precisare, però, che più che alla psicoanalisi freudiana, la psicomagia potrebbe accostarsi a quella junghiana, con la quale condivide l’importanza data all’espressione personale (ossia, le parole con cui il soggetto descrive il trauma) e la credenza in un inconscio collettivo, che si manifesta attraverso una serie di simboli validi per tutte le culture: per esempio, la terra rappresentante il femminile, o il frutto che si fa portatore dell’idea di fecondità. L’accostamento tra psicoanalisi e psicomagia deve aver contribuito a puntare il dito contro Jodorowsky. Tuttavia, bisogna sottolineare come non venga condannata la psicoanalisi, non ci sia un rifiuto netto, né la psicomagia è presentata come un’alternativa. Semplicemente, si definiscono due pratiche che mirano a uno stesso obiettivo (la guarigione da un trauma), ma attraverso due ambiti diametralmente opposti: da una parte quello scientifico, dall’altra quello artistico. Scienza e arte non si risolvono nella psicomagia: Jodorowsky non opera nessuna sintesi, tutt’altro. L’arte resta nel campo dell’arte, radicalmente lontana dalla scienza.
Ma allora cos’è davvero la psicomagia? Per comprenderla pienamente bisogna portare lo sguardo alle sperimentazioni teatrali degli anni ’50 e ’60, ossia al Moviment Panique, fondato a Parigi da Jodorowsky, Fernando Arrabal e Roland Topor. Il teatro panico si basava sui cosiddetti «ephimères paniques« (letteralmente, «effimeri panici»), o semplicemente atti poetici. In effetti, una costante nell’arte di Jodorowsky è la ricerca di poesia. Questa componente deriva direttamente dal luogo di origine del regista.
«Negli anni ’40 e all’inizio degli anni ’50 in Cile più che in alcun altro luogo, si viveva poeticamente. La poesia impregnava tutto: l’insegnamento, la politica, la vita culturale.»
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà
Erano gli anni di poeti come Pablo de Rokha, Gabriela Mistral, Vicente Huidobro e Pablo Neruda. Se si vedono film dichiaratamente autobiografici, come La danza della realtà (2013) o Poesia senza fine (2016), è ben evidente quanto la poesia sia stata fondamentale per la formazione di Jodorowsky, e quanto la sua ricerca permei l’attività artistica del regista. La concezione di poesia di Jodorowsky, come lui stesso ammette, è vicina a quella del futurista italiano Filippo Tommaso Marinetti, per il quale la poesia era un semplice atto. Da qui, si parla di atto poetico, attraverso il quale Jodorowsky porta la poesia nel teatro, o meglio fa in modo che il teatro possa rivelare la presenza latente della poesia nella realtà.
«L’atto poetico è un richiamo alla realtà. Questa vita che noi vorremmo razionale è, in realtà, folle, scioccante, meravigliosa e crudele. Se noi guardassimo lucidamente la nostra realtà, costateremmo che essa è poetica, illogica, esuberante.»
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà
L’atto poetico, su cui si fonda il teatro panico jodorowskiano, nonché la psicomagia, deve essere sconcertante, lasciare esprimere emozioni e sensazioni, mirando alla trasformazione non soltanto dell’attore, ma anche dello spettatore. Negli spettacoli panici, che Jodorowsky definisce vere e proprie feste pagane, tutto ciò che è utilizzato deve poter essere distrutto, di modo tale che non resti più nulla.
«Il panico è un modo di essere governato dalla confusione, l’humour, la paura, il caso e l’euforia. Il panico trova la sua espressione più completa nella festa panica, la cerimonia teatrale, il gioco, l’arte e la solitudine indifferente.»
