OGGETTO: Il grimaldello per scardinare la Siria
DATA: 14 Luglio 2025
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Scenari
Il caos siriano rappresenta un’opportunità storica per Israele, che non ha alcun interesse a smettere di soffiare sul fuoco. I drusi, minoranza di rilievo nella società siriana, potrebbero rappresentare la chiave per il riconoscimento del Golan.
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Mentre l’attenzione internazionale è distratta dal recente conflitto tra Israele e Iran e dai massacri a Gaza, Tel Aviv non ha mai distolto lo sguardo dal vicino siriano. 

La caduta del regime degli Assad ha rimesso in moto il paese, che oggi affronta sfide cruciali nel tentativo di costruire una nuova Siria. Come tutti i periodi di fermento, le difficoltà sono molte e le opportunità infinite, e ogni attore è pronto a giocare le proprie carte per modellare secondo il proprio interesse ciò che sorgerà dopo: Israele non è da meno, e far leva sui drusi siriani potrebbe servire ai suoi scopi.

Divisi in una moltitudine di comunità chiuse ed isolate tra loro, i drusi sono una popolazione di lingua araba sparsa tra il Libano, la Siria meridionale, e la Galilea israeliana. La loro religione è un derivato dell’ismailismo, un ramo dell’Islam sciita. Le loro pratiche e credenze sono però così singolari da fa sì che non siano considerati musulmani dal resto degli arabi, e anche per questo sono stati spesso marginalizzati e discriminati. Queste differenze hanno però stimolato un forte senso di identità e appartenenza, ben distinto da quello delle altre popolazioni arabe, che sfocia spesso in rivendicazioni di maggiore autonomia. In Siria si trova la comunità drusa più numerosa, circa un milione di individui, concentrati nel governatorato di Suwayda e nelle periferie di Damasco. 

Israele ha già una lunga esperienza di rapporti con i drusi. In Galilea è presente, infatti, una comunità di circa 120.000 persone, che ha perlopiù abbandonato il tradizionale isolamento che la contraddistingueva, integrandosi nella società israeliana. I drusi della Galilea sono cittadini israeliani a pieno titolo e, a differenza degli altri arabi israeliani, sono soggetti alla leva militare nelle Israel Defense Forces, alle quali hanno fornito molti ufficiali di spicco. 

Un’altra comunità, più piccola, è invece presente sulle alture del Golan, strappate da Israele alla Siria con la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e annesse unilateralmente nel 1981. Qui la comunità drusa è ancora presente, nonostante la cacciata del resto dei siriani del Golan e la proliferazione di numerose colonie israeliane. Israele ha concesso ai membri della comunità l’accesso ai servizi statali e lo status di residenti permanenti, con la speranza di poterli integrare nella sua società in modo da rafforzare la rivendicazione di sovranità sulle alture. 

L’occupazione israeliana del territorio siriano si è inoltre ampliata lo scorso dicembre, quando le IDF hanno occupato l’area demilitarizzata che separava il Golan dal resto della Siria sin dal 1973. Così facendo, hanno ridotto la distanza tra le proprie posizioni e l’area drusa di Suwayda, separate adesso solo dal governatorato sunnita di Daraa. 

Storico nemico di Israele, la Siria si trova oggi devastata da tredici anni di guerra civile, con uno Stato quasi inesistente e un’economia a dir poco stremata, incapace quindi di reagire alle incursioni delle IDF. Il nuovo regime imposto da Ahmad al-Sharaa, ex membro di spicco di Al-Qaeda e leader di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), fatica ad esercitare la propria autorità e a rimettere in piedi ciò che resta dell’apparato statale. 

Con un vicino così instabile e diviso, per Tel Aviv risulta facile far leva sulle divisioni comunitarie per indebolire il governo centrale e piegarlo alle proprie volontà. Seguendo la strategia più vecchia del mondo, quella del divide et impera, Israele ritiene quindi di aver trovato nei drusi siriani il grimaldello per scardinare la precaria unità della nuova Siria, promettendo loro autonomia e protezione dagli abusi del nuovo regime islamista. 

