La realtà, come recita un adagio sentito e risentito, spesso supera la fantasia. Gli sceneggiatori, i romani come i californiani, si perdono negli inutili tentativi di tenere il passo con i fatti. Il risultato è che la non fiction è sovente più conservativa della fiction. Nessuno sceneggiatore – neanche quelli di Mister Robot o di The Zero Theorem – si sarebbe potuto immaginare una storia come quella raccontata dai giornali qualche giorno fa. Capita che ragazzo solitario nato a Gela ventitré anni fa in una famiglia benestante, cresciuto in un ambiente sereno ma bullizzato a scuola, trovi conforto unicamente fra le mura della propria cameretta. Qui comincia a passare le giornate davanti al computer; non davanti ai videogiochi (o perlomeno non solo) ma nel tentativo di trarre il massimo dalle potenzialità della macchina che ha davanti a sé. Diventerà «un mago dell’informatica», uno «che ci ha fatto girare la testa per oltre un anno», come afferma niente meno che Nicola Gratteri durante la conferenza stampa a margine del suo arresto. Un ragazzo capace di trafugare centinaia di documenti riservati, che ha violato mail istituzionali, accumulando nel frattempo milioni di euro in criptovalute. Tronfio e sicuro di sé, tanto da vantarsi con un amico di essere con il fiato delle forze dell’ordine sul collo. Il Corriere della Sera ha riportato una sua conversazione: «Aspetta, ti faccio ridere… la parte worst (peggiore, ndr) è de qua. L’altro push (inteso: aggravio, ndr) deve arrivare», diceva Carmelo Miano a un amico, mostrandogli al pc i file riservarti delle indagini in corso su di sé e il «meme», come lo chiama lui, dell’immagine di un volto anonimo col suo nome di fianco alla dicitura «indagato».
E per colpa di una talpa i sistemi informatici sono ora da riscrivere completamente. Così come da ricostruire è il rapporto che i membri di Fratelli d’Italia hanno con le loro chat su whatsapp. La chat in questione includeva trentaquattro deputati e trentadue fra membri dello staff ed ex parlamentari. I fatti si spiegano in fretta: una fuga di notizie – quella relativa alla convocazione di un voto per portare Francesco Saverio Marini alla Corte Costituzionale – manda su tutte le furie Giorgia Meloni, che si sfoga con i suoi. Nel giro di poco le sue parole vanno in pasto alla stampa: in particolare si dà risalto all’uso dell’espressione “infamie”. Poco conta, adesso ad andare su tutte le furie è il Ministro della Difesa Guido Crosetto che minaccia un esposto in procura. Ma il problema rimane: chi è la talpa? Di chi si può fidare Giorgia Meloni?
Stando alle sue mosse, di nessuno. Il Presidente del Consiglio, in questo senso, sembra aver chiesto l’allontanamento dal suo ufficio degli agenti di polizia tradizionalmente responsabili della sua sicurezza e di quella delle persone in visita a Palazzo Chigi. Secondo alcune informazioni riservate, il Presidente del Consiglio non si fida di questi agenti, temendo che possano far trapelare informazioni utili per costruire dossier da passare in un secondo momento alla stampa. Per questo motivo, la gestione di tutto il suo dispositivo di sicurezza è stata affidata alla sua scorta, alla quale sono stati integrati funzionari dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), considerati più affidabili e soprattutto ritenuti insensibili alle fughe di notizie. Bene ricordare che il servizio di scorta è coordinato da Giuseppe Napoli, ex membro dei servizi segreti interni italiani e marito di Patrizia Scurti, assistente di Giorgia Meloni negli ultimi diciotto anni.
Contromisure che potrebbero non bastare, perché il mondo è ormai dominato dalle talpe. Dissipatio ne parla da anni e ne ha fatto il suo focus principale poiché la piccola parte dei fatti degna di essere raccontata è quella che passa dal filtro spionistico. Le grandi guerre in corso – quelle in Ucraina e in Palestina – sono portate avanti grazie al loro lavoro. Se Berlino e Mosca non potranno più cooperare da un punto di vista energetico per molti anni a venire, lo si deve all’operazione che ha fatto saltare in aria il Nord Stream II, discretamente ed efficacemente. Se l’Asse della Resistenza sta perdendo la guerra nel breve periodo, lo si deve al certosino lavoro coordinato di Mossad e CIA, che ha portato a casa tutti gli obiettivi primari prefissati. Non tanto grazie a fughe di notizie, ma perché – come riportato da diversi fonti – i suoi membri si sono infiltrati talmente bene nei ranghi delle forze nemiche, che in un certo senso non è troppo sbagliato sostenere che gli israeliani conoscano le mosse iraniane prima ancora di questi ultimi. Le talpe interne ai Pasdaran sono talmente tante che rappresentano un problema enorme per Teheran.
In un articolo del Dailymail tradotto da Dagospia si sostiene infatti che Israele avrebbe assassinato il leader di Hezbollah dopo averlo “contaminato” con un agente chimico che permetteva alle spie di seguire i suoi movimenti. Hassan Nasrallah avrebbe stretto la mano a un agente israeliano che gli avrebbe passato la sostanza sconosciuta. L’agente sarebbe stato un iraniano in visita a Beirut, dove Nasrallah è stato ucciso in un attacco aereo venerdì scorso, secondo quanto afferma l’emittente Al Hadath. Fonti della sicurezza hanno suggerito che la sostanza potrebbe essere stata identificata da un sensore o da una telecamera a bordo di un drone a bassa quota. Agenti di marcatura come il Nitrophenyl Pentadienal, noto come “polvere di spia”, sono stati utilizzati anche dal KGB durante la Guerra Fredda. Il loro uso non sembra essere ancora passato di moda.
È la guerra ibrida in tutta la sua complessità. Quando il conflitto è dominato dalla tecnologia e la deterrenza impedisce l’uso della forza, l’intelligenza, dunque l’intelligence – o l’intelligens – diventa la fonte primaria di forza. Tanto nei conflitti fra eserciti che nelle dinamiche machiavelliche della politica. Nulla di nuovo, se non per la sua accresciuta sofisticatezza. La prosecuzione della politica con altri mezzi è incarnata dalle talpe. È il loro secolo. Il secolo delle spie.