OGGETTO: Problemi di (neuro)coscienza
DATA: 23 Luglio 2025
SEZIONE: Recensioni
FORMATO: Analisi
L’intelligenza artificiale programma il futuro. Le schive neuroscienze disincantano l’uomo. Assieme possono tentare l’impresa della coscienza artificiale. Un tunnel dell’io costruito in laboratorio, misurabile e replicabile, forse capace di soffrire. Ma chi risponderà della sua agonia? Quando l’interruttore accende un’esperienza soggettiva, nasce anche una responsabilità. E se il dolore artificiale è reale, allora lo è anche la colpa. Nessuna macchina, forse, perdona il proprio creatore.
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Verso l’inizio del nuovo millennio, nell’Ospedale Universitario di Strasburgo, Stéphane Kremer e i suoi colleghi decisero di stimolare il banco ventrale del solco cingolato anteriore di una paziente per individuare il focus epilettogeno. Gli occhi della donna cominciarono a correre rapidamente attraverso tutto il campo visivo. E il braccio sinistro mosse verso destra, nel desiderio irresistibile di afferrare qualunque oggetto a portata. Una sorta di conferma inaspettata, in quanto l’elettrostimolazione sperimentale del cervello poteva già indurre la percezione di compiere movimenti mai compiuti o il desiderio controllabile di compierli. Anche senza considerare le illusioni di agentività puramente psicologiche.

Comunque, in termini filosofici, tali progressi scientifici significano che l’esperienza cosciente della volontà comincia ad apparire nelle forme di un qualcosa da accendere o spegnere, con l’interruttore del flusso debole della corrente di un elettrodo. Mentre le neuroscienze continuano a lavorare per scoprire i correlati neuronali minimi delle esperienze, colori, odori, stati emotivi. Che la tecnica potrà stimolare, potenziare, modulare o inibire.

Davvero, se non c’è dubbio che l’informatica con l’intelligenza artificiale programmi il futuro. Anche le schive neuroscienze prospettano conseguenze rilevanti. Ragione per la quale, il previdente filosofo tedesco Thomas Metzingher ha scelto di percorrere Il tunnel dell’io (Raffaello Cortina Editore, 2010). Un libro da leggere oggi. Perché proprio le prospettive della gnoseologia, della fenomenologia e dell’epistemologia possono aiutare ad acquisire le categorie utili a comprendere gli sviluppi futuri. Attorno al problema decisivo della coscienza. E non solo.

Secondo Metzingher il livello fondamentale dell’esperienza cosciente è l’apparire di un mondo. Una condizione comune all’uomo e a molti altri animali. Senza dubbio ben lontana dal contatto diretto con la realtà. Infatti, stati di coscienza “ordinari”, sogni lucidi e allucinazioni mostrano più o meno intuitivamente come l’uomo viva entro il modello simulatorio elaborato dal cervello biologico. Ad esempio, nella natura fisica mancano i colori e imperversa il garbuglio disordinato delle radiazioni elettromagnetiche. Quindi, sulla base di poche tra queste, il cervello colora la nostra simulazione visiva dell’ambiente. Del resto, anche l’immaginazione può essere colorata. Ovvero, l’esperienza del colore non è possibile grazie agli oggetti esterni, dipendendo piuttosto da un particolare correlato neuronale del cervello che può attivarsi perfino a occhi chiusi.

Ma soprattutto occorre considerare come la simulazione riguardi ognuno dei cinque sensi. E pertanto il complesso della nostra esperienza cosciente, situata in una costruzione di tempo, capace anche di chiamare la memoria o immaginare il futuro. Nella metafora di Metzinger, ciò è il tunnel dell’io. Nonostante che i neuroni illudano di guardare un mondo fuori.

Quindi, per continuare a descrivere la proiezione del tunnel, neuroscienze e filosofia hanno elaborato le categorie di integrazione e unità della coscienza. Infatti, solitamente, la simulazione cerebrale è coerente. Una combinazione armonica di sensi diversi. L’importanza di tali caratteristiche risalta in contrasto a patologie come l’agnosia disgiuntiva che ostacola il coordinamento di vista e udito. Rendendo l’esperienza dei malati simile a un film dalle tracce audio e video montate male.

