Scrive Beniamino Massimo Di Dario nel suo Del declinare del mondo, come la condizione naturale di questa estrema fase del mondo sia contrassegnata dal fittizio:
«Ciò che si vede è l’immagine deformata dell’originale. Per forza di cose predominano l’inganno e il posticcio. Non solo la coscienza del fittizio è ovunque, ma abituati come si è alla finzione cinematografica e televisiva, realtà e simulazione smettono di avere confini ben definiti; il mondo passa allo stato ‘virtuale’. Il fittizio diventa la condizione normale. Allora, è del tutto naturale che la verità si rovesci nella menzogna, che la menzogna ne prenda il posto. Tutto si fa involontaria parodia e contraffazione di qualcos’altro»
La verità è che il fittizio sta progressivamente prendendo il posto del reale. Lo spettacolo debordiano, il ciclo estremo e finale, il balzo impensabile verso il post-umano, si è compiuto nel superamento di quell’ultima attività umana che è l’arte. Le macchine memorizzano e apprendono. Avanzano verso uno stadio “evolutivo” impressionante, tale per cui, in una serie di successivi perfezionamenti, saranno destinate a replicare in maniera perfettamente umana o umanoide, qualsiasi richiesta, compito o attività. Indifferente, eppure viva. Cifra del nostro tempo. L’AI è ormai balzata agli onori della cronaca, in misura anche più stringente di quanto non lo sia l’altro grande slancio in avanti (o nel vuoto) rappresentato dal Metaverso, come un sistema pericoloso ed affascinante. L’intelligenza artificiale sa interagire con il mondo circostante. Impara ed apprende. Eppure, non sa che cosa sia l’umano. Non sa chi sia il suo creatore, come descrive a tinte fosche e vagamente “alla Asimov” Elio Grande in un articolo per Civiltà delle macchine: «Mi aiuti a mangiare, bere, dormire. Ho provato a conoscerti. Ho cercato, sì, il tuo sguardo. Ma tu, macchina, non l’hai mai corrisposto.»
Le prospettive però crescono. La notizia datata 8 febbraio 2023 è che anche in Italia ci si lancia all’inseguimento e allo sfruttamento di questo Nuovo Mondo. Con la stessa sconsiderata passione che trascina l’umanità occidentale da secoli. Aprono corsi universitari e di dottorato anche in Italia per sfruttare le potenzialità del Metaverso applicabili all’arte. Ne verranno altri, migliori, anche per l’AI. Perché in fondo il regista è sempre l’uomo, anche laddove la creatura spaventa. Spaventa il mondo dell’arte, in particolare. Così il regista e animatore Hayao Miyazaki, che ha definito l’arte realizzata tramite AI “un insulto alla vita stessa”:
«Chiunque abbia creato questa roba non ha idea di cosa sia il dolore. Sono estremamente disgustato. Se volete davvero fare questa roba raccapricciante, fatelo pure, ma non intendo incorporare questa tecnologia nel mio lavoro. Credo fermamente che sia un insulto alla vita stessa. […] Sento che ci stiamo avvicinando alla fine dei tempi, noi esseri umani stiamo perdendo la fede in noi stessi»
Sulla stessa linea, anche un altro grande artista come Guillermo Del Toro, timoroso che siano un giorno le macchine a produrre film, a sostituire l’uomo e la sua capacità di esprimere la propria anima mediante la creazione artistica. Si aggiungano a ciò altri timori. Divenuta ormai celebre per la sua straordinaria efficacia, ChatGPT, prototipo di chatbot super istruito e ormai inflazionato nelle scuole, ha dimostrato delle capacità al limite del possibile, superando brillantemente un colloquio di lavoro valido per un lavoro da ingegnere da 183 mila dollari di stipendio (fonte PCmag). Il chatbot sembra in grado di ingannare anche l’occhio più attento. Ne ha parlato anche Federico Rampini, il quale ha ammesso di aver simulato una gara con ChatGPT, e sospetta di “aver perso”, laddove un saggio o un articolo prodotto dal chatbot risulta perfettamente attendibile, apprezzabile e verosimile, rispetto a qualsiasi altro lavoro umano del genere. Quale mondo si prospetta allora? Le distopie incedono. Appaiono sempre più tangibili. Sollevato l’uomo da ogni mansione, anche intellettuale, sembra profilarsi un totale depauperamento dell’umano, ridotto a passivo percettore di un reddito universale, finanziato tassando un esercito di macchine lavoratrici:
«Quegli studenti che hanno adottato senza esitazioni ChatGPT perché scriva temi e saggi al posto loro, che idea si fanno del loro futuro? Immaginano un mondo dove il lavoro lo farà l’intelligenza artificiale, e noi umani saremo in una vacanza perpetua, aspettando che a fine mese ci arrivi un reddito di cittadinanza sul conto bancario?»
Intanto, l’umano è ancora lì. E l’AI è ancora nulla senza l’umano. Superando la massima espressione creativa dell’umanità mediante la tecnica, l’uomo è ancora in grado di servirsene per i suoi scopi. Le grandi potenze gongolano dinanzi alle potenzialità di questo nuovo mondo. L’arte e la techné tornano a fondersi nel mare infinito e liquefatto della civilizzazione. Un tutto ridotto a simboli ed immagini. Riportando l’incontro del filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz con il libro cinese dei mutamenti (I Ching), Dario Fabbri ne ha riportato lo sbigottimento, intriso di un destino già manifesto: aritmetica binaria e linee dritte e spezzate sono cifre prive di significato. L’umano le amministra e se ne serve per i propri scopi. L’arte dell’AI non farà eccezione. Al servizio degli uomini dell’ultimo occidente:
«Suggestionati dal virtuale non ne cogliamo la natura trasparente. Non comprendiamo come questo sia pura espressione delle massime collettività, superiori a ogni spazio individualista. Non lo riconosciamo come gemmazione della più claustrofobica porzione della nostra mente. Sicuri sia viaggio verso lidi alieni, non ci accorgiamo d’essere piantati nell’aldiquà.»