Intervista

Massimo Fini: «Il futuro non è davanti a noi, è alle nostre spalle. Il nemico? Gli Stati Uniti, molto più della Russia.»

«Dice bene in una frase Guccini: “In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre. Dove regna il capitale, oggi più spietatamente.” Purtroppo, Marx si sbagliava. Lui pensava che ad un certo punto i ricchi sarebbero diventati sempre meno, quindi non sarebbe stata necessaria una rivoluzione. Sarebbe bastato dargli un calcio nel sedere. E invece questo non è avvenuto.»
Massimo Fini: «Il futuro non è davanti a noi, è alle nostre spalle. Il nemico? Gli Stati Uniti, molto più della Russia.»
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Fra i tumulti di una politica che sembra essersi finalmente risvegliata, regge il tempio laico milanese in cui Massimo Fini scrive, legge e accoglie chi da lui giunge per confrontarsi sullo stato delle cose. Circondati dai grattacieli figli di quella modernità da lui criticata, osteggiata, e tanto odiata, discutiamo di passato, presente e futuro: dei giovani “vecchi” orfani di ideali rivoluzionari, di accelerazionismo, di Milano, di una destra allineata e di una sinistra inesistente. Con una buona dose di pessimismo, cui si alterna l’inattesa visione di una luce in fondo al tunnel. Proprio quella del treno pronto a investirci, che attendiamo, tuttavia, con lo spirito di chi attende la liberazione di corpo e mente dalla propria, stancante, condizione.

-Fini, mi sembra che negli ultimi anni siamo tornati ad un vecchio tipo di frattura sociale, ovvero fra chi vede il Paradiso in Oriente e chi ancora confida nei valori occidentali. È ormai passato del tempo da quando, durante i miei anni universitari, lessi il suo Manifesto dell’Antimodernità. E mi sembra che molti dei punti toccati là poi si siano realizzati.

Io lo sottoscriverei ancora oggi tale e quale.

-Tanti lo stanno facendo. Nelle nuove uscite di saggistica mi sembra che ci sia un florilegio di “crolli occidentali” nei titoli. Emmanuel Todd ha pubblicato adesso “La sconfitta dell’Occidente”. Anche lì, di nuovo, si ritorna a quegli stessi temi. Potrei citare Piergiorgio Odifreddi se volessi menzionare un italiano. 

Purtroppo, il mio problema è che sono in anticipo. 

-Forse conviene essere in ritardo.

Sempre conviene essere in ritardo.

-Si sente di aver azzeccato una previsione, oppure qualcuno non voleva vedere quanto era già evidente?

Penso che tanto evidente non fosse. Il futuro è ad Oriente di sicuro, verso la Cina. Il Novecento è stato il secolo americano, ma certamente il Duemila non sarà più americano e sarà della Cina. E probabilmente anche del Giappone, anche se le due potenze sono in contrasto.

-Quindi la prossima grande sfida sarà Taiwan.

Si. Beh, c’è anche da considerare il mondo musulmano, che certamente ha più futuro del nostro. La nostra è una società vecchia. Del resto, i presidenti americani sono ottuagenari, Biden ad esempio. Non riescono a trovare un ricambio. L’Occidente è una società vecchia, vecchia proprio come età. L’Italia è fanalino di coda nel tasso di natalità, ma tutta l’Europa è sotto il 2. In tutto il Medio Oriente il tasso di natalità si aggira intorno a 2,5. E nella povera Africa nera, pur avendola noi sconquassata e rovinata, continuano a far figli: il tasso di natalità è al 5. Ritornando al discorso sull’Italia, ma che in realtà è di tutti questi paesi (europei), va a finire che non si potranno più sostenere le pensioni, non le daranno più. Perché un manipolo di giovani non può sostenerne tutto il peso. Oltretutto c’è proprio una svirilizzazione del mondo, mi riferisco in particolare all’Italia visto che viviamo qui.

-Mi interessava analizzare prima la nostra parte di mondo, per poi concentrarmi su quella a noi lontana. Qualche giorno fa ha rivinto Trump, un 78enne. Ecco, si è fatto qualche idea su cosa stia a significare tutto ciò? Forse la ricerca di una nuova virilizzazione con quest’uomo a cui non frega niente di niente e quindi fa ciò che vuole? Oppure era più un rifiuto del modello che è stato imposto dopo il 2008 con l’elezione di Obama?

