OGGETTO: Damasco, la pedina
DATA: 21 Luglio 2025
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Analisi
Le dinamiche di potere del Medio Oriente si apprestano ad essere dominate da due grandi attori, la Turchia e Israele, i quali sono pronti a sfidarsi strategicamente per assicurarsi l’egemonia regionale. Tel Aviv tenta di indebolire la Siria di Al Jolani, sostenuto da Erdogan, per fomentare il caos e approfittarne tatticamente. Siamo all’inizio di una rivalità che sarà in grado potenzialmente di ridefinire gli equilibri dell’area e aprire a nuove prospettive.
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La Turchia di Erdogan ha condannato via agenzie di intelligence l’attacco israeliano ai danni della Siria, atto ad indebolire il nuovo sistema di potere stanziatosi a Damasco. Le IDF hanno colpito diverse località tramite raid aerei e hanno effettuato anche un’incursione terrestre a Daraa. Si tratta di una delle numerose operazioni belliche lanciate negli ultimi anni che destano forti preoccupazioni ad Ankara, la quale sa di dover confrontarsi con Tel Aviv prima di poter dominare la regione mediorientale. Si è agli albori di una rivalità strategica regionale che si prolungherà per diversi anni, e verosimilmente influenzerà il sistema internazionale nel suo complesso. I persistenti bombardamenti su Gaza, il regime change siriano e gli scontri missilistici tra Israele e Iran sono frutto della politica di potenza dei due attori, i quali agiscono autonomamente nell’area, senza interessarsi del parere di Washington. La Turchia si muove tatticamente accusando Israele di star commettendo un genocidio e di aggredire nazioni sovrane infrangendo il diritto internazionale, ma Netanyahu è consapevole che continuando con questa linea di politica estera sul lungo periodo può indebolire strategicamente il proprio avversario.

È chiaro che da un punto di vista storico e geopolitico in prospettiva il vero nemico della Turchia sia Teheran, avversario naturale con il quale vi è la sfida aperta al controllo del Levante e della Mesopotamia. Erdogan però è un ineffabile realista, e sa che nonostante in questo momento si trovi in difficoltà sia internamente che all’esterno, essendo impegnata su più fronti, Tel Aviv è il rivale più potente, in grado sul lungo periodo di arrestare il suo progetto imperiale. Non solo per le proprie capacità militari e per la grande influenza del Mossad, ma anche per via del supporto dell’egemone statunitense. Nonostante sia contraria alla possibilità che la Repubblica Islamica possegga l’arsenale atomico, durante la crisi del programma nucleare non si è fatta scrupoli a sostenere l’Iran, con l’intento di scongiurare una possibile caduta del regime ed un conseguente via libera per Israele nel territorio persiano. Ankara si pone l’obiettivo di controllare l’attività di Tel Aviv da vicino e di tentare di limitare le sue ambizioni territoriali e geopolitiche. In quest’ottica il sostegno ad Al-Jolani nel processo che ha portato al cambio di regime e in questa fase di complessa transizione di potere assume un grande valore strategico. Erdogan ha la possibilità di trasformare lo spazio siriano in una piattaforma militare turca, dalla quale può minacciare la sicurezza israeliana. Sul lungo periodo Damasco può diventare una pedina del grande gioco trai due rivali, fungendo possibilmente da teatro di scontri militari qualora le relazioni dovessero deteriorarsi irrimediabilmente.

Il capo turco ha dichiarato che si opporrà con forza a tentativi di divisione della Siria, e che si impegnerà a difendere il suo popolo da violenti attacchi di altre potenze. Inoltre, ha anche affermato che Ankara è pronta a qualsiasi scenario, lasciando intendere che, se Israele tentasse di innescare un’escalation, ci sarebbe chiaramente una risposta. Il messaggio di Erdogan non lascia spazio ad alcun dubbio, il dossier siriano è fondamentale, e pare difficile che possa essere accettata una spartizione dei territori in sfere d’influenza, dato che intende cogliere l’opportunità di trasformare Damasco in una piattaforma militare. Allo stesso tempo, risulta arduo che in questa fase possa accendersi un vero e proprio conflitto tra i due attori, essendo improbabile che Israele forzi la mano ora, uscita meno sicura di sé e delle proprie capacità dopo la diatriba nucleare con l’Iran e il continuo dei bombardamenti a Gaza. Ciò non significa che Tel Aviv non rimanga attenta alle evoluzioni nella regione e al comportamento della Turchia, anzi, è lecito aspettarsi che Netanyahu possa ordinare ulteriori attacchi nei prossimi mesi qualora dovessero sorgere delle concrete preoccupazioni. Anche per Ankara non è conveniente impelagarsi in una guerra con i rivali, ma è necessario continuare a supportare con decisione il nuovo regime siriano e condannare le azioni israeliane, cercando di indebolire Tel Aviv quanto meno sul piano tattico e comunicativo. Quest’ultima sta vivendo un momento sfavorevole sotto questo punto di vista, con l’opinione pubblica internazionale vivamente contraria alla linea di politica estera perseguita da Netanyahu. Erdogan, da buon realista, dimostrando grande astuzia, approfitta di questa dinamica traendone vantaggi tattici, rilasciando dichiarazioni molto forti contro Israele e le sue azioni; non è un caso che a differenza di vari leader internazionali utilizzi esplicitamente il termine genocidio. Non si tratta di una presa di posizione morale, anche la Turchia, come tutti gli imperi, ha i propri scheletri nell’armadio.

La caduta del regime di Assad ha aperto a nuovi scenari, con la grande partita mediorientale che pare essere entrata nel vivo, ed è pronta ad infiammare sempre di più territori che ospitano costantemente scontri e sofferenze. Le grandi potenze però, come sappiamo, sono ciniche, e mirano solo al soddisfacimento dei propri interessi. I popoli sono strumenti, e il loro destino è soggetto alle dinamiche geopolitiche che caratterizzano le diverse aree del globo. I leader possono presentare grandi doti tattiche, ma non possono inventare una strategia adeguata, questa la si può solamente cogliere. La sicurezza è l’obiettivo primario, e sia per la Turchia che per Israele significa espandersi, fino ad arrivare a dominare lo spazio mediorientale, che necessita di diventare casa propria. Solo in quel momento ci si può definire sicuri.

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