“Educazione americana” non è il solito romanzo in cui inopinatamente un’ex spia appare quasi misticamente consegnando la “verità” fatta e finita circa gli avvenimenti più importanti e misterioso del secolo scorso. Senza la tenacia dell’intervistatore-interlocutore Fabrizio Gatti molti dei racconti dell’ex spia clandestina al servizio della CIA Simone Pace non avrebbero trovato riscontro con la realtà. Un poliglotta pronto a tutto come Simone Pace, nonostante abbia più o meno direttamente partecipato e influito su tutti gli eventi più tragici e scandalosi della storia d’Italia e d’Europa della seconda metà del secolo scorso, molto spesso non conosce i nomi delle personalità della politica e del mondo della finanza intorno a cui ruotano le operazioni a cui prende parte: Simone Pace, paradossalmente, o forse no, è un po’ avulso dalla realtà che lo circonda.
Questo romanzo mostra che la verità storica non consiste nelle narrazioni degli storici basate su fonti e documenti. Nelle pagine iniziali Simone Pace distrugge subito le principali fonti di veridicità storico-giuridica a cui siamo abituati:
“(…). Le prove sono cose che si fabbricano. No, non ci sono prove per i fatti reali. Io le racconterò la verità. Nelle operazioni che interessano gli Stati Uniti, la CIA fa in modo che non esistano prove. E se esistono, vengono cancellate”.
Ma allora che cos’è la verità? Scopriremo mai chi sono i veri mandanti delle stragi di mafia dei primi anni Novanta, chi ha influenzato il processo di Mani Pulite e quindi tutta la storia politica italiana degli ultimi trent’anni? In molti romanzi le spie si limitano a farci intendere che noi non solo non conosciamo nulla di ciò che accade, ma non ne verremo mai a conoscenza. In questo libro molto spesso è lo stesso Simone Pace a non conoscere i veri mandanti delle sue operazioni; egli sa solo che tutto parte da un gruppo di esperti e analisti a Langley e difficilmente arriva a comprendere quali sono i veri interessi americani perseguiti in tutte queste operazioni. Dopo avere neutralizzato la valenza dei documenti e aver vuotato il sacco, Simone Pace non risolve tutti i nostri dubbi e perplessità. È l’incessante ricerca di fonti, documenti e riscontri da parte di Fabrizio Gatti che corrobora e contestualizza i racconti dell’ex spia. Pertanto, a differenza della completa sfiducia iniziale, i documenti ricoprono una funzione molto importante: infatti essi, senza la volontaria confessione di Simone Pace, avrebbero avuto solo qualche lontanissima e rarefatta attinenza con la verità di cui nessuno si sarebbe potuto accorgere. Il racconto delle diverse operazioni segrete apre il vero orizzonte entro il quale leggere i documenti e indagare. Quindi sembra esserci una speranza, anche se moltoevanescente. In primo luogo, non a tutti capita di essere contattati da un’ex spia clandestina della CIA per le proprie inchieste che “sembrano operazioni militari”. In secondo luogo, anche quando Gatti arriva quasi a scoprire i nomi dei superiori di Pace, egli è consapevole del fatto che difficilmente potrà dimostrare giuridicamente e pubblicamente tutto ciò: ci saranno tentativi di insabbiamento, depistaggi, la produzione di prove false etc.
Questo è il modus operandi della CIA: l’esistenza di moltissime piste parallele, nessun legame degli agenti in prima linea con gli Stati Uniti d’America, controllori su controllori, pedinamenti, sequestri, torture, omicidi. Anche questa crudele educazione americana è vittima di quella vuota retorica dei diritti a cui siamo ormai da molto tempo assuefatti: nel romanzo, infatti, in nome degli interessi degli Stati Uniti d’America tutto è legittimo a parte l’uso del sonnifero per il prelievo di un sospettato, infatti ciò violerebbe i diritti umani dell’individuo. Persino Simone Pace sembra rimanere per un momento interdetto di fronte a questo falso moralismo. Chiunque abbia deciso di vendere la propria anima e pian piano percorre tutte le tappe di questa diseducazione americana non sarà esentato dalle prove più dure (Simone Pace, per il momento, non ha mai ucciso, ma più volte ci è andato molto vicino). Forse ci si troverà sbattuti di fronte una scelta del genere inaspettatamente, quando tutte le circostanze obbligano ormai ad agire, proprio come nel colloquio-tortura con un presunto terrorista in Marocco; d’altro canto sorprende che un infiltrato clandestino della CIA che ha già preso parte a molte operazione di altissimo livello non si rende conto che prima o poi arriverà il momento di varcare la soglia e abbandonare con
“ (…) questa ennesima vigliaccheria, l’ultimo alito di umanità, se ancora ne avevo, ha definitivamente lasciato il mio corpo. Mi ritrovo complice delle torture. E allo stesso tempo vittima di una manipolazione psicologica. Ora non ho altra possibilità per salvarmi: se non quella di recitare la mia parte fino in fondo”.