A questa domanda non riesco a rispondere. So solo che con Trump la guerra tra Russia e Ucraina finisce nel giro di pochi mesi. E questo sarà sicuramente da una parte un vantaggio, ma la sua elezione vuol dire anche che lui si disinteresserà completamente dell’Europa e quindi noi dovremo creare un vero esercito europeo. Insomma, è quello che disse Angela Merkel cinque o sei anni fa: gli americani non sono più i nostri amici di un tempo, dobbiamo imparare a difenderci da soli. Naturalmente in quest’Europa unita è difficile. Sai, negli Stati Uniti, terre come il Mississippi o il Nevada, per esempio, hanno una storia comune. Qui ci sono paesi che hanno storie completamente diverse.

-Esatto, questa è la difficoltà. È fiducioso sul fatto che si possa arrivare a una qualche sorta di unione? Perché sembra che stiamo andando in una direzione opposta.

Però è necessaria, è una necessità. Sennò l’Europa scompare come entità. Del resto, se vuoi competere con questi grandi agglomerati – Stati Uniti, Cina, Russia – l’unica possibilità è di avere un’Europa forte, non un’Europa debole dove ognuno va per conto suo o dove la Commissione Europea si occupa di sciocchezze – tipo il tappo delle bottiglie. C’è un altro fattore: la finanza internazionale, che è più forte di tutti questi Stati messi insieme. E che – anche se non totalmente – è ebraica, motivo per cui non si risolverà mai il problema Israele-Palestina. Ripeto, il bisognino fa trottar la vecchia: l’Europa sarà costretta a unirsi e armarsi.

-Questa è l’unica via?

Io non ne vedo altra. Poi c’è un’altra ipotesi, che però sta nella mia utopia: bisognerebbe cambiare totalmente il modello di sviluppo. Noi oggi non produciamo nemmeno più per consumare, ma consumiamo per poter produrre. Bisogna che i consumi e le produzioni si abbassino drasticamente, anche perché tutta la storia del cambiamento climatico è vera e lo vediamo. Se si continua a produrre con l’intensità con cui si produce oggi ci si mangia il pianeta. E quindi ci vuole proprio un cambiamento radicale.

-Ecco, lo spazio per la radicalità. Tornando al discorso di Trump, della sua vittoria e del rifiuto del modello, a me sembra che ci sia stato un rifiuto della globalizzazione intesa come era stata percepita vent’anni fa.

Certamente. Adesso ci sono forti resistenze, soltanto che per ora dominano altri concetti e ribellarsi è difficile. Ci vorrebbe una rivoluzione globale e mondiale.

-Fatta come?

Fatta dalle persone.

-Dai giovani che non ci sono?

Dai giovani che – purtroppo – non ci sono. Tra l’altro la generazione precedente era stata distrutta dagli stupefacenti, questa è distrutta dal cellulare. Io preferirei un crollo del sistema repentino invece di questa lunga agonia. Invece sarà purtroppo una lunga agonia, però alla fine il sistema crollerà perché è un sistema che si basa sulla crescita esponenziale. Questa esiste nella matematica ma non in natura, quindi prima o poi il sistema collassa da solo.

-Dall’altra parte tutta la questione dei BRICS che vogliono unirsi, la Russia, la Cina… in realtà loro non stanno proponendo un modello alternativo. Stanno piuttosto dicendo: “Siamo la maggioranza del pianeta, vogliamo più spazio nel sistema che già c’è. Non vogliamo creare qualcosa di nuovo”. Quindi non rappresentano una speranza.

La stessa Cina, che pur come cultura di base aveva quella della non-azione espressa nel Libro della norma di Lao Tse, oggi è assolutamente buttata nel sistema capitalistico.

-Sono più cattolici del Papa forse.

*Ride* Si. Una volta il collasso del sistema che chiamiamo “capitalistico” l’avrei proiettato molto in là negli anni. Invece non dico sia imminente, ma credo che sia molto più vicino di quanto si potesse pensare rispetto a quando scrissi il Manifesto. In termini relativi perché ovviamente non è una questione di dieci anni.

-Certo, però neanche di due secoli.

Ecco, all’interno dei due secoli ci sta. Anzi, anche prima. Questo sistema va a una tale velocità che finisce per accorciare la sua stessa esistenza.

-C’è una teoria – la teoria “accelerazionista” – che vuole sostanzialmente portare al collasso del sistema accelerandone i meccanismi. Quindi, assecondarli invece che combatterli.

Questa è un’idea molto intelligente. Certamente.

Roma, Novembre 2024. XXI Martedì di Dissipatio

-Quindi forse questa è la chiave? Essere più capitalisti possibile e far emergere tutte le contraddizioni?

