In un tempo segnato dal riaccendersi di conflitti congelati, non di rado collegati tra di loro da forze di matrice geopolitica, sembra conveniente mantenere la soglia di attenzione più alta di quanto si sia soliti fare in fasi storiche contraddistinte da una diffusa bonaccia. Oggi che venti di guerra spirano da ogni dove, sarebbe un errore abbassare la guardia e derubricare una questione annosa quale la contesa intorno alla Grande Diga del Rinascimento Etiope (GERD) a tema marginale nell’agenda politica internazionale. Se si prova a ricostruire, pezzo dopo pezzo, la composizione della scacchiera che rappresenta in maniera stilizzata i rapporti di forza del bacino del Nilo, nel più ampio contesto dell’Africa orientale, viene quasi naturale da disegnare un triangolo che racchiuda una vasta porzione di Mediterraneo allargato: ai suoi vertici sorvegliano pazienti, ma non da semplici spettatrici, Ankara, Il Cairo e le capitali del Golfo Persico.
Paese dalla massa territoriale allungata in senso longitudinale, l’Egitto ha subito e subisce, nel suo tessuto storico-culturale, l’impronta del fiume Nilo ben più che del Mar Mediterraneo. C’è una vera e propria dimensione di verticalità nilotica che occupa un posto centrale nell’autorappresentazione del paese che le élite politiche hanno definito nel corso del tempo. Altra caratteristica degna di nota è lo spazio abitabile creato dalla valle del Nilo: inondato regolarmente dalle piene del Nilo, il corridoio, lungo più di mille chilometri e molto stretto (dai due ai venti km), ha permesso lo sviluppo, fin dall’antichità, dell’agricoltura e l’insediamento della popolazione al di sotto della prima cataratta, oggi scomparsa. Certo è che il fiume ha lasciato un marchio così profondo nel retroterra culturale del popolo egiziano che alcuni studiosi hanno chiamato la civiltà egizia société hydraulique.
Le grandi opere di sbarramento e convogliamento delle acque fluviali concepite da Mehmet Ali nel XVIII secolo e da Nasser nel XIX secolo non hanno prevenuto l’inesorabile crescita demografica dell’Egitto.
«La questione di come rispondere alla crescita demografica è tanto più sentita ora che l’Egitto non è l’unico Paese a essere interessato dal Nilo, che di fatto lo àncora alle realtà dell’Africa Nera, dove diversi Stati sono vere e proprie torri d’acqua, in particolare l’Etiopia dove si forma l’85% del flusso del Nilo che sfocia in Egitto.»
C. Ayad, Géopolitique de l’Egypte, p. 33 in Pierre, B., Egypte : une géopolitique de la fragilité, Ifri – “Confluences Méditerranée”, 2010/4, n. 75
Demografia e hydropolitics si intrecciano in maniera evidentemente preoccupante in Egitto. Tanto più a seguito delle pretese avanzate nel maggio 2010 da alcuni Stati a monte, ad eccezione del Sudan, di rimettere in questione la modalità di gestione delle risorse che Il Cairo e Khartoum avevano stabilito all’indomani dell’indipendenza sudanese nel 1956. La disputa sulle acque del Nilo si è infiammata, come mai prima, con il via libera di Addis Abeba alla costruzione di una diga sull’Alto Nilo, infrastruttura imponente che consentirebbe al governo etiope di condizionare la sicurezza idrica e, di conseguenza, alimentare dello Stato egiziano. Questa prospettiva inquietante ha sollecitato il presidente egiziano al-Sisi a lanciare un’iniziativa diplomatica a tutto campo, volta a scongiurare la possibilità che la diga tenga sotto scacco l’economia egiziana.
«Il presidente al-Sisi ha condotto un tour africano nell’agosto 2017 per cercare di accattivarsi le simpatie di numerosi paesi. Tuttavia, la questione non sembra fare progressi sul fronte diplomatico, con entrambe le parti [Egitto ed Etiopia, ndr] che rifiutano la mediazione di un’organizzazione terza. Non va quindi trascurata la possibilità di un’escalation, come dimostrato all’inizio di quest’anno dai movimenti di truppe ai confini egiziano-sudanese e sudanese-eritreo.»
