OGGETTO: La Cina rallenta la Terra
DATA: 25 Giugno 2025
SEZIONE: Società
FORMATO: Racconti
AREA: Asia
Esiste un momento preciso in cui la materia si ribella al tempo. È quello in cui ventisette trilioni di tonnellate di cemento e acciaio, compattate nella forma di una diga, rallentano impercettibilmente la rotazione terrestre. Sei centesimi di microsecondo: una frazione di eternità che la NASA ha misurato come tributo involontario che l'umanità paga alla hybris cinese. Le Tre Gole sono un'opera di ingegneria idraulica che dichiara guerra alla fisica stessa, e annuncia una visione del futuro ben precisa.
VIVI NASCOSTO. ENTRA NEL NUCLEO OPERATIVO
Per leggere via mail il Dispaccio in formato PDF
Per ricevere a casa i libri in formato cartaceo della collana editoriale Dissipatio
Per partecipare di persona (o in streaming) agli incontri 'i martedì di Dissipatio'

La NASA lo ha certificato con la precisione di un orologio atomico: la Terra gira più lentamente da quando la Cina ha finito di costruire la diga delle Tre Gole. Sei centesimi di microsecondo in più per ogni rotazione. Una quantità da un lato infinitesimale, ma che dall’altro rappresenta un avvertimento: quando la Cina decide di spostare ventisette trilioni di tonnellate di cemento e acciaio verso l’equatore, persino le leggi della fisica devono fare i conti con la sua ambizione.

Mentre gli osservatori internazionali si perdono in calcoli su questo bizzarro effetto collaterale dell’ingegneria idraulica cinese, a Pechino stanno già progettando qualcosa di ancora più monumentale: una diga sullo Yarlung Tsangpo, il fiume più lungo del Tibet, che genererà tre volte l’energia delle Tre Gole. Altri microsecondi rubati al tempo, altre tonnellate di materia spostate per piegare il pianeta alla volontà del Partito Comunista Cinese. C’è un metodo nella follia dei superlativi cinesi: il grattacielo più alto, il ponte più lungo, l’aeroporto più grande. Primati mondiali che la Cina rincorre per emendarsi, dichiarare la propria indipendenza dal complesso di inferiorità che ha tormentato il paese per due secoli. C’è un qualcosa di stridente nel contrasto: mentre l’Occidente si è specializzato nel rimpicciolire tutto – processori, telefoni e computer sempre più sottili – la Cina ha scelto la strada opposta, occupare spazio per imporre il proprio dominio sul futuro. Si tratta di due filosofie del potere che non potrebbero essere più distanti: l’Occidente, assunto il manto della responsabilità globale, ha sviluppato nel tempo una fobia delle grandi opere; la Cina, lontana da una certa filosofia ecologista e dall’ambizione di essere un modello universale, sposta un milione e quattrocentomila persone per fare spazio a una diga.

Esiste un segreto nascosto nella lingua cinese che spiega tutto. La parola “politica” –政治, zhengzhi – contiene un ideogramma che significa “gestione delle acque”. Se nella visione del mondo occidentale la politica è una questione cittadina, di polis; per la Cina è una questione prettamente logistica, è l’eredità di cinquemila anni di civiltà fluviale: governare significa prima di tutto controllare i flussi, che siano di fiumi, merci, informazioni o anche di esseri umani. Non è esattamente un caso che il leggendario Da Yu, l’ingegnere mitologico che domò le inondazioni del Fiume Giallo cinquemila anni fa, sia ancora oggi il modello di riferimento per la classe dirigente cinese. Quando Jiang Zemin, l’ex presidente che supervisionò la costruzione delle Tre Gole, venne salutato dalla stampa ufficiale come “il nuovo Da Yu”, la Cina stava riconoscendo la continuità di una visione del mondo in cui la natura non è un ecosistema da preservare quanto un problema ingegneristico da risolvere. Il Grande Muro Verde contro l’avanzata del deserto del Gobi, i progetti di modificazione del clima attraverso la geoingegneria, le città costruite dal nulla nel mezzo degli acquitrini, rispondono tutti alla stessa visione del futuro.

Ma cosa spinge una civiltà a questa ambizione di controllo totale? La risposta si nasconde nel Secolo dell’Umiliazione, il periodo che va dalle Guerre dell’Oppio del 1840 alla fondazione della Repubblica Popolare nel 1949. Centodieci anni di invasioni, massacri, carestie artificiali, smembramenti territoriali che hanno lasciatocicatrici profonde nella psiche collettiva nazionale. L’Occidente, cementificatosi nel benessere del dopoguerra, fa fatica a comprendere cosa significhi vivere con il terrore esistenziale del collasso. La Cina no. È un paese che ha visto morire milioni di connazionali conoscendo carestie che spazzavano via intere province, ha subito l’umiliazione di vedere il proprio paese ridotto a oggetto di contesa tra potenze straniere. Per questo la Cina costruisce in grande: i grattacieli che svettano su Shanghai, le ferrovie ad alta velocità, le fabbriche che sputano fumo ventiquattr’ore al giorno sono un esorcismo contro la possibilità del ritorno al caos. È un paese che costruisce nel presente, pensando al futuro, ma contro il passato. Le grandi opere cinesi sono una promessa solenne che l’umiliazione non si ripeterà mai più.