Sì. Il contrasto va a suo vantaggio, mentre invece l’opposto è una tecnica quasi orientale: se invece di contrastare lo fai andare ancora più veloce finirà per implodere prima.

-Mi interessava anche il discorso dei giovani. Mi sembra che sia sempre più in voga questo fenomeno dei “giovani vecchi”. Non so se è sempre stato così, però mi sembra di guardare intorno e vedere tanti giovani che hanno vent’anni e si comportano e pensano come se già ne avessero almeno il triplo. Come si spiega questa cosa? I giovani dovrebbero “far casino”, invece hanno la volontà di entrare nel sistema ancora prima di esprimere un’idea. Quale può essere la causa?

Non ci sono ideali trainanti per i ragazzi. Sarà stato pur pessimo il ’68, ma perlomeno c’era una via, una strada. Sbagliata, perché il marxismo ed il leninismo sarebbero morti dopo vent’anni, però c’era vitalità in quel movimento. Adesso non c’è assolutamente più niente. E del resto capisco che un ragazzo non può che essere disorientato. Poi naturalmente c’è tutto il problema molto pratico di trovare un lavoro, e quindi hanno altro a cui pensare. Certo, anche il fatto che i giovani facciano pochi figli è un segnale mortale, sennò da chi può venire nuova linfa?

-Manca nuova linfa dunque.

Naturalmente noi pensiamo alla storia in modo lineare: le cose stanno così e andranno avanti così. Ma in realtà la storia ci insegna che a volte ci sono degli stacchi improvvisi, quindi mai dire mai.

-Certo, però la tendenza sembra questa.

La tendenza in questo momento è questa, però ripeto: la storia ci insegna che ci sono dei momenti in cui cambia tutto. Il cambio essenziale è quello del modello basato sulla crescita. Ma naturalmente se tu senti i nostri politici – non solo italiani – è tutto basato sulla crescita, il che è un suicidio. Ci vuole tempo, non tantissimo. Una volta avrei pensato circa a due secoli, oggi penso che un secolo sia sufficiente, quindi relativamente vicino.

-Non posso fare a meno di notare che davanti alla sua finestra ha dei grattacieli, simbolo della Milano che magari fino a poco tempo fa neanche esisteva. Non so come sia cambiata negli ultimi tempi, ma penso tanto.

È cambiata moltissimo. Intanto prendiamo per l’appunto il riferimento dei grattacieli. Milano era una città che non aveva grattacieli – tranne il Pirelli, che era un capolavoro – ma case di quattro piani. Qui ci sono delle case popolari: la gente è dovuta venire via perché non sostiene gli affitti. Questo è un processo iniziato molto tempo fa. Tutto l’hinterland – circa 9 milioni di persone o qualcosa del genere – è di gente che è venuta via dalla città ed è andata ad abitare in questi “non luoghi”: hanno nomi di paesi ma non c’è niente, non c’è neanche una chiesa, una piazza in molti casi. E questo è avvenuto dal boom economico in poi. Il boom economico è stato un disastro da tutti i punti di vista. A noi la ricchezza ha fatto male. Il divario fra i ceti sociali più alti e quelli più bassi è sempre aumentato, oltretutto spazzando via lentamente la classe media che faceva da collante fra questi due stati sociali diversi. I ricchi diventano sempre più ricchi e anche un po’ più numerosi, ma i poveri diventano sempre più poveri e molto più numerosi, erodendo appunto la classe media perché qualcuno entra a far parte dei ricchi ma molti di più vanno verso la povertà.

-Potrebbe essere questo l’humus sociale e culturale da cui potrebbero nascere i rivoluzionari di domani o qualcuno con delle idee intelligenti? Da questa nuova fauna urbana di nuovi poveri? Il punto è che non c’è neanche la coscienza di essere poveri. Molte persone pensano di essere in ballo, di poter davvero puntare alle stelle.

Si, perché la mobilità sociale è diminuita. Se tu pensi al medioevo – quelli sono i secoli bui – la mobilità sociale era molto più alta, poi non c’erano queste sperequazioni perché sono non solo di ricchezza, ma di status. Oggi tu ed io siamo lontanissimi da una qualsiasi star. Nel medioevo il feudatario era molto vicino (al povero), nel senso che vivevano sullo stesso territorio e quindi tutto sommato avevano gli stessi interessi. Perciò è molto difficile – come hai notato tu – che da questo nasca una coscienza di “classe”. Però quando la gente sarà spinta con le spalle al muro una qualche reazione ci sarà.

