Intervista

«Egli viene da una corrente ideale che ha creduto nella missione della Romania come mediatrice tra Occidente e Oriente». Maurizio Stefanini sulla vita di Vintilă Horia

«È la storia di un esule romeno, di un grande scrittore perseguitato dal totalitarismo comunista, che dopo aver scritto uno dei suoi libri più importanti e decisivi (simbolo della sua dissidenza intellettuale e politica) viene colpito da uno spregevole processo mediatico di disinformazione la cui regia è affidata alla Securitate. Un processo di disinformazione (nelle sue logiche ancora molto attuale) che lo portò ad un progressivo isolamento intellettuale e alla rinuncia di Horia e alla mancata consegna del Premio Goncourt.»
«Egli viene da una corrente ideale che ha creduto nella missione della Romania come mediatrice tra Occidente e Oriente». Maurizio Stefanini sulla vita di Vintilă Horia
VIVI NASCOSTO. ENTRA NEL NUCLEO OPERATIVO
Per leggere via mail il Dispaccio in formato PDF
Per ricevere a casa i libri in formato cartaceo della collana editoriale Dissipatio
Per partecipare di persona (o in streaming) agli incontri 'i martedì di Dissipatio'

La storia di Vintilă Horia è la storia di un vero intellettuale dissidente europeo. La vicenda di uno scrittore “contro il suo tempo”, di un passeggero del secolo, che dopo essere stato esiliato dal regime comunista romeno inizia un viaggio tra Italia e Argentina, Francia e Spagna che lo porta ad attraversare le principali tensioni del Novecento. Testimone di un mondo contadino, arcaico e mitico, Horia scrive le sue opere sulla frontiera tra oriente e occidente, leggenda e realtà, ascesi e epica. Regalando al lettore un corpus letterario e culturale originalissimo in cui svetta il suo “Dio è nato in esilio”. Un diario apocrifo (per molti ben superiore alle Memorie di Adriano), di Ovidio in esilio a Tomi, che è un vero e proprio manifesto spirituale e letterario della sua lotta contro il dispotismo comunista. Un romanzo di svolta sia perché con esso vinse il premio Goncourt nel 1960, sia perché ad esso si lega un miserabile linciaggio mediatico orchestrato dai servizi segreti comunisti – che alcuni definirono “Affaire Horia”- che lo portò ad un feroce isolamento intellettuale.

A trent’anni dalla sua morte Horia si presenta però come un grande (ingiustamente) dimenticato delle lettere europee la cui opera e storia andrebbe riscoperta e rilanciata. Per conoscere al meglio la biografia di questo esule e la vicenda di questo scandalo politico-letterario, non si può non leggere l’ultimo libro di Maurizio Stefanini sulle vicende dello scrittore romeno: Vintilă Horia. Biografia di un esilio (WriteUp, 2024). Un libro in cui Stefanini (giornalista del Foglio e di Linkiesta; specialista in America Latina, movimenti politici comparati e approfondimenti storici; e saggista) ricostruisce con un taglio narrativo e saggistico-antologico la vita, le opere e il mondo che visse il grande scrittore romeno alternando analisi politico-strategica e indagine critica e biografica. Ne emerge un testo che oltre che rivelarsi una sorta di guida alle fibrillazioni e alle evoluzioni politiche dei Balcani e della Romania (dal Regat alla contemporaneità più recente) si presenta anche come una miniera di citazioni, di passi, scelti, di confidenze dello scrittore quasi da farne una sorta di breviario intimo e poetico per meglio conoscerlo e amarlo. Ricostruendo la biografia di questo esiliato par excellence attraverso uno studio approfondito, tra scena e retroscena, della metamorfosi della politica romena, dei rapporti dei servizi segreti romeni, delle querelle intellettuali che accompagnarono il celebre scandalo del Goncourt.

-Dottor Stefanini come nasce l’idea di una biografia su Vintilă Horia?

Questo libro nasce da un’idea dell’ambasciatore ed Immortale di Francia Maurizio Enrico Serra che dopo avermi dato degli spunti per riscoprire questo autore mi spinse a fare numerose ricerche su Horia, sulla sua opera, sui suoi scritti. Approfondendone la vita, le esperienze, le opere finii per accumulare così tanto materiale che poi Serra mi diede il suggerimento di trarne una biografia umana e intellettuale per raccontare la storia di questo grande maestro del Novecento – come sottolineo del resto anche nella dedica.

