I geni, i brevetti sulla vita, lo screening genetico umano, la chirurgia delle terapie geniche, le nuove correnti culturali, i computer, le teorie evoluzionistiche rivedute e corrette, tutti questi elementi stanno cominciando a riprogettare il mondo. Le industrie biotecnologiche sono le forze nuove di questo secolo. Nell’era industriale fu il controllo del petrolio e dei metalli preziosi ad esercitare un potere enorme sull’economia mondiale. Il futuro sarà di quelle forze economiche e politiche che controlleranno le risorse genetiche del pianeta. Le multinazionali biotecnologiche, stanno già percorrendo i continenti da un capo all’altro nella speranza di localizzare microbi, piante, animali ed esseri umani dotati di carattere genetici rari, che in futuro potrebbero avere un valore di mercato. Dopo avere individuato i geni desiderati, le aziende di biotecnologie li modificano e poi cercano di proteggere le loro invenzioni brevettandole.
Le competenze tecnologiche necessarie per manipolare questo nuovo filone aurifero si trovano nei laboratori scientifici e nelle sale dei consigli di amministrazione delle grandi imprese del nord del mondo, ma la maggior parte delle risorse essenziali per alimentare questa nuova rivoluzione si trova negli ecosistemi tropicali del sud. Sembra proprio che sulla terra non vi siano luoghi irraggiungibili per i cacciatori di geni. Le imprese biotecnologiche sostengono che la tutela del brevetto sia un passo indispensabile se si devono rischiare capitali e anni di ricerca e di sviluppo per mettere sul mercato prodotti nuovi e utili. Ma i paesi del sud obiettano che il vero lavoro di ricerca e sviluppo si è svolto anni prima che gli scienziati scoprissero l’organismo e il gene e a farlo sono stati gli abitanti dei villaggi e gli agricoltori i quali hanno isolato, potenziato e conservato erbe e piante preziose. Essi rivendicano perciò una qualche forma di compensazione per il loro contributo alla rivoluzione biotecnologica. Intanto aumenta il numero delle associazioni non governative e dei paesi che si schierano su una terza posizione, sostenendo che il patrimonio genetico non dev’essere venduto a nessun prezzo, che deve restare un bene comune e continuare a essere utilizzato liberamente dalle generazioni attuali e future.
Il dibattito sui “brevetti sulla vita” è aperto, ma intanto le ricerche delle industrie in regioni sperdute del mondo continuano. Nell’aprile del 2001 il Los Angeles Times ha riferito di una spedizione scientifica guidata da Noe Zamel, un genetista dell’Università di Toronto e finanziata da una società privata di La Jolla California: la Sequana Terapeutics. La Sequana fa parte di un gruppo di società biotecnologiche di recente costituzione che si occupano di prospezioni genetiche. Queste industrie rappresentano l’avanguardia commerciale della rivoluzione biotecnologica emergente. A bordo di un’unità della marina sudafricana, l’équipe della Sequana ha raggiunto l’isolotto vulcanico di Tristan de Cunha, una striscia di terra di 65 chilometri quadrati persa nell’Oceano Atlantico e spesso definita il luogo più isolato del mondo. I suoi abitanti, poche centinaia, discendono dai marinai inglesi che vi sbarcarono per la prima volta nel 1817.
Ciò che rendeva interessante la piccola isola e la sua minuscola popolazione agli occhi degli scienziati era il fatto che fosse una popolazione incrociata e che metà degli abitanti soffrisse di asma. Gli scienziati speravano di trovare il gene o i geni responsabili e quindi di brevettarli. I ricercatori della Sequana hanno prelevato campioni di sangue a 270 dei 300 abitanti dell’isola, e in seguito hanno riferito di avere individuato i due geni possibili responsabili dell’asma. Ma fino ad oggi la società si è rifiutata di comunicare le sue scoperte agli altri ricercatori del ramo, che l’hanno accusata di porre le considerazioni commerciali al di sopra di tutti i loro interessi, compreso lo sforzo di trovare le cause di questa malattia. Dal canto loro le industrie biotecnologiche come la Sequana, ammettono che la loro attività è rivolta a sfruttare il genoma umano commercialmente e che non potrebbero sperare di produrre profitti se non potessero mantenere l’esclusiva sulle loro ricerche almeno fino a quando vengono brevettate. Tutte queste società sostengono che il modo migliore per fare produrre la ricerca sono gli incentivi di mercato.