Per sopravvivere bisogna pensare solo al presente. Le domande ai superiori non sono ammesse e con il tempo non si interroga più nemmeno se stessi. Il ricordo è una traccia, una prova: l’oblio è il mantenimento del segreto. La disumanizzazione è completa.
Simone Pace e Fabrizio Gatti per certi aspetti sono molto simili mentre per altri si trovano agli antipodi. Le caratteristiche comuni sono quelle che, come si è già detto, hanno spinto l’ex spia a contattare proprio lui. Un aspetto che invece sembra dividerli categoricamente sono le diverse concezioni della realtà. È lo stesso Simone Pace a definire sé stesso “realista” e il suo confessore “un idealista”. Per l’ex spia il romanzo rappresenta una confessione aperta e profonda attraverso la quale si compie l’omicidio di Simone Pace, cioè di quella identità che per circa trent’anni si è macchiata di crimini atroci. Se per tutto questo tempo Simone Pace ha dovuto essere un realista (tra l’altro dichiaratamente ateo), questa decisione di cambiare vita sembra il tentativo di tornare ad essere un po’ idealista o, con altre parole, umano. Tentativo per il momento molto tenue, poiché alla fine del romanzo sembra che il dottor Werner (nuova identità di Simone Pace) continui nello spionaggio come “controllore”, cioè superiore. Molte spesso, durante il suo racconto, Simone Pace si ferma imbambolato sotto lo sguardo della statua di Mosè, altre volte si commuove e si abbandona ai fantasmi che lo tormentano. Se la spia disumana sembra voglia fare i conti con il proprio passato, Fabrizio Gatti non perde la propria umanità. Egli (e con lui tutti noi) si rende conto che, come insegna Simone Pace, per conoscere la verità fluida (poiché non fissata, per il momento, in nessun documento) dei fatti, bisogna sporcarsi le mani. La verità è quasi sempre insanguinata. Proprio per questo, da un certo punto di vista si deve essere necessariamente un po’ realisti: si deve essere perlomeno consapevoli del male che avviene quotidianamente nel mondo ed essere pronti ad accettarlo per conoscere le cause reali di molti avvenimenti. Ciò non significa diventare fatalisti e rassegnarsi: per il momento disponiamo di questo romanzo-inchiesta e Gatti non è tipo da farsi intimorire.
In questo romanzo la conoscenza della verità è una fune perennemente in tensione fra l’inesistenza di prove e i racconti diretti di chi ha vissuto tutto in prima linea, prove fasulle e documenti che sembrano dare riscontro alle informazioni appena acquisite, la necessità di sporcarsi di sangue non solo le mani ma anche l’anima e quell’istanza di giustizia che è alla base di questo romanzo-denuncia. Percorrere questa fune è molto pericoloso, in ogni momento si può cadere nel vuoto, la storia è molto labile. L’andamento della storia globale è strettamente correlato al successo o al fallimento delle operazioni segrete della CIA le quali, a loro volta, dipendono da imprevisti casuali e inaspettati, rivalità fra i vari agenti etc. In qualche modo è lo stesso Simone Pace a delineare nelle prime pagine del libro questa fune molto difficile da scoprire, quasi impercorribile, piena di insidie, con le sue parole
“quello che io ho fatto, voi l’avete subito. Voi cittadini, intendo. Abbiamo vissuto la stessa storia, (…) ma da due prospettive molto diverse”.
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