-Può raccontarci la vera storia del cosiddetto “Affaire Horia” e quale fu la vicenda dello scandalo che legò questo autore al Premio Goncourt?

È la storia di un esule romeno, di un grande scrittore perseguitato dal totalitarismo comunista, che dopo aver scritto uno dei suoi libri più importanti e decisivi (simbolo della sua dissidenza intellettuale e politica) viene colpito da uno spregevole processo mediatico di disinformazione la cui regia è affidata alla Securitate. Un processo di disinformazione (nelle sue logiche ancora molto attuale) che lo portò ad un progressivo isolamento intellettuale e alla rinuncia di Horia e alla mancata consegna del Premio Goncourt.

-Partiamo dall’inizio…

Nell’autunno del 1960, mentre lo scrittore ed esule romeno Vintilă Horia si trasferisce a Parigi, il suo romanzo “Dio è nato in esilio” entra nella corsa per il prestigioso premio Goncourt. Dei trecento romanzi ne rimangono dodici, una settimana dopo nove, poi sei e infine tre. Le vetrine delle librerie parigine sono già piene di copie di “Dio è nato in esilio” e questo straordinario “diario contro l’impero” di Ovidio a Tomi diventa subito un caso letterario. Da Place de Clichy, un giorno prima del Premio Goncourt, Horia riceve, infatti, il “Premio dei lettori”. Il 21 novembre 1960, mentre la giuria della Accademia Goncourt sta concludendo i suoi dibattiti, in televisione vengono intervistati i rimasti in gara: Vintilă Horia e Henry Thomas. Alla fine della trasmissione, il moderatore annuncia il risultato: Vintilă Horia, sei voti, Henry Thomas, tre voti e Albert Simonin un voto. Le Monde il giorno dopo titola: Il Goncourt di Vintilă Horia Nei giorni seguenti la stampa commenta con molti elogi ed appaiono rapidamente nuove edizioni. I più importanti giornali europei, la televisione e la radio in Francia trasmettono le sue interviste. Un successo che sembra riscattare i duri anni di esilio in Italia e soprattutto in Argentina.

-Cosa succede però?

Una settimana dopo l’annuncio del premio, la Fayard offre un cocktail presso la sua sede in rue Saint-Gothard, per celebrare il successo. Ed è qua che avviene il nodo principale di questa storia. Horia è infatti un esule perseguitato dal regime comunista romeno e per evitare che questa “vittoria” si rivolti contro gli interessi di Bucarest i quadri dirigenti romeni cercano di inserirsi in questo successo. “C’erano grandi giornalisti da tutto il mondo”, racconterà Horia. “Ad un certo punto, il direttore della casa editrice mi presenta un giornalista francese che mi dice: ‘Vengo da parte dell’Ambasciata Rumena a Parigi, il signor ambasciatore le chiede di accompagnarmi in ambasciata per fare delle foto con tutto il personale”. Horia, capendo questo tentativo di “assimilazione”, si infuria declinando in maniera netta e inequivocabile. “Ho avuto la visione dei suoi amici in prigione e esuli che sarebbero rimasti sbalorditi da quel mio gesto” – spiegherà Horia successivamente. Il giorno dopo, L’Humanité gli ha dedicato un intero numero in cui ero definito: fascista, nazista, legionario, antisemita, collaborazionista.  Inizia contro di lui, a tutti gli effetti, un vero e proprio linciaggio mediatico. Il governo di Bucarest ha, infatti, inviato a Parigi addirittura Mihail Ralea, una figura di primo piano dell’intellettualità di regime. Sociologo e giornalista, docente universitario, transitato dal governo autoritario di re Carol II a quello comunista con molta disinvoltura. Il quale porta con sé il dossier della Securitate su Horia ricco di accuse infondate ed errori.

-Quali saranno le accuse e quanto saranno vere?

Verrà accusato essere un filonazista e collaborazionista quando invece proprio per non giurare al governo romeno in esilio (quello sì veramente collaborazionista) fu mandato in un campo di prigionia. Fu accusato poi di essere membro della Guardia di Ferro, quando, invece, militò nel movimento nazionalista cristiano (un’organizzazione di destra fortemente anticomunista, ma anche nettamente avverso alla Guardia di Ferro). Il dossier inoltre conteneva numerosi errori, scambi di persona, informazioni false e deduzioni capziose, tanto che negli anni successivi allo scandalo del Goncourt buona parte delle informazioni che conteneva vennero espunte. Dalle informazioni contenute in questo dossier nacque una forte polemica intellettuale e giornalistica che portò ad un processo mediatico ricco di mistificazioni e equivoci che purtroppo si concluse con la scelta di Horia di rinunciare a ricevere il premio. Anche perché nonostante quelle affermazioni fossero false, Horia era certamente un intellettuale di una destra spirituale antagonista ad una visione progressista e comunista. E ciò non lo aiutò nella ricerca di consensi o difensori. Anzi…

