OGGETTO: L'Italia senza satira
DATA: 06 Novembre 2025
SEZIONE: Società
FORMATO: Analisi
AREA: Italia
La morte di Giorgio Forattini diventa simbolo della fine della satira come voce critica: in un’Italia rassegnata e distratta, il riso non ferisce più il potere ma lo alimenta. Dalla corrosione di Luttazzi e Ricci alla leggerezza dei meme, la risata si è svuotata di senso, ridotta a puro anestetico sociale privo sia d'indignazione che di pensiero.
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Sembra una nefasta coincidenza, ma la morte di Giorgio Forattini, barone della satira in punta di matita, si colloca come simbolico ultimo atto della progressiva scomparsa di tale glorioso genere nel panorama “culturale” di questo sfortunato paese. Un acido, in altri tempi micidiale, ma che ora sembra aver perduto tutto il suo potere corrosivo, mutandosi in acquetta tiepida che sa di comicità, buona per mettere a mollo gli stanchi cervelli dei cittadini de-socializzati. Tutti i grandi sono ormai scomparsi, alcuni morti, altri non-morti ma relegati ai margini del palinsesto televisivo: Ricci (detronizzato proprio dal dilagante potere ipnotico dell’avanguardistico game show La ruota della Fortuna), Luttazzi, Guzzanti.

Sempre di più sembriamo assomigliare ai protagonisti di Seinfeld: gruppi di individui amorfi, senza una specifica identità, senza una morale, avulsi da qualsivoglia idea o pensiero profondo, profondamente convinti di essere nel giusto, bisognosi solo di una gran bella risata. E soprattutto, soddisfatti nel constatare ogni giorno che è possibile vivere benissimo anche senza tentare di attribuire un significato all’esistenza, né tantomeno cercandolo. Si vive alla giornata tra risate ed eventi insignificanti. Una caduta verticale della virtù civica, unita ad un accresciuto bisogno nevrotico di svago. Lo svago, o distrazione, è la soddisfazione sintomatica della necessità interiore di distaccarsi dal mondo. L’Io frammentato degli individui odierni consegna loro uno dei sintomi del desiderio di stasi: il bisogno di ridere. Divertirsi da morire direbbe Postman con efficace acume.

Ma venendo meno il senso civile scompaiono le visioni del mondo, di conseguenza la politica, la necessità democratica, e con esse la critica verso il potere attraverso le sue svariate forme. Tra cui la satira. Tota nostra est sentenziavano i romani parlando di questo genere unico, nel quale attraverso la risata è possibile parlare di cose serie. Tutta la commedia all’italiana è commedia ferocemente sociale, nel suo tentativo di mettere in luce gli aspetti grotteschi (e a volte turpi) della natura italiota. Si ride ma si ride verde, o anche nero. Si prendano ad esempio “Un borghese piccolo piccolo” o “In nome del popolo italiano”; capolavori cinematografici terribili di sociologia nera dove si ride anche, certo, ma come in uno specchio. Gli italiani non possiedono infatti un vero senso dell’umorismo e mal sopportano le critiche anche in forma di commedia, per cui occorre esagerare, ricorrere all’iperbole al fine di mascherare la verità sotto una coltre di improbabilità. La satira è invece più esplicita: essa getta acido a potenza corrosiva variabile in faccia ai suoi bersagli. Daniele Luttazzi era il campione della violenza verbale e simbolica. Ogni suo libro è una secchiata di vetriolo.

Il compianto Forattini prediligeva la rappresentazione grottesca, deformata dei suoi obiettivi satirici (basti pensare a Giovanni Spadolini rappresentato come un grande obeso sempre nudo con un pene minuscolo). In particolare le brutture fisiche dei politici o protagonisti della scena sociale venivano accentuate, tipico artificio “de-divinizzante”, specie durante la Prima repubblica dove il politico conservava ancora un’aura sacrale di intoccabilità. Antonio Ricci invece all’attacco diretto tramite ridicolizzazione, seppur ampiamente praticato, ha sempre preferito lavorare sul retroscena, sulla post-verità, ossia il non-detto, svelando i bizzarri arcani dietro al potere e sbeffeggiandolo attraverso mille artifici scenici (Gabibbo in testa). V’è più traccia di tutto ciò oggi?

Complice il fatto che non esiste più un reale potere da attaccare, che il ridicolo permea l’intera dimensione della vita fino a divenirne la cifra stilistica e che ormai irridere equivale a glorificare (si osservi attentamente Crozza per capire), l’autentica satira d’attacco è quasi del tutto scomparsa. Sopravvive forse nella forma virale del meme, divenuto l’ultimo strumento di demistificazione autentica. Al solito però tutto ciò non accade casualmente. La caduta tendenziale del civismo nel nostro paese porta con sé cambiamenti nelle esigenze psichiche degli individui. Alcuni psicologi, Emil Frank in testa, ritenevano che la ricerca di significato e l’impegno civile costituissero dei veri e propri bisogni psicologici dell’uomo; dei modi per ritrovare una coerenza interiore e riempire un vuoto. L’avvento della vita postmoderna sul modello Seinfeld ha fatto in modo che le dimensioni di senso si auto-escludessero dall’orizzonte dei bisogni, e che l’unica vera necessità fosse la soddisfazione dei desideri immanenti e facilmente individuabili.

Oggi accade più o meno la stessa cosa. La risata non deve avere null’altro se non la sua manifestazione sintomatica, il suo effetto immediato. La carica comica è svuotata di significato; da Giovenale si ritorna a Plauto, con tutto il suo repertorio classico di sconcezze comiche pure. Proprio a Giovenale si deve l’apoteosi della violenza nella satira antica (tremenda la sesta contro le donne, potente ed attualissima), cui agli sghignazzi amari unisce la forza dello sdegno e dell’invettiva violenta. Per secoli il potere ha temuto la risata più della rivolta; ora il riso è parte integrante del sistema costituito, ne è anzi il vero carburante. La sopraggiunta complessità del mondo e del potere ha prodotto un effetto strano nei cervelli dei cittadini: anziché acuirne la sensibilità verso le forme più sottili di controllo e oppressione, li ha fatti sprofondare in un bisogno assoluto di distrazione. Un meccanismo di difesa classico e perfetto, ma che esclude, per l’appunto, ogni riflessione e dunque ogni critica.

La popolazione allucinata chiede risate, non riflessione. La satira non è mai solo divertente, contiene in sé un messaggio di rivolta, di indignazione, di scontento, che si esprime attraverso il potere dissacratorio della risata. Ma oggi, come dicevamo, ridere significa essere complici. La rassegnazione è la vera cifra di questo tempo italiano. Un popolo rassegnato che desidera solo dimenticare. Ecco perché oggi sperare un nuovo Forattini non è impossibile, è inutile.

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