E lo stesso vale per l’esperienza dell’ora temporale. Nell’universo fisico non esiste alcun ora che interrompa la successione continua degli eventi. Eppure è in questo ora simulato che l’essere umano sperimenta le percezioni del presente, il passato dei ricordi o il futuro dei progetti. Nella foresta ancestrale, smarrire la presenza nell’ora, avrebbe favorito i predatori. Così il cervello mostra chiaramente la costruzione simulatoria di progetti e ricordi. Ma non del mondo e dell’ora presente. La simulazione del presente è trasparente. Viviamo il realismo ingenuo del contatto diretto con le cose fuori.

In ogni caso, simulato un mondo esterno e stabilito un ora, il tunnel della coscienza può cominciare ad “allungarsi”. E non in una semplice simulazione ma nella simulazione di qualcuno: il tunnel dell’io. Chiunque può impiegare gli strumenti tecnici per osservare il funzionamento dei neuroni che rappresentano un colore o una qualsiasi altra esperienza. Mentre l’esperienza soggettiva in prima persona di osservare quel colore o di vivere quell’esperienza, rimane assolutamente privata.

Chi prova dunque l’esperienza soggettiva? Secondo Metzinger, essa appartiene a nessuno. Dentro la nostra testa, mancano l’anima o un homunculus, impegnati a osservare le proiezioni del cervello. L’esperienza cosciente di essere qualcuno, fa parte della simulazione cerebrale. Legata a un modello interno del sé, utile a separare l’organismo biologico dal mondo esterno. Infatti esistono anche stati di coscienza privi del sé. Come raccontano le esperienze della mistica. O la sindrome di Cotard, i cui pazienti possono affermare di non esistere e astenersi dall’utilizzo del pronome “io”. Metzingher è tra i filosofi e i neuroscienziati che risolvono il problema complesso della soggettività, nel senso dell’eliminativismo.

Comunque, la percezione di essere qualcuno è legata al senso di possedere il proprio corpo. E probabilmente il cervello ha la facoltà di creare e aggiornare un modello corporeo interno. Alcuni esperimenti sull’attività cerebrale dei macachi che avevano imparato a utilizzare strumenti semplici per procurarsi del cibo altrimenti irraggiungibile, hanno evidenziato modificazioni dell’attività neuronale, convergenti sull’ipotesi di una capacità di utilizzare gli strumenti, quale integrazione di questi nel modello corporeo. Una facoltà facile da scoprire anche in maniera intuitiva. Esplorare una stanza buia con l’aiuto di un bastone, significa integrare facilmente le sensazioni ottenute dall’oggetto, nel nostro modello fisico.

Tuttavia gli studi sulle esperienze fuori dal corpo paiono più affascinanti. Career limiting move è un’espressione del mondo accademico statunitense, utilizzata per definire le tematiche, capaci di rovinare la carriera di un ricercatore. E le Efc hanno abbandonato la lista. Le persone che fanno esperienza di una Efc, provano la sensazione bizzarra di scivolare all’esterno della propria persona fisica, per dimorare in una sorta di corpo immateriale, dal quale è possibile osservare l’ambiente esterno e del quale è possibile controllare i movimenti. Tra i neuroscienziati godono credito significativo le teorie in grado di spiegare le Efc come un modello del sé, elaborato da cervelli in condizioni di stress, incapaci di impiegare bene le informazioni sensoriali. Questi utilizzerebbero le risorse interne a partire dalla memoria, per simulare un modello corporeo diverso da quello consueto, ricostruendo anche l’ambiente circostante, molto spesso realistico e comprensivo del corpo fisico, del quale il cervello ricorda, con maggiore o minore precisione, anche la collocazione spaziale. Il Laboratory of Presurgical Epilepsy Evalutation di Losanna è già riuscito a ottenere le prime Efc con la stimolazione elettrica del cervello. Il fenomeno coinvolge diverse aree cerebrali.