Tutto ciò si ritrova di pari passo negli atti psicomagici. Un atto psicomagico prevede tre fasi: la prima è la consultazione con lo psicomago, durante la quale il consultante rivelerà il motivo per il quale vuole ricorrere alla psicomagia, quale trauma ha subito, confidando problemi del presente, ma parlando anche del passato e della famiglia. In questa fase Jodorowsky si avvale dei tarocchi, che non sono usati come mezzo rivelatore del futuro, bensì del presente e del passato: mediante la particolare simbologia esoterica dei tarocchi di Marsiglia, il consultante, con l’aiuto dello psicomago, può riportare alla coscienza un trauma rimosso. A tal proposito, occorre accennare anche alla teoria della metagenealogia, anche questa introdotta da Jodorowsky stesso: secondo lo psicomago, la famiglia non soltanto tramanda usi e costumi, ma anche paure, inibizioni e traumi; di conseguenza, un trauma del presente può essere dovuto a un’eredità familiare. La seconda fase è l’atto in sé, prescritto dallo psicomago, ed è il momento in cui l’individuo si trasforma in creatore, dal momento che, sebbene ci sia uno schema organizzativo, molto è lasciato al caso, alla libera iniziativa del consultante. Esistono diverse tipologie di atti psicomagici: l’atto imitativo, il creatore, e quello puramente simbolico. Quest’ultimo è sicuramente il tipo più complesso, nonché quello in cui l’importanza dei simboli è più evidente. L’antropologo Gilbert Durand, riprendendo le parole di Herny Cordin, affermava che il simbolo è «una rappresentazione che fa apparire un senso segreto; è l’epifania di un mistero». E i simboli permettono di comunicare direttamente con l’inconscio. Jodorowsky ha parlato di un anti-surrealismo, nella misura in cui non si tratta di fare entrare il linguaggio inconscio in quello reale, ma di insegnare al linguaggio della realtà quello inconscio. Infine, la terza e ultima fase di un atto psicomagico consiste in ciò che accade subito dopo: solitamente, il consultante deve scrivere una lettera in cui descrive com’è stato svolto l’atto e quali sono state le sue conseguenze, e indirizzarla allo psicomago.
Non importa qui valutare se la psicomagia di Alejandro Jodorowsky sia efficace o meno, quanto possa essere utile per una donna che sente repulsione per gli uomini vestirsi da prostituta, o per uno scrittore alcolista che non riesce più a scrivere bruciare i manoscritti con l’alcol, o ancora affrontare un aborto seppellendo un frutto. Né si vogliono riportare testimonianze, già raccolte da Jodorowsky stesso nei suoi libri e nel recente documentario. Ciò che si vuole mettere in evidenza è la portata artistica e poetica degli atti psicomagici. Affondano le radici nella più antica tradizione pagana e folkloristica, nell’arte surrealista, e nel parateatro di Jerzy Grotowski. Un rito antico, con danze e canti, stati di trance, simbologia enigmatica, tutto ciò non può non esercitare un forte fascino anche su chi non condivide le finalità per cui viene praticato. Lo stesso accade per la psicomagia di Jodorowsky: si può non credere nelle sue proprietà curative, ma è innegabile il suo fascino, un fascino tutto artistico. D’altronde, è lo stesso Jodorowsky ad affermare:
«Io non mi colloco su un terreno scientifico ma su un piano artistico. La psicomagia non è affatto una scienza ma una forma d’arte applicata possedendo delle virtù terapeutiche, il che è del tutto diverso.»
L’arte come terapia. Un concetto antichissimo che Jodorowsky fa rivivere ai giorni nostri. Non siamo lontani dall’arte-terapia di Jean-Pierre Klein, per il quale la creazione artistica porta inevitabilmente a una trasformazione. Lo stesso viene affermato da Alejandro Jodorowsky: un atto psicomagico è creazione, e la creazione conduce a un cambiamento mentale. Questo non vuol dire risolvere il trauma, ma assumere la condizione mentale adatta per poterlo affrontare. E per questo ci si avvale di qualsiasi forma d’arte: dal teatro al cinema, dalla poesia alla psicomagia, l’arte che cura. È per questa sua poliedricità, e per il tentativo di portare alla luce la poesia che è nascosta nella realtà, che Alejandro Jodorowsky merita di essere definito “artista”.