-Nel testo più volte sottolinea la necessità di comprendere il clima politico e culturale di quella Romania entres guerres in cui si formò Horia prima di scadere in facili etichette e banalizzazioni…

Certamente. Non si può capire chi fu Vintilă Horia se non capiamo quale fu l’ambiente in cui si formò e l’educazione che ebbe. Horia fu, infatti, un nazionalista cristiano, un uomo di una certa destra radicale (anche se in termini spirituali soprattutto), ma come lo furono (anche in maniera più estrema) la maggioranza degli intellettuali della sua generazione (basti pensare a Cioran…). La Romania in cui si formò Horia, del resto, subì una forte crisi esistenziale e identitaria a seguito della complessa vittoria nella Prima guerra mondiale. Una crisi dovuta alle metamorfosi portate dal passaggio dal Vecchio Regno (tendenzialmente omogeneo e contenuto nella sua estensione) a quella che viene definita Grande Romania, “Romania Mare”, con cui il Paese più che raddoppia di superficie e di popolazione: da 140.000 a 296.000 Km², e da 7.750.000 a 16.250.000 abitanti. Nonostante la guerra fu vinta in extremis con il rientro nel conflitto nel 1918, dopo una pace separata imposta dagli imperi centrali (a seguito di una pesante sconfitta), essa portò con sé grandi conquiste territoriali. Come ha scritto lo storico Sorin Alexandrescu, la Romania “perse la guerra e vinse la pace”. Anche se ottenendo contraddizioni non da poco…

-Ovvero…

Con la vittoria della Prima Guerra Mondiale, la Romania prima Paese etnicamente omogeneo, a parte gli ebrei, passa avere quasi un 30% della popolazione rappresentato da minoranze: 7,9% di ungheresi, 4,1% di tedeschi, 4% di ebrei, 3,3% di ucraini, 2,3% di russi, 2% di bulgari… E i romeni, che sono il 71,9% della popolazione, sono però solo il 58,6% di quella urbana. In Transilvania, Bucovina e Bessarabia appena un terzo degli abitanti delle città è costituito da romeni. Alla caratterizzazione etnica si sovrappone spesso quella professionale che porta problematiche ineludibili: gli ungheresi grandi proprietari terrieri; i tedeschi artigiani e commercianti; gli ebrei finanzieri, commercianti, liberi professionisti, medici, farmacisti, intellettuali. In questo quadro – con il fantasma del comunismo ai propri confini, percepito come un inevitabile pericolo strategico – viene favorita la proliferazione di una cultura nazionalista che rilancia il mito della missione mediatrice e spirituale della Romania (come collante di un Paese ricco di frammentazioni e contraddizioni) in quanto potenza di contatto tra Oriente e Occidente. Ma la frammentazione e la necessità di integrare tra di loro i tanti frammenti sociali per costruire una Romania unita non sono i soli grandi problemi contro cui questa visione si infrange. Un altro è che, paradossalmente, questa Grande Romania, più che raddoppiata come territorio e popolazione, è più debole dal punto di vista geopolitico. Non solo a causa minore compattezza interna, ma perché è venuto meno l’equilibrio di potenze tra cui poteva bilanciarsi.