Berger, C., L’Égypte du général Sissi, entre réaction et aspirations révolutionnaires, Ifri – “Politique etrangère”, 2018/1 primavera
La GERD è la più imponente opera del suo genere nel continente africano ed è situata nell’ovest dell’Etiopia a 15 km dal Sudan, lungo in corso del Nilo Blu. «A pieno regime, la GERD dovrebbe produrre circa 15700 GWh per anno, quantità necessaria a coprire il consumo interno di un Paese di 102 milioni di abitanti con un tasso di crescita della popolazione del 2,88%, oltre a garantire rilevanti quote di export», viene spiegato da Simone Acquaviva sul sito del CeSI. Degno di nota è il fatto che a partecipare alla costruzione dell’imponente opera come principale contractor nel progetto è stato il gruppo WeBuild (prima Salini Impregilo), che in Etiopia aveva già realizzato la diga Gilgel Gibe III sul fiume Omo.
La disputa sullo sfruttamento delle acque del Nilo affonda le sue radici nella prima metà del XIX secolo, quando molteplici furono i tentativi di sancire per iscritto diritti e interessi nazionali dei paesi rivieraschi. Una tappa cruciale fu segnata dall’accordo del 1959 sul razionamento degli 84 miliardi cubi di acqua annui, dei quali 55,5 furono assegnati al Cairo. L’Etiopia, tuttavia, non venne mai coinvolta come parte contraente nella stipula dei trattati sulla gestione delle acque del Nilo e già negli anni ’50 iniziò a ragionare sulla possibile realizzazione di una diga sul fiume. Altra tappa importante fu marcata dall’istituzione, nel 1999, del Nile Basin Initiative (NBI), forum che al momento racchiude tutti i dieci Stati attraversati dal fiume (Egitto, Sudan, Sudan del Sud, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo).
Nel momento in cui una svolta sembrava prospettarsi con il Cooperation Framework Agreement (CFA) del 2010 sulla gestione congiunta delle acque sotto supervisione internazionale, la mancata ratifica da parte di Egitto e Sudan determinò lo stallo dei negoziati, ancora perdurante nonostante gli sforzi di mediazione compiuti da attori regionali e no. L’irritazione del Cairo è più che comprensibile: da una parte, da solo l’afflusso idrico garantito dal Nilo ogni anno rappresenta più del 90% delle riserve d’acqua egiziane, utilizzate per il consumo potabile (11 miliardi), per l’industria (8 miliardi) e soprattutto per il settore agricolo (i restanti 30 miliardi); dall’altra, attraverso l’Etiopia scorre circa il 70% delle acque che riforniscono l’Egitto.
Paese soggetto a un forte stress idrico, esposto agli effetti del cambiamento climatico e dell’urbanizzazione selvaggia, l’Egitto ha cercato di rinviare di 15 anni il processo di riempimento dei 74 miliardi di metri cubi di riserve della diga, rispetto al termine del 2025 richiesto dal governo etiope. Ma, a giudicare dall’inasprimento dei rapporti diplomatici tra egiziani ed etiopi, sembra che la controversia sia ben lontana dalla mèta di una risoluzione pacifica, tanto che si paventa persino lo scenario di un’escalation militare con il coinvolgimento di attori regionali come l’Eritrea.
Cionondimeno, i recenti sviluppi degli scenari di crisi che interessano l’Africa orientale hanno dato prova della portata molto più ampia di quanto si pensasse del dossier GERD. Secondo fonti egiziane, Il Cairo ha osservato con apprensione la saldatura in corso tra crisi del Tigray, emergenza terrorismo nel Corno d’Africa e questione della diga del Nilo. Tutte le precedenti situazioni risentono di un marcato attivismo diplomatico o militare turco, fattore che suona un campanello d’allarme per i vertici politici e militari egiziani e accende i toni del dibattito pubblico sui temi di sicurezza nazionale in Egitto.
Al governo del Cairo non è giunta gradita la notizia sull’intensificazione delle relazioni turco-etiopi: è stata accolta con particolare sdegno, ad esempio, la visita ufficiale del 16 luglio 2020 di Mevlut Cavusoglu, allora ministro degli Esteri turco, ad Addis Abeba, nel bel mezzo di una fase critica per il dialogo negoziale sulla GERD tra Egitto ed Etiopia. È emerso, inoltre, più tardi che Cavusoglu ha premuto per rafforzare la cooperazione in materia militare tra Ankara e Addis Abeba, promettendo persino sostegno agli etiopi nella risoluzione della crisi del Tigray. C’è da notare che, secondo Formiche.net, la Turchia è già presente in Etiopia in quanto secondo investitore straniero più importante dopo la Cina, con 150 aziende turche attive nel paese dell’Africa orientale. Ma la presenza turca, sostenuta oggi dalle capacità economiche del Qatar, non è una novità nella regione, dato che da anni i due paesi cercano di attestarsi come attori impegnati nella cooperazione allo sviluppo nel Corno d’Africa.