Roma, Giugno 2025. XXVIII Martedì di Dissipatio

La visione strategica è tutta incentrata sul prevenire un rallentamento dei ritmi di crescita. Il dominio della filiera delle terre rare e delle batterie a litio è una leva che cresce di rilevanza quando l’avversario è paralizzato in dibattiti sulla sostenibilità. La transizione ecologica viene capovolta in opportunità di dominio. Vi è anche l’implementazione di una crescente automazione industriale, si parla di “dark factories”: catene di assemblaggio totalmente al buio, vengono progettate senza pensare all’illuminazione poiché nulla di umano opera al loro interno. È una risposta alla questione demografica, un modo di rimandarla indefinitamente ed uno strumento per preservare il vantaggio competitivo col superamento dei meccanismi di dumping salariale che hanno reso la filiera produttiva cinese attraente per decenni.

A differenza dell’Unione Sovietica, che esportava ideologia marxista-leninista, la Cina esporta infrastrutture. La Nuova Via della Seta è un sofisticatissimo strumento di soft power mirato a rendere Pechino il centro del mondo, si tratta di far sì che tutte le strade e tutte le tratte portino in Cina, non con la conquista ma tramite il multilateralismo. Lungi dall’essere un’ascesa tranquilla, gli analisti di Washington fanno riferimento ad un’espressione per ipotizzare gli scenari futuri: trappola di Tucidide, dal nome dello storico greco che per primo descrisse l’inevitabilità del conflitto tra una potenza emergente e una potenza egemone.

Il paradosso più emblematico dell’ascesa cinese sta tutto nella filosofia dietro di essa: lungi dal costruire una retorica della rivincita, un modello di civiltà o di mondo alternativo, la Cina ha costruito la sua ascesa incarnando i valori occidentali più intensamente dell’Occidente stesso. La Cina non è l’anti-Occidente ma è Occidente in potenziale, è uno specchio nel quale questo può osservare una realizzazione alternativa di sé. La fede illuminista nel progresso, nella ragione scientifica, nella capacità umana di plasmare il mondo secondo i propri desideri ed esigenze: tutto questo sopravvive oggi a Pechino. Sono valori nati a Londra e a Parigi, per un periodo applicati anche a Washington, poi messi da parte in favore della nuova fede laica della responsabilità globale, della relatività culturale. La fine della storia è un mito locale che ha voluto farsi globale, oggi la sfida tra l’Occidente dormiente e l’ascesa cinese è prima che ideologica, una sfida ontologica: si tratta di decidere quale visione del mondo prevarrà nei prossimi secoli.

C’è qualcosa di profondamente inquietante in questa capacità di manipolare il tempo attraverso la materia. È in un certo senso il sogno segreto di ogni civiltà: lasciare un segno così profondo nel mondo da alterarne persino le leggi. Con la diga delle Tre Gole e la centrale idroelettrica sullo Yarlung Tsangpo, la Cina aggiunge microsecondi alla rotazione terreste, è tempo in più per continuare a progettare la propria ascesa.

I più letti

Per approfondire

«Fare a meno della Cina? Sarà un processo molto doloroso». La lotta per il primato tecnologico raccontata da Alessandro Aresu

Il deteriorarsi delle relazioni economiche fra Pechino e Washington avrà conseguenze inedite e potenzialmente devastanti, soprattutto per noi europei: “Io non penso che un decoupling sia tecnicamente impossibile, perché si può spingere politicamente anche verso ciò che è tecnicamente difficile. La spinta esiste, e le cose difficili rimangono difficili.  Penso che un simile processo, preso sul serio, sia estremamente costoso, e che avrebbe enormi conseguenze.»

Il tempo della nemesi americana

Pechino, sospesa tra l’antica arte dell’equilibrismo e le ambizioni di un futuro da protagonista globale, si confronta con le sfide di un mondo sempre più polarizzato. Mentre le crisi internazionali scuotono vecchi assetti, essa cerca nel Medio Oriente una nuova frontiera strategica, che le permetta, giocoforza, di superare la sua "hedging strategy". Un percorso incerto, dove la linea sottile tra cooperazione e conflitto potrebbe riscrivere l’ordine globale.

Le guerre post-umane sono già qui

Il mare, con i suoi fondali inconoscibili, è stato a lungo frontiera ignota e terribile. Mentre la terra continua a colorarsi di rosso, il profondo blu marittimo si tinge di spie meccaniche, ed è un’innovazione che parte dalle grandi potenze telluriche. Russia e Cina aggiornano le loro flotte e raccontano la storia di una nuova forma di conflitto fondata sul post-umano, sull’IA integrata, sugli sciami decentralizzati e coordinati.

Revisionismo all’orientale

Cina e Giappone si fronteggiano da secoli, acuendo differenze e punti di faglia che, malgrado le razionali liaison politiche, continuano a manifestarsi. Gli imperi non finiscono: la Cina ha solo cambiato il colore dal celeste al rosso, mentre il Giappone, conscio di dover rivedere criticamente il pacifista articolo 9 della sua Costituzione, si riarma. La storia, pur procedendo, continua a proporre scene già viste.

I conduttori di asini e l’impresa dello Stato

Nell'intrecciato rapporto fra Stato moderno e capitalismo, l'attuale paradigma vincente è quello manageriale, unico in grado di votarsi alla massima funzionalità del sistema.

Gruppo MAGOG