Il leader turco Tayyip Erdogan è uno dei leader più attivi in merito alla crisi nel Vicino Oriente, che vede scontrarsi Israele e Iran. In questa fase di intensificazione del conflitto, si registra la volontà di Ankara di essere protagonista, sia proponendosi a Pezeshkian come facilitatore nella mediazione tra i due attori nelle prime ore dello scontro, sia difendendo le istanze di Teheran, ritenuta in diritto di difendersi con fermezza dall’aggressione di Tel Aviv, rea secondo il capo turco di star commettendo terrorismo di stato. Analizzando le recenti affermazioni, risulta essere inequivocabile la necessità di essere protagonista delle dinamiche conflittuali mediorientali, quanto meno da un punto di vista diplomatico. Ciò che sta accadendo nella regione coinvolge direttamente la Turchia, la quale detiene già una cospicua influenza in questo spazio, ed ambisce ad estenderla notevolmente in futuro.
Ankara è solita giocare su più tavoli ed inserirsi in tutte le grandi crisi internazionali, in modo da massimizzare il proprio payoff grazie ad un approccio squisitamente machiavellico. Inoltre, a differenza degli altri alleati della Nato è uno degli stati con più autonomia strategica, fattore che le permette di agire con libertà nello scacchiere internazionale, senza dover necessariamente rendere conto all’impero statunitense. Questa posizione le ha concesso la possibilità di avviare un processo di espansione geopolitica nel Mediterraneo e nel Medioriente, combinando un grande lavoro diplomatico e di intelligence e sostenendo operazioni militari, sia in maniera diretta che indiretta tramite proxy. Uno degli esempi più rappresentativi del metodo di lavoro turco è il regime change siriano, all’interno del quale Erdogan ha avuto un ruolo determinante, agendo dietro le quinte, mostrando ancora una volta le sue straordinarie capacità tattiche. In questa occasione Ankara e Tel Aviv hanno raggiunto un risultato estremamente positivo per entrambe, riuscendo a rimuovere un regime estremamente scomodo come quello di Assad, ed ampliando la propria influenza geopolitica nello spazio siriano.
Due potenze regionali, nonostante in determinate circostanze possano avere interessi comuni, difficilmente sono in grado di tessere un rapporto positivo, ma si guarderanno sempre con grande diffidenza, e possono facilmente entrare in conflitto qualora dovesse venire a mancare l’equilibrio strategico nell’area. L’escalation verificatasi negli ultimi giorni nel Vicino Oriente ha visto entrambi gli attori colpirsi duramente, per favorire il raggiungimento dei propri obiettivi tattici. Per Israele, in questo momento, è fondamentale indietreggiare il programma nucleareiraniano ed eliminare le personalità di alto rango militare e politico, mentre per gli avversari è necessario inficiare più danni possibili ai rivali, in modo da condividere al mondo l’immagine di sé di una potenza ancora forte e solida, pronta a combattere a lungo, nonostante le cospicue perdite che i mirati attacchi di Tel Aviv hanno provocato. Se per quest’ultima l’obiettivo strategico è quello di decapitare il sistema di governo della Repubblica Islamica e neutralizzare il suo potere nello spazio mediorientale, per Teheran la prerogativa è quella di sopravvivere a livello statuale e politico, a maggior ragione qualora gli Stati Uniti dovessero inserirsi nel conflitto. Nonostante stia colpendo con efficienza i suoi avversari tramite attacchi missilistici, l’Iran sul lungo periodo potrebbe non reggere il confronto e rischiare di soccombere al cospetto dei nemici. Per la Turchia uno scenario di questo tipo potrebbe essere tragico, perché la presenza dei persiani garantisce il balance of power regionale, il quale le permette di non essere costretta a sfidarsi strategicamente con Israele. Ankara per poter elevarsi a grande potenza mondiale necessita di dare continuità al processo di espansione nel “doppio med”, il quale però qualora dovesse concretizzarsi la caduta del regime islamico la porterebbe a combattere direttamente con Israele per il dominio geopolitico dell’area. La presenza di due attori perennemente impegnati a scontrarsi è fondamentale per operare liberamente ed estendere il proprio potere senza attirare le attenzioni dei potenziali avversari strategici.
È chiaro che la proposta di offrirsi come mediatore, così come la condanna degli attacchi israelianisono dei messaggi difficilmente fraintendibili: la Turchia c’è, ed osserva attentamente l’evoluzione della guerra, e l’Iran deve necessariamente continuare ad esistere per garantire la stabilità della regione. Sulla lista di Tel Aviv, dopo aver distrutto Gaza ed Hamas ed aver reso innocua Teheran, il prossimo step sarebbe contrastare Ankara e il suo espansionismo geopolitico, considerato come una futura potenziale minaccia alla prosperità del Paese. Il giornalista israeliano Eyal Berkovich, paragonando la situazione odierna ad un torneo di calcio, ha scherzato dicendo che lo stato ebraico ha pareggiato con Hamas nei tempi regolamentari per poi batterli successivamente ai rigori, ha battuto l’Iran in semifinale e ora dovrà vedersela con la Turchia in finale. Nonostante si tratti di una battuta, è lecito aspettarsi che nel caso in cui la Repubblica Islamica dovesse uscire notevolmente ridimensionata dal conflitto, il prossimo nemico potrebbe diventare Erdogan. Lo spazio mediorientale è incandescente, e pare che gli equilibri strategici siano pronti a saltare definitivamente, aprendo a degli scenari capaci di rivoluzionare il sistema internazionale nel suo complesso.