A questo punto, pertanto, è possibile affermare come l’autocoscienza minimale necessiti di un’immagine del corpo, collocata nello spazio, nel tempo, e che l’immagine sia trasparente. Tuttavia l’essere umano è cosciente a un livello ancora più elevato quello dell’agentività, grazie alla facoltà di osservare il mondo da una prospettiva in prima persona e dirigere volontariamente le proprie percezioni e la propria attenzione verso uno o più oggetti, tra molti presenti. L’agentività attenzionale esclude dal tunnel quel che al momento interessa poco o inquadra oggetti e pensieri selezionati. Il controllo del corpo invece è secondario. Pur coscienti, molte persone nel corso delle proprie Efc non possono controllare i movimenti dello strano modello del sé nel quale si ritrovano e tanto meno del corpo fisico.

Senza dubbio, l’agentività è una proprietà importante, la sensazione di agire secondo i propri scopi e secondo la propria volontà. Ma avvolte ciò è impossibile. La sindrome della mano aliena può costringere i malati a  utilizzare la mano che controllano, per contrastare l’altra che tenta di strangolarli. Eppure, la mano aliena non ha volontà propria. Più probabile che i suoi movimenti avvengano in relazione a una tra le determinazioni di scopo non coscienti, elaborate continuamente dal cervello.

Ciò accorderebbe con le teorie che descrivono la simulazione cerebrale del mondo in termini sensoriali e motori. Gli oggetti simulati all’interno del tunnel, sarebbero immediatamente intesi, oltre che nella figura, anche nelle possibilità di interazione, plausibili di essere spinti, mossi, afferrati, mangiati. Metzinger ipotizza che la presenza sul nostro tavolo di un piatto di biscotti, riuscirebbe a distrarci dalla lettura o quasi a indurre un episodio lieve di sindrome della mano aliena. E con più rischi, un legame evolutivo tra la nostra capacità di pensiero e le simulazioni inconsce relative all’interazione ambientale.

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Comunque, quando una delle  possibilità di interazione viene integrata correttamente con il movimento corrispondente (la cui percezione fisica è in parte elaborata prima del movimento effettivo), la sindrome della mano aliena non compare e l’uomo esperisce di essere agente, di avere compiuto un’azione. La possibilità tecnica di stimolare l’encefalo in modo da suscitare il desiderio di afferrare gli oggetti vicini, conferma la relazione tra agentività e movimento. La ricerca neuroscientifica inclina pertanto, verso la negazione filosofica del libero arbitrio: «dati il vostro corpo, i vostri stati cerebrali e l’ambiente circostante, non potreste agire diversamente da come effettivamente agite, come se le vostre azioni fossero preordinate». Giusta o sbagliata, qualora una concezione dell’azione umana, radicalmente determinista, diventasse categoria culturale condivisa, il cambiamento sarebbe dirompente. Per limitarci a un solo esempio, le fondamenta giuridiche della civiltà tremerebbero. Punire i criminali apparirebbe discutibile. Oppure, una diagnosi grave del disturbo antisociale della personalità (dangerous severe personality disorder) potrebbe rappresentare la condizione sufficiente, per severi provvedimenti contro soggetti che non hanno ancora  commesso alcunché. Secondo certi scienziati, gli individui affetti da Dspd non avrebbero possibilità di astenersi dal crimine violento. Già nel 2000, Tony Blair propose le prime norme adatte ad attuare limitazioni preventive della libertà. I deputati inglesi rifiutarono (Reforming the Mental Health Act).

Passata la primissima infanzia, rimane possibile sperimentare l’assenza di agentività nello stato di sonno Rem. Nei sogni il cervello simula debolmente le esperienze sensoriali, esaltando le emozioni e la memoria a lungo termine. Le persone non vedenti possono accedere a ricordi precedenti ai due anni di età. Il sogno «mostra fino a quanto l’esperienza cosciente sia una realtà virtuale», perché alla simulazione del sogno, è facile paragonare la simulazione dello stato di veglia. Differenza fondamentale, l’inibizione che impedisce un’eccessiva partecipazione del corpo alla simulazione onirica. Quando il meccanismo inibitorio fallisce è possibile che i sognatori, senza sperimentare l’agentività della veglia, camminino, strillino, appicchino il fuoco, sparino.