Il presidente al-Sharaa è però consapevole dei corteggiamenti israeliani, e si sta muovendo per garantire la tenuta della fragile unità nazionale siriana. I massacri dei civili alawiti di inizio marzo hanno però gettato un’ombra sinistra sull’operato del nuovo governo, acuendo le tensioni interne. Al-Sharaa si è quindi affrettato ad aprire dei canali di dialogo per raggiungere degli accordi-quadro con i leader delle principali minoranze, al fine di rassicurarle e apparentemente coinvolgerle nel processo di ricostruzione siriano. Il 10 marzo è stata la volta dei curdi delle Forze Democratiche Siriane, seguito a stretto giro da un accordo con i rappresentanti di Suwayda, volto a garantire l’autonomia e la sicurezza del governatorato a maggioranza drusa in cambio del riconoscimento dell’autorità di Damasco. I drusi sembrano infatti aver accolto con freddezza e sospetto i corteggiamenti israeliani, optando con questo accordo di rimanere parte integrante della Siria, a patto che ne vengano rispettati i diritti. 

I rapporti tra la comunità e il governo sono però ancora precari. Il 30 aprile si sono accesi dei brevi ma violenti scontri tra le forze di sicurezza governative e le milizie druse del quartiere damasceno di Jaramana, scaturiti a seguito della circolazione di un presunto audio in cui un non precisato religioso druso avrebbe insultato il Profeta. Al di là della veridicità dell’audio, la facilità con cui si sono riaccesi gli scontri intercomunitari dimostra ancora una volta il persistere di un clima di sospetto e sfiducia reciproci. Netanyahu non ha mancato di cogliere l’occasione, dicendosi «pronto a difendere» le comunità druse minacciate dal «governo estremista e islamista siriano». Ne è seguito un bombardamento dei caccia di Tel Aviv a soli cento metri dal palazzo presidenziale di Damasco, un tetro avvertimento per al-Sharaa e un messaggio diretto alla comunità drusa: Israele è pronto a difendervi. 

Nonostante i leader drusi abbiano ribadito la propria appartenenza alla Siria, le pressioni israeliane sembrano aver funzionato. Alla fine di maggio, Sharaa ha annunciato di aver aperto un canale di dialogo diretto con Israele, al fine di dirimere le numerose contese aperte fra Damasco e Tel Aviv. La vera posta in gioco è però la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi, sponsorizzata da Trump nell’ambito del format degli Accordi di Abramo. Per Israele questa può passare però solo dalla rinuncia siriana alle alture del Golan, riconoscendone l’occupazione e la sovranità di Tel Aviv. Ad oggi solo gli Stati Uniti riconoscono il Golan come parte di Israele, ma il riconoscimento siriano aprirebbe la strada ad altri riconoscimenti internazionali, sancendo per Damasco la perdita definitiva delle alture. Per al-Sharaa, figlio di una famiglia di profughi del Golan, sarebbe il prezzo da pagare per porre fine alle ingerenze del vicino, ma potrebbe costargli il precario consenso interno. 

La strada che HTS sta intraprendendo per ricostruire la Siria rimane ancora molto lunga, e molti guardano con sospetto al passato qaedista dell’organizzazione e dello stesso al-Sharaa. Il riaccendersi degli scontri intercomunitari rimane dietro l’angolo e, se il nuovo governo non saprà muoversi saggiamente, Israele potrebbe ancora una volta tornare a far leva sullo storico desiderio di autonomia druso. 

In questa partita, il corteggiamento di Tel Aviv alla comunità drusa rappresenta quindi un’arma strumentale per mettere sotto pressione Damasco e costringerla a cedere sulla spinosa questione del Golan. Se avrà successo, Israele cesserà di interferire e abbandonerà i drusi siriani. Se non l’avrà, potrà continuare a far leva sulle divisioni interne per indebolire il governo centrale e costringerlo a piegarsi. Per al-Sharaa le sfide per rimettere in piedi il devastato Stato siriano sono ancora lunghe, e Israele rimarrà pronta a sfruttare ogni opportunità.

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