«Diverse sono le ragioni che muovono le attività turche nella regione del Corno d’Africa. Innanzitutto, la Turchia ha legami storici e culturali con quasi tutti i Paesi del Corno d’Africa. […] Mentre l’Agenzia turca di cooperazione e coordinamento (TIKA) ha aperto filiali per fornire aiuti umanitari e infrastrutturali alle popolazioni del Corno d’Africa, il Centro culturale Yunus Emre si è proposto di promuovere la cultura turca tra le comunità della regione. Un altro motivo per cui la Turchia è sempre più coinvolta nella politica del Corno d’Africa è di natura economica. […] La Turchia ha attribuito grande importanza ai mercati africani e, pertanto, ha aumentato le sue attività economiche nel continente, compresa la regione del Corno d’Africa. Una terza dinamica è la rivalità tra la Turchia e i Paesi del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Nonostante le buone relazioni commerciali a livello bilaterale, Ankara e i suoi rivali del Golfo sono in competizione per la leadership politica in Medio Oriente e nella regione circostante.»
I. N. Telci, The Horn of Africa as Venue for Regional Competition: Motivations, Instruments and Relationship Patterns, “SAGE Journals” – Insight on Africa, 9 agosto 2021
A conferma della rappresentazione allarmante, ma non ingiustificata, che i media egiziani offrono del problema GERD, Il Cairo ha risposto all’attivismo turco rilanciando l’interoperabilità con il Sudan tramite esercitazioni militari. «Questi wargame che avvengono mentre è in corso la crisi nel Tigray, rappresentano un significativo segnale di cooperazione militare con implicazioni più ampie», ha commentato per Formiche.net Michael Tanchum, senior fellow del think tank austriaco Aies. Paragonabili a schermaglie messe in atto per mantenere alto il livello di tensione geopolitica, le iniziative descritte dimostrano come la stessa disputa turco-egiziana, intesa nel suo senso più ampio, possa combinarsi pericolosamente con controversie in apparenza periferiche, costituendo miscele esplosive di interessi e rivendicazioni.
Il cerchio si chiude con la considerazione che le frizioni tra asse a trazione turco-qatariota e asse saudita-emiratino si sono riflesse anche sul fianco orientale del continente africano. Nello specifico, è opportuno richiamare l’attenzione sulle prospettive di distensione tra Egitto, Turchia e Qatar che, secondo alcuni analisti, inizierebbero a prendere forma. Ci sono certamente segnali incoraggianti come la nomina di un nuovo ambasciatore turco presso Il Cairo, a colmare un vacuum rimasto aperto per circa dieci anni, l’attenuazione della campagna anti-egiziana portata avanti a lungo dai media turchi o l’opportunità di riavvicinamento con l’Egitto offerta dall’emiro Tamim bin Hamad Al Thani agli ultimi Mondiali di calcio di fine 2022 con la stretta di mano tra Erdogan e al-Sisi. Ma a prevalere è tutt’ora un sentimento di diffidenza, soprattutto da parte egiziana.
A conferma del fatto che la questione della GERD resta tutt’ora irrisolta, è notizia dello scorso settembre che l’Etiopia ha ultimato il riempimento della diga, causando così una nuova battuta d’arresto dei dialoghi negoziali tra Il Cairo e Addis Abeba. Nonostante il processo diplomatico fosse stato rimesso in moto a fatica appena un mese prima, la risposta del ministero degli Esteri egiziano non ha tardato a definire la decisione etiope di procedere con l’ultima fase di attivazione della diga come “illegale”, attribuendole un peso non indifferente nei futuri sviluppi dei negoziati. Secondo Fidel Amakye Owusu, esperto di risoluzione dei conflitti, intervistato da DW, mentre la mediazione offerta dall’Unione Africana non ha sortito alcun effetto significativo nel 2021, la contesa sul Nilo non può che esigere un accordo bilaterale comprendente delle concessioni reciproche tra Egitto ed Etiopia. Con tutto ciò, il raggiungimento di una composizione della controversia è tutt’altro che a portata di mano, visto che la regione risente oggi dell’instabilità diffusa dai conflitti armati e dalle tensioni in Sudan, a Gaza, in tutto il Vicino Oriente e nella regione africana dei Grandi Laghi: la diga della discordia può attendere.