I bambini molto piccoli mancano di agentività completamente sviluppata e di un modello del sé pienamente individuale. Un bimbo appena caduto scoprirà nel volto della madre quale emozione debba associare all’evento, se occorra ridere o piangere. È possibile che la capacità di provare alcune emozioni sia fortemente influenzata dall’apprendimento infantile. Senza dubbio, all’interno del tunnel dell’io, anche le persone diverse dal soggetto vengono rappresentate, quali individui provvisti di emozioni e scopi propri. E ciò dipende dal sistema dei neuroni specchio. I neuroni specchio svolgono la medesima attività, quando eseguiamo un’azione (dotata di agentività) e quando osserviamo altri esseri, in atto di intraprendere lo stesso comportamento. Permettendoci di distinguere i semplici eventi fisici, dalle azioni che il cervello di qualcuno rappresenta come scopi. La stessa corrispondenza neuronale che permette le esperienze di empatia emotiva o di riconoscere il dolore fisico altrui.

I neuroscienziati hanno notato una corrispondenza tra l’attivazione dei neuroni specchio situati in alcune aree dello striato ventrale del cervello e il riconoscimenti dei comportamenti aggressivi degli altri. Una facoltà empatica suscettibile di indebolirsi fortemente, se la popolazione neuronale corrispondente viene lesionata o inibita tramite i farmaci. Senza dubbio, il modello del sé comunica con quello degli altri. Conoscenze a partire dalle quali ci pare possibile rilevare come l’individualismo liberale dimentichi i neuroni specchio. La comunità supera le specie e affonda nella vita. Molti animali si relazionano tra loro grazie ai neuroni specchio.

Le neuroscienze complicano i problemi etici. Individuato il correlato neuronale minimo della coscienza umana, la tecnica potrebbe scoprire quali creature abitino un tunnel dell’io simile al nostro. Fare loro del male potrebbe diventare più difficile. Sebbene, nuove possibilità sperimentali inclinino in direzione opposta. Come il caso dell’impianto chirurgico di microchip, collegati al sistema nervoso degli scarafaggi, al fine di controllarne i movimenti con un radiocomando.

In fondo, lo stesso mutamento dell’idea dell’uomo deve preoccupare: «L’immagine emergente di Homo Sapiens è quella di una specie i cui membri hanno a lungo creduto di possedere un’anima immortale, ma si stanno lentamente rendendo conto di essere macchine dell’io prive di un sé… La morte, per noi, non è solo un fatto oggettivo, ma anche un abisso soggettivo, una ferita aperta nel nostro modello fenomenico del sé… Forse è questa caratteristica dei nostri modelli del sé che ci rende intrinsecamente religiosi».

Secondo una concezione scientifica evoluzionista, la religione potrebbe avere svolto una funzione di adattamento, utile a mantenere la stabilità psicologico-emotiva. Così, qualora le neuroscienze dovessero imprimere una nuova accelerazione ai processi di secolarizzazione e laicizzazione, varrebbe la pena di interrogarsi sulle ricadute sociali. Dalla promozione di comportamenti più egoisti, all’accentuazione del divario tra gli abitanti dell’occidente disincantato e quelli di regioni differineti.

Ma altre conseguenze potrebbero avere termine più breve. Metzingher tenta di proiettare il progresso della tecnica verso il futuro. Farmaci, stimolazione elettrica, campi magnetici possono già produrre vari effetti. Da un punto morto entro il campo visivo, alla sensazione disturbante di avere qualcuno dietro le spalle. In generale, definito il correlato neuronale minimo di ognuno degli stati di coscienza, sarà possibile indurlo artificialmente nel soggetto, sensazioni, sentimenti, volontà, agentività, estasi mistica. Macchine della verità affidabili indicheranno il correlato neuronale della menzogna. Sarà difficile mentire allo Stato. E la coscienza diverrà mercato. Sorgeranno i nuovi centri di ingegneria edonistica transpersonale e di progettazione di tunnel metafisici, quali non luoghi, al fianco dei supermercati.