La lunga corsa alla conquista del nuovo West era iniziata quasi 30 anni fa. I timori espressi da quanti sono contrari a queste ricerche sono emersi la prima volta nel 1993, quando un’organizzazione non governativa la Rural Advancement Foundation International, ha scoperto che il governo degli Stati Uniti aveva chiesto un brevetto americano e internazionale su un virus tratto dalla linea cellulare di una ragazza di 26 anni appartenente alla tribù Guaymi di Panama. Un ricercatore degli NIH aveva prelevato un campione di sangue alla donna e ne aveva sviluppato la linea cellulare. Quest’ultima aveva un interesse particolare per i ricercatori degli NIH, perché gli indigeni della tribù guaymi, che vive isolata, erano portatori esclusivi di un virus che stimola la produzione di anticorpi che potrebbero rivelarsi utili nella ricerca sull’AIDS e sulla Leucemia. Quando sono venuti a sapere della richiesta del brevetto, i rappresentanti dei Guaymi hanno protestato pubblicamente. Il loro presidente si è detto indignato che una istituzione scientifica insigne come gli NIH avesse potuto commettere una violazione tanto spudorata della privacy genetica della sua tribù e che il governo statunitense, senza comunicare le proprie intenzioni ai Guaymi, fosse poi giunto a chiedere di brevettare un carattere genetico dei guyami per ricavarne profitti. La protesta ha costretto il governo statunitense a ritirare la richiesta di brevetto.
Ma la polemica sul brevetto di geni provenienti da popolazioni indigene tornò a divampare qualche mese dopo, quando il governo americano ha presentato, negli Stati Uniti e in Europa, altre due domande di brevetto su linee cellulari prelevate da abitanti delle Isole Salomone e della Papua New Guinea. Quando il governo delle Salomone ha protestato, l’allora segretario al commercio statunitense Ron Brown, ha risposto seccatamente: “Ai sensi delle nostre leggi, ogni materia connessa con le cellule umane è brevettabile”. Nel marzo 1995, lo US Patent Office ha rilasciato al dipartimento della Sanità e dei Servizi Umani un brevetto per il virus T-Linfotrofico dell’uomo estratto in Papua che è così diventato la prima linea cellulare umana ricavata da una popolazione indigena ad essere brevettata.
Irritati dall’iniziativa americana, un gruppo di nazioni del pacifico meridionale ha proposto di fare del loro territorio una zona franca da brevetti. Come precedente citano la recente storica decisione delle nazioni del mondo di fare dell’Antartide un bene comune di tutto il mondo vietandone lo sfruttamento commerciale. Anche il governo indiano ha espresso profonde riserve sui progetti di ricerca che prevedono l’acquisizione di campioni di sangue. L’India con la sua diversità di culture e con le sue popolazioni incrociate (vige l’usanza di accoppiarsi tra consanguinei) è considerata l’ambiente ideale per le prospezioni genetiche. In India è possibile trovare le mutazioni corrispondenti a qualsiasi disordine genetico. Nel Bengala occidentale, dove il colera è una minaccia permanente, sembra esistere un folto gruppo di persone immuni da questa malattia. Gli scienziati stanno cercando il gene o i geni responsabili di questo vantaggio genetico, sperando di mettere a punto una nuova cura contro il colera.
Nel gennaio 1996 la Indian Society of Human Genetics (ISHG) ha emanato una serie di direttive con cui, nell’attesa di accordi formali fra le parti, si proibiva il trasporto di sangue, linee cellulari, dna, materiali scheletrici, fossili. Inoltre ha dichiarato che in ogni progetto si dovranno specificare: gli obiettivi e gli utili materiali ed economici che si prevede di trarne e come saranno ripartiti. Questo sulla scia di rivelazioni secondo cui gli NIH stavano appropriandosi illegalmente di dna di campioni di sangue di pazienti ricoverati in cliniche oculistiche private di tutta l’India, senza avere chiesto la necessaria autorizzazione a fare uscire i campioni dal paese. I ricercatori erano sulle tracce dei geni che provocano la retinite pigmentosa, meglio nota come nictalopia o cecità notturna. Il ministero della Sanità indiano ha puntualizzato che il progetto di ricerca avrebbe dovuto essergli notificato in precedenza, poiché le leggi indiane proibiscono l’esportazione di materiali biologici senza il permesso della ISHG.