Dissolta l’Austria-Ungheria, ripiegata su sé stessa la nuova Turchia repubblicana kemalista, la Romania è circondata da tre lati su quattro da vicini che hanno su di essa rivendicazioni territoriali irredentiste (Ungheria, Bulgaria, Turchia) e evidenti interessi imperialistici (URSS). Per controbilanciare in particolare il revisionismo ungherese, la Romania che seppur ha costituito con Jugoslavia e Cecoslovacchia la cosiddetta “Piccola Intesa”, che la spingerebbe in chiave filo-occidentale, per la paura del comunismo e dell’Urss, si avvicina anche al fascismo, prima italiano e poi anche tedesco, da cui la nascita di un fenomeno fascista originale. Anzi, più fascismi, e tra di loro anche concorrenti. Visto nella prospettiva di un secolo di distanza, è un fenomeno inquietante. Eppure, è in questo humus che si formeranno intellettuali importanti, che costretti poi all’ esilio dal comunismo recheranno un apporto fondamentale alla cultura mondiale. Non solo Horia, che tutto sommato resta però in una sua nicchia, ma anche Cioran, Eliade e Nae Ionescu. Horia quindi vive in una Romania in cui è estremamente radicato nelle classi dirigenti e intellettuali un forte sentimento nazionalista e anticomunista. Egli, poi, militerà solo per una breve parentesi nella destra radicale, ma sarà una destra anticomunista e antiguardia di ferro, nazionalista cristiana. Tanto che, quando prenderà il potere la Guardia di ferro, Horia verrà epurato nel suo lavoro di addetto di ambasciata e successivamente quando si troverà nel consolato austriaco perché non vorrà aderire al governo fantoccio filonazista verrà deportato in un campo di prigionia (anche se la sua condizione di internamento fu sempre blanda e tipica di un diplomatico). Un quadro tanto personale quanto nazionale che smentisce buona parte delle illazioni sul conto di Horia e che ci aiuta a capirne meglio il pensiero e la visione.

-Abbiamo parlato a lungo dello scandalo Goncourt, ma sarebbe sicuramente opportuno raccontare soprattutto quel capolavoro che ne fu il protagonista (e in parte la vittima per certi aspetti). Che cos’è quindi “Dio è nato in esilio”?

Il libro può essere considerato come un ideale seguito delle Epistulae ex Ponto, nella forma di un diario apocrifo in cui Horia diventa Ovidio, e narra al suo posto in prima persona. Una identificazione favorita soprattutto dalla comune sorte di questi due scrittori: entrambi esiliati da un potere dispotico e imperiale, per il loro anelito spirituale e la loro sensibilità controcorrente. Il testo si articola in otto lettere, ognuna col resoconto di quello che è successo in un anno. Anno primo, Anno secondo, e così via, fino a Anno ottavo. Già dall’incipit possiamo capire che la chiave di lettura di questo testo è la sfida al potere totalitario che lo ha privato della patria: “Chiudo gli occhi per vivere. Per uccidere, anche. In questo sono il più forte; infatti, egli chiude gli occhi soltanto per dormire e nemmeno il sonno gli porta conforto. Le sue tenebre pullulano di morti, di crudeltà che lo ossessionano. Io so che a lui non piace il riposo, come non piace a tutti i grandi della terra. È adorato come un dio, ma nessuno lo ama. Infatti, è l’autore della Pace per tutti e ha creato il più grande impero di tutti i tempi, ma è anche l’autore della Paura particolare, della paura degli altri e della paura sua”.

-Che significato possiamo dire a questo apocrifo ovidiano moderno?

L’opera si può quindi leggere non solo come un atto di rivolta come un potere assoluto e fanatico, ma soprattutto come il percorso di una iniziazione spirituale in cui passando per il dolore, il poeta futile evolve, e scopre la morte. Ma in questa scoperta gli dèi pagani non possono certo assisterlo, anche perché nelle Metamorfosi ne ha dimostrato l’inesistenza… Ovidio si mette, quindi, in cerca di un’altra verità. Horia legge proprio negli spunti pitagorici (che secondo Jerome Corpino lo avevo condotto all’esilio) di Ovidio l’indizio di una ricerca spirituale, e forse un principio di dissidenza che per Augusto rischia di essere più pericoloso che l’esaltazione del libertinaggio. Horia, infatti, viene da una corrente ideale che ha creduto nella missione della Romania come mediatrice tra Occidente e Oriente, per la propria natura a un tempo stesso latina e ortodossa. Anche gli avi geti dei romeni si presentano dunque all’occidentale Ovidio come mediatori verso la scoperta del Dio anche lui nato in esilio, in Oriente. Ma nel conoscere i saggi dei Geti Ovidio riconosce il bisogno di quel Dio nuovo “che ridarà al genere umano la freschezza del principio”. Tramite questo spunto l’esilio non è più solo un castigo ma l’opportunità di una elevazione e di una rivelazione spirituale. Tanto che è proprio a Tomi tramite il medico greco Teodoro (che ha assistito alla natività) che Ovidio scopre che a Betlemme Dio è nato in esilio. Lasciandogli la promessa di un futuro di rigenerazione e liberazione incombente che distruggerà l’impero. Un messaggio significativo e inequivocabile in quello scenario di guerra fredda contro l’oppressione comunista e la speranza di una rinascita spirituale capace di conciliare occidente e oriente.

I più letti

Gruppo MAGOG