Il fascismo è entrato oggi in una nuova (ennesima) dimensione. Non nel senso effettivo del termine, quale manifestazione materiale e concreta nella realtà. Quanto piuttosto nella sua capacità, comune soltanto a pochi altri termini divenuti cestino in cui gettare tutta la presunta spazzatura delle nostre società libere e democratiche. Medioevo, fascismo, populismo e preistoria, sono le diverse sfumature in cui si addensa il vocabolario delle semplificazioni nostrane. In questo ricchissimo vocabolario, spiccano anche maschilismo, patriarcato, colonialismo e imperialismo. Termini che sono oggetto di revisione e discussione. Che si applicano a certe categorie specifiche. Talvolta meritevoli di attenzione. In altri casi si tratta di meri contenitori vuoti. Di cartellini con cui riempire ciò che è incomprensibile oggi, attribuendo nominativi datati; oppure per descrivere il passato con il giudizio di oggi. Giacché riteniamo che il futuro sia sempre e comunque, dati alla mano, migliore del passato.
Rimasti soli, assieme a poche altre collettività svuotate della propria (brutale) identità storica, gli europei occidentali e le coste statunitensi si continuano a celebrare perno della storia giunta al suo massimo splendore e al proprio tramonto tanto auspicato. Il fascismo, con la sua carica di inconcepibile violenza, con la propria spesso indecifrabile matrice ideologica, è oggi temuto e raccontato. L’Italia fa i conti con il proprio passato un giorno sì e l’altro pure. Compiangendosi della propria malvagità (vera) e del proprio passato imperialista e intollerante (vero anche questo) e celebrandosi oggi, finalmente libera. Mentre si mette in guardia e mette in guardia i liberi cittadini italiani (pardon “europei”) dal “ritorno” del fascismo.
Rendendo estremamente presente una figura mitizzata e denigrata, come quella di Benito Mussolini, salito (ancora) agli onori di cronaca in una manciata di anni. Prima tornando in vita, scimmiottando l’altra grande pentita (e sconfitta) d’Europa, Germania con il suo Adolf Hitler redivivo. Poi mettendo in scena il fortunatissimo romanzo di Scurati, “M il figlio del secolo”. Prodotti cinematografici buoni. Con una resa del personaggio accettabile, stante i limiti del romanzo e della finzione. E in cui comunque, specialmente nella serie appena conclusa (almeno nella prima stagione), una lettura critica è possibile e anche auspicabile. Senza celebrare in toto e senza condannare in maniera aprioristica. Una lettura che non può prescindere dal notare tutti i travisamenti e la necessità, tipica delle nostre pacifiche società, di disvelare il Male, inquadrarlo, demonizzarlo e respingerlo. Giocando un po’ sulla facilità con cui quasi ogni passaggio storico (specialmente quelli cruenti) siano apparentemente attualizzabili e possano fornire una qualche lettura educativa. Tutto è esperienza e formazione. Tutto è non ripetere gli errori del passato.
Così, tra il Mussolini di “Sono tornato” (legittimamente) smascherato nel suo essere antisemita, con annesso ricordo della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte americana e il Mussolini di “M, il figlio del secolo”, novello Donald Trump che proclama sprezzante “Make Italy great again”, si insinuano le stesse dinamiche ideologiche. In primo luogo: che i buoni, gli unici e veri buoni, sono gli americani, i quali sono riusciti persino dove non hanno avuto quasi voce in capitolo. La guerra l’hanno vinta da soli e tutto ciò che proviene dagli americani (bombardamenti esclusi) è accettabile e desiderabile. In secondo luogo: questa nuova America in salsa trumpiana non è l’America buona che ha impedito ai cattivi di prendere il potere in Europa. Sta diventando altro e sta commettendo gli errori di cui noi italiani (pardon, europei) siamo stati protagonisti. In terzo luogo: pur di ottima fattura, il senso di colpa che trasuda da “M il figlio del secolo” è palpabile e a tratti lascia interdetti. All’interpretazione di qualsiasi non proprio pezzo di pane della storia, pochissimi o nessuno hanno mosso autoaccusa e autocensura. Dichiarazioni di antifascismo, disprezzo profondo. Tutto comprensibile, tranne la necessità di sottolinearlo.
Infine rimane la dimensione al di là della storia che pure non è di questo prodotto, né del romanzo, né di altri prodotti del genere. Né è richiesta dall’arte una perfetta ricostruzione storica. Colpisce però l’apriorismo delle letture conseguenti. L’evidenza secondo il quale Mussolini sarebbe stato, nell’ordine “primo dei populisti”, “inventore dell’antipolitica”, “maschilista tossico” (con annesse accentuazioni, volute, delle sue vicende amorose). Il tutto per suggellare la volontà di aumentare la dose di disprezzo e di autoflagellazione. Con il risultato di non alimentare né il dialogo né la comprensione profonda del problema. E l’utilizzo anche a livelli accademici del termine “fascista” riferito ai fenomeni moderni ne è la concreta e comunque sempre attuale manifestazione. Un buco nero in cui riversare tutto ciò che abbiamo faticosamente edificato in tema di diritti, libertà e democrazia e in cui qualche folle, che non ha compreso che dalla storia bisognerebbe apprendere (leggasi i mitologici populisti) vorrebbero ricacciarci.