Comunque, la decadenza assoluta la vediamo anche nella cultura, no? Prendiamo la televisione. Quella del democristiano Ettore Bernabei era una gran bella televisione: dal ‘68 al ‘72 furono dati in prima serata – o anche non in prima serata – una miriade di concerti di musica sinfonica, classica ecc. La sera c’era lo sceneggiato all’italiana, c’era il Karamazov, i demoni come testi di questi sceneggiati. Oggi non saprei, cosa mettiamo? Vai dove ti porta il cuore. Una decadenza in tutti i settori.

-Però sempre guidata dalla logica del profitto e della crescita. La testa del pesce marcio è questa: la logica del profitto.

Dice bene in una frase Guccini: “In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre. Dove regna il capitale, oggi più spietatamente.” Purtroppo, Marx si sbagliava. Lui pensava che ad un certo punto i ricchi sarebbero diventati sempre meno, quindi non sarebbe stata necessaria una rivoluzione. Sarebbe bastato dargli un calcio nel sedere. E invece questo non è avvenuto.

-Vorrei anche farle qualche domanda sull’Italia, però c’è un tale deserto che non so veramente cosa cosa chiederle. Di novità non ce ne sono. C’è soltanto una destra perfettamente allineata agli interessi americani.

Io conosco abbastanza bene Giorgia Meloni, le ho chiesto: “Come fai ad essere ipernazionalista, iper-europeista, ma essere iper-atlantista? Perché questo vuol dire avere lo zampone degli americani per non so quanti altri anni”. Lei mi ha risposto molto onestamente: “Sai, se ti metti contro gli americani il governo dura pochissimo”. Quindi il nostro nemico principale sono proprio gli Stati Uniti d’America, molto più della Russia. Non scopriamo nulla di nuovo nel dire che siamo un paese a sovranità limitata e che ha veramente uno spazio di manovra esiguo. Forse sulle questioni sociali, sui diritti civili, ma per tutto il resto non c’è modo. Poi chiaramente un paese che ha un debito come il nostro e che dipende così tanto dagli aiuti da fuori…

Il debito noi l’abbiamo accumulato negli anni Ottanta con le pensioni di fasulle, con le pensioni brevi, con le pensioni d’oro. Una volta tanto non è una colpa di Berlusconi. E tutti i governi successivi si sono trovati di fronte a questo enorme debito con cui si doveva fare i conti, sempre rimanendo nella logica del sistema. Non ci sono i soldi.

-Mentre dall’altra parte della barricata c’è una finta sinistra. 

Non c’è un provvedimento che vagamente possa sembrare di sinistra. Forse qualche cosa ha tentato di farla il Movimento Cinque Stelle, ma come sempre sono tutti partiti politici, il che è un altro dei problemi del nostro paese. Perché in altri paesi i partiti non hanno questo potere. Qui dominano il settore pubblico e il settore privato. La Lega di Bossi all’inizio aveva un’idea molto intelligente a mio avviso. La sua idea era che con un’Europa politicamente unita i punti di riferimento periferici non sarebbero stati più gli Stati nazionali, ma grandi regioni coese dal punto di vista economico, sociale, culturale e anche climatico. L’Europa unita non si è fatta e quindi anche questa possibilità è tramontata.

-Curiosità finale mia, lei non so se si definisce ancora anarchico. Si sente tale? 

Il mio pensiero va diviso su due piani. Qui e ora io resto un socialista libertario, poiché coniugare una ragionevole uguaglianza sociale col rispetto ai diritti civili mi sembra ancora l’idea più bella. A parte il fatto che il socialismo è sparito in tutto il mondo, c’è la linea Chavez-Maduro…

-Che però non gode di troppa salute.

No, anche perché è continuamente demonizzato e perché Maduro non è Chavez, che aveva un grande prestigio. Maduro non ce l’ha. Ma questo, comunque, per il qui e ora. Sennò io dico che il futuro non è davanti a noi, è alle nostre spalle: bisogna recuperare valori e sistemi di vita che c’erano e si sono perduti.

-E l’anarchia non è un’idea che sente sua in questo momento?

No, perché l’anarchia è una cosa da isolati.

-Mi interessava sapere se avesse qualche simpatia verso qualche movimento antagonista o chi va a rompere le vetrine, a fare casino, a distruggere solo per il gusto di farlo. Se quando ha visto qualche immagine in passato ha provato gioia a vedere un certo tipo di distruzione.

Sì, anche se però così contraddiciamo quello che abbiamo detto prima: che il sistema va assecondato e non combattuto.

(di Davide Arcidiacono e Leonardo Gambacurta)

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