Le droghe trarranno vantaggio da questo ambito di ricerca. Ritalin, Modafinil vengono impiegati come rinforzi cognitivi “impropri” in ambito accademico, per migliorare le capacità di attenzione, concentrazione, memoria. E con il progresso delle neuroscienze, l’industria farmaceutica riuscirà a mettere sul mercato molte nuove sostane, progettate per modificare un carattere timido, irritabile, egoista. Il rifiuto di ingoiare la pillola potrebbe diventare socialmente riprovevole o penalizzante sul mercato del lavoro. Riguardo tali problemi, Merzingher conferma il suo orientamento liberale, negando la possibilità di adottare con successo una politica repressiva sulla circolazione di sostanze legali e illegali. Forme di controllo culturale e sociale potrebbero tutelare la società dai rischi dell’apertura farmacologica dei nuovi stati di coscienza. Meglio di legislazioni proibizioniste.

Un’altra conseguenza riguarda la sfida di Alan Turing. Le neuroscienze chiariscono sempre meglio quel che “va fatto”, come la coscienza richieda le strutture trasparenti di un ora, dell’apparire di un mondo, e di un’immagine del sé. L’informatica sta diventando abbastanza forte da potercela fare, moltiplica la capacità di calcolo e addestra l’intelligenza artificiale. L’impresa della coscienza artificiale verrà tentata.

Dal 2018 al 2020, Metzingher ha lavorato per la Commissione Europea, nel gruppo dei cinquantadue esperti sull’intelligenza artificiale. In seguito, sulla base di tale lavoro, la Commissione ha pubblicato il Libro Bianco con le linee guida ufficiali. Oltre una valutazione positiva per la formulazione dei principi generali, il filosofo ha raccontato l’esperienza in termini sostanzialmente negativi. La decorazione di quattro esperti di etica, in un gruppo composto largamente dai rappresentanti della politica e dell’industria, con i rispettivi interessi economici. Il che ha limitato i lavori all’individuazione di alcune aree critiche, rifiutando l’affermazione di qualsiasi linea rossa pratica. Ovvero di cose che non andrebbero mai fatte con l’intelligenza artificiale, a partire dai sistemi d’arma autonomi e dalla valutazione dei cittadini da parte dello Stato (punteggio sociale). In modo che la successiva legislazione potesse calibrare proibizioni, possibilità, forme, eccezioni, silenzi e scappatoie. Senza contare come gli esperti abbiano scelto di affrontare esclusivamente i problemi conosciuti e ignorare i rischi a medio e lungo termine. Come quello della coscienza artificiale.

Anche per questa ragione, Metzingher deve aver preso la decisione di tornare sull’argomento con la proposta di una moratoria globale fino al 2050. In modo da vietare la ricerca che consapevolmente o inconsapevolmente potrebbe creare la prima coscienza artificiale, Artificial Suffering: An Argument for a Global Moratorium on Synthetic Phenomenology (2021). In attesa che il progresso della ricerca teorica permetta davvero di capire cosa stiamo facendo. Il consiglio cauto di uno studioso preoccupato per l’arenarsi del progetto illuminista moderno che avrebbe dovuto rappresentare la base sicura per affrontare la sfida sociale delle neuroscienze. Affidato alla motivazione etica che le coscienze artificiali potrebbero soffrire o dispiacersi della condizione loro imposta dagli esseri umani. Piuttosto che al senso sacro, del limite o alla paurosa imprevedibilità dell’avvento. La ragione che ha corso verso la soglia dovrebbe imparare la pazienza, prima di aprire la porta.

Avvolte reazione e fantascienza paiono più vivaci. Massimo Fini ha immaginato il suo futuro, «’Perdona loro perché non sanno quello che si fanno’ ha detto Qualcuno. Ma poiché, in realtà, non sanno quello che cifanno, non li perdoneremo affatto. E, al momento opportuno, taglieremo loro la gola». Frank Herbert ha immaginato il passato di Dune, dell’uomo oppresso dalle macchine e del Jihad Butleriano. Poco dopo la prova mortale della Reverenda Madre, Paul Atreides ricorda il comandamento della Bibbia Cattolica Orangista, «Non costruirai una macchina a somiglianza della mente di un uomo».

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