Ma intorno a questi elementi, ce ne sono altri. La notizia è che da soli sarebbero bastati a restituire un prodotto romanzato, ma storicamente efficace. In grado, tramite la sola espressione della brutalità e della stessa ideologia del fascismo, di suggellare il nuovo patto tra l’Italia e i propri demoni. La violenza squadrista e la precisa volontà di demolire l’Italia liberale, viaggiano nella monarchia uscita vincitrice sfibrata dalla Grande Guerra, sul ritmo di classi dirigenti incapaci. E in cui il Partito Socialista è monolite unico e coerente. E non un mosaico di correnti destinato a sfaldarsi. Anch’esso con una propria corrente massimilista, divenuta Partito Comunista e pronta a ereditare alla fine delle guerra tutte le istanze nazionalpopolari del fu regime fascista, salvo essere riassorbita e indebolita dall’annessione italiana al blocco atlantico. Altra vicenda e altro tempo, in cui spesso si dimentica l’ultimo dato, forse il più interessante.
La storia dovrebbe insegnare che non ha nulla da insegnare, perché è centrata sulle caratteristiche antropologiche, culturali e sulle circostanze di una data collettività in un certo tempo. I “fascismi” di oggi oltre alle deleterie nostalgie, alle esecrabili violenze, a una diffusa intolleranza anche etnica, alla radicalizzazione di elementi conservatori, che pure costituiscono alcune delle caratteristiche delle storiche espressioni politiche di tale fattura, non nascono dal medesimo brodo culturale. Non vi è oggi il rigoglio militarista, espansionista, esaltato dalla guerra del 1915-1918, cavalcato con convinzione e opportunismo da D’Annunzio. Coagulato artisticamente dal futurismo, dai vociani e dai nazionalisti (in misura minore, perché ritenuti troppo passatisti) nella spinta verso una “nuova Italia”, una “Grande Italia”, moderna, tecnologicamente avanzata, faro dell’Occidente in sprezzo alle “plutocrazie” anglo-francesi. Gemmato dalle fazioni più militanti del socialismo, dal sindacalismo rivoluzionario (dalle cui fila proveniva lo stesso Mussolini), dal mito dell’irredentismo e di Roma. Non vi è e non vi può essere. Diremmo, anche, per fortuna. E non vi può essere perché sono le spinte giovanili (quelle vere), quando giovane è la maggioranza e massimiliste le proprie aspirazioni a sancire dei cambi di passo, anche drammatici.
Il fascismo fu rivoluzione giovanile in senso stretto e tragico. Voluta dai giovani usciti profondamente trasformati dall’esperienza della trincea. Dall’arditismo, tramutatosi in disprezzo per la società esistente. Di questi elementi, che emergono in “M”, sembra non rimanere granché traccia quando ci si sofferma sull’oggi e sugli stentati paragoni con il neofascismo contemporaneo. Fenomeni odiosi, senz’altro. Da tenere d’occhio, senza dubbio. Da temere, probabilmente, ma in una veste nuova e con uno sforzo intellettuale superiore a quello della reductio cui le nostre stanche società ci hanno abituato. O vogliamo ritenere che dalla misera percentuale di giovani italiani, più propensi a sopravvivere e a guardare al futuro, si annidi una prossima progenie di squadristi pronti a condurci sull’orlo dell’abisso, vagheggiando di un’Italia “più grande”?
Mussolini, come analizzato e spiegato a più riprese da Emilio Gentile, è contemporaneamente artefice e prodotto della creatura chiamata fascismo. Il fascismo storico è possibilità di realizzazione entro la miriade di tensioni e violenze che attraversano l’Italia prima, durante e dopo la Grande Guerra. Da solo, coagula tutte queste tendenze, restando perciò talmente indecifrabile, liquido e anti-ideologico da aver lasciato la storiografia incerta se attribuire a tale carattere non monolitico una vera dignità politica. Ciò lo ha reso, peraltro, facilmente malleabile. Adatto a ogni epoca e a ogni sfumatura di significato, giacché ogni sfumatura è essa stessa parte del fascismo. Certamente una facilitazione, per chi vuol ricondurre tutto ciò che è anti-democratico (giustamente) al fascismo. Resta il dubbio che a restare indietro in tutto il faticoso e ancora incompiuto viaggio italiano verso la consapevolezza del proprio passato e verso l’accettazione del dolore, senza mistificazioni, né perenni colpevolizzazioni, sia la sensazione che tale momento drammatico e di inaudita ferocia sia sgorgato quasi senza preavviso dal ventre molle degli italiani “brava gente”. E abbia proposto una versione alternativa (non opposta) di modernità. Frutto dimentico della rivoluzione francese, al pari delle democrazie liberali europee. Non negazione del progresso, ma cammino alternativo e ritenuto più efficace.
Non negazione della libertà, ma sua trasformazione in libertà non individuale ma collettiva. Basata sulla “fratellanza gerarchica”. Votata alla guerra e alla morte. Questi elementi non sono tollerabili, perché avvicinano alla profondità dell’inconscio collettivo. Proiettando paure ancestrali e ricordi che gli italiani hanno voluto seppellire per non doverci fare più i conti. E, forse, è proprio questo aspetto a rendere insostenibile il peso del passato per la vecchia Italia, parte della vecchia Europa. Al limite rispolverando solamente il pittoresco, il bizzarro e il cruento, come negli ultimi prodotti cinematografici, seppellendo dietro la buffonaggine del personaggio Mussolini la tragedia della storia della collettività italiana. Tragedia che è propria di ogni popolazione umana, in quanto tale.