“Laggiù tutto è ordine e bellezza / Calma e voluttà / Il mondo s’addormenta in una calda luce / Di giacinto e d’oro”. Franco Battiato ci invitava al viaggio in quei Paesi che, senza saperlo, ci somigliano tanto, rispecchiano la nostra anima profonda. Ci vuole passione per abbandonarsi, coraggio per incamminarsi nei sentieri ignoti, forza per tornare indietro, guardarsi dentro, gettarsi in avanti. Ancora di più se quei luoghi, apparentemente esotici, lontani, a volte ostili, vengono raccontati da chi segue un’agenda politica invece della sacrosanta libertà dei popoli. Esistono scorciatoie per molti, come esistono strade più tortuose, a tratti estenuanti, per pochissimi. Sono coloro che appartengano alla categoria degli avventurieri, dei romantici, degli esploratori, che riescono a partire, abbandonare pregiudizi e comodità, senza guardarsi mai alle spalle, consapevoli di camminare sui fili elettrici dello spirito del tempo, toccando con mano la complessità dello spazio. Soprattutto se quel Paese viaggia in controtendenza con lo spirito del tempo, e quello spazio si chiama Repubblica Islamica dell’Iran.
Laggìù la modernità, nel bene e nel male, non ha ancora travolto interamente il campo delle idee né quello dell’esistenza, e che tutto sommato continua a conservare quella doppia morale persiana per cui in ogni dimora le poesie profane di Hafez, canzoniere dell’erotismo mescolato all’edonismo, sono poggiate sul comodino della camera da letto, e il sacro Corano viene riposto in salotto, ben visibili, agli ospiti. A sottolineare quella separazione tra la sfera pubblica e quella privata dettata dal pensiero tradizionale autentico, in questo caso la sharia, argine alla deriva delle società liberali dove spesso la trasgressione individuale diventa norma e pratica sociale condivisa dall’intera comunità.
Tuttavia le cose rischiano di cambiare molto velocemente a causa di una “ideologia del desiderio occidentale” che da decenni ormai valica i confini attraverso i più giovani e gli espatriati, sempre pronti ad allinearsi a una narrativa anti-nazionale. In Comprendere l’Islam, Frithjof Schuon scriveva che, alla pari di «tutte le civiltà tradizionali, l’Islam è uno “spazio” e non un “tempo”; il “tempo” per l’Islam è soltanto la corruzione dello “spazio”, ovvero una “tradizione invariabile che circonda l’umanità musulmana». E purtroppo ancora oggi molti iraniani, incantati dalle sirene dell’Occidente, e la maggior parte degli analisti occidentali abbagliati dalle luci delle telecamere, non vogliono vedere.
Le fake-news che circolano in Occidente sull’Iran sono intollerabili.
Alessandro Di Battista
A quella categoria di cui si parlava sopra appartiene anche Alessandro Di Battista che in Sentieri Persiani, reportage in tre puntate (disponibile in esclusiva sulla piattaforma tv Loft), ha viaggiato per due mesi interi, per migliaia di chilometri, nelle terre sacre d’Iran, a pochi giorni dall’assassinio del Generale Qassem Suleimani. Quando il mondo sembrava a un passo dall’ecatombe. Saliteci Voi su automobili di sconosciuti, treni e pullman notturni, per attraversare un intero Paese, seguire le rotte del commercio (Howraman, Mashhad), disseppellire civiltà perdute (Arg-e Bam, Persepoli, Pasagarde), visitare i luoghi dell’immaginifico (Kerman, Qom), salire sui tappeti volanti nell’infinito delle moschee (Shiraz, Isfahan). Entrateci Voi nella folla in ginocchio che prega in silenzio, agita le coscienze, grida vendetta per la morte di un suo martire.
L’Iran va raccontato tutto quanto, non solo quello che fa più comodo all’establishment occidentale.
Alessandro Di Battista
Riusciteci Voi a dare un volto a tutti gli individui che compongono quella moltitudine senza scadere nella banalità del male, a restituire un’anima ad una nazione umiliata dall’ennesimo drone pilotato da migliaia di chilometri di distanza, senza scadere nella banalità del bene. Ci voleva un ex parlamentare per dare una lezione a una categoria giornalistica ridotta allo smart working in pantofole o incatenata nelle redazioni, avversa al rischio, e dunque alla magia. Di questi tempi, di quarantene e privazioni, Sentieri Persiani è molto più di un reportage per chi ha già valicato quei confini, e che oggi può solo viaggiare con i ricordi. Se un lungo cammino lascia agli uomini delle tracce sulla pelle e pacifica l’anima, viene spontaneo chiedere ad Alessandro Di Battista cosa ha (ri)scoperto in un Paese dove la sacralità dell’esistenza si alimenta ciclicamente all’interno di una dimensione mistica che noi occidentali abbiamo perso.