Ad aprile il quotidiano libanese An-Nahar ha riportato che Hezbollah ha trasferito dal Libano all’America Latina circa 400 dei suoi membri, tra comandanti di spicco e relative famiglie. Oggi Hezbollah è indubbiamente in difficoltà. La guerra con Israele ha privato il movimento di molti membri e comandanti, tra cui lo storico segretario generale Hassan Nasrallah. La caduta del regime di Assad poi, oltre a privare l’organizzazione sciita di un importante alleato, ha tagliato le linee di rifornimento dirette tra Libano ed Iran, rendendo quindi ancor meno sostenibile la dipendenza del Partito di Dio da Teheran. Con l’allontanamento di alcuni dei propri membri, Hezbollah mira sicuramente a disperdere e ad allontanare potenziali target dagli attacchi israeliani. Ma cosa lega davvero un movimento sciita libanese all’America Latina? Per capirlo occorre fare un passo indietro.
Il 17 marzo 1992 un’autobomba esplose a Buenos Aires davanti all’ambasciata israeliana, uccidendo 29 persone. L’attentato venne reclamato dalla Jihad Islamica, organizzazione legata ad Hezbollah e già nota per gli attentati di Beirut del 1983. Due anni dopo, un’altra autobomba colpì la sede dell’AMIA, la Argentine Israelite Mutual Association, importante centro della comunità ebraica argentina, lasciando stavolta sul terreno ben 85 morti e circa 150 feriti. In entrambi i casi, gli attentatori avevano usato come base operativa e logistica la Triple Frontera, una remota area di confine tra Argentina, Paraguay e Brasile. Qui Hezbollah manteneva – e mantiene – un’importante influenza, poggiata sulla presenza di oltre trentamila membri della diaspora libanese e su redditizie attività di contrabbando e narcotraffico.
Quello della Triple Frontera non è un caso isolato, e qui come altrove in America Latina e nel mondo, la presenza di Hezbollah va di pari passo con quella della vasta diaspora libanese. Quest’ultima è il risultato di una serie di ondate migratorie che hanno interessato il Libano dalla seconda metà dell’Ottocento, intensificatesi dopo la guerra arabo-israeliana del 1948 e la guerra civile libanese del 1975-1989. Ad oggi, il governo di Beirut stima i membri della diaspora in ben 15 milioni, molto superiori ai circa 5 milioni di cittadini del Libano. Di questi, oltre il 70% risiede in America Latina, con comunità cospicue in America Settentrionale, Africa ed Europa Occidentali. Nonostante la distanza e un buon livello di integrazione nel tessuto sociale ed economico dei rispettivi paesi di accoglienza, molti degli emigrati hanno mantenuto stretti legami con la propria patria, generando rimesse che contribuiscono a tenere in piedi la fragile economia libanese. Negli anni Ottanta, la neonata Hezbollah ha ottenuto fin da subito le simpatie della parte sciita della diaspora, la quale ha contribuito a finanziare il movimento e ad accoglierne i membri. Da qui la presenza di Hezbollah in America Latina si è fatta sempre più significativa, espandendosi in tutto il continente sulle direttrici della presenza libanese.
Sfruttando la necessità dei cartelli di riciclare gli enormi proventi del narcotraffico e i propri legami con la diaspora, Hezbollah è riuscita a mettere in piedi un impero costituito da migliaia di piccole imprese dedite al riciclaggio. Grazie a questa rete globale e diffusa, l’organizzazione si è ritagliata anche un ruolo di mediatrice per la gestione e la consegna dei carichi di droga nei mercati di consumo, come Europa e Stati Uniti. In cambio dei servizi resi, Il Partito di Dio riceve dai cartelli una percentuale dei proventi, che vengono poi trasferiti in Medio Oriente.
In patria, Hezbollah si presenta come un movimento nazionale di resistenza ad Israele, ma all’estero non esita a stringere accordi con cartelli e gruppi criminali ben distanti dalle proprie posizioni ideologiche. Il movimento sciita ha visto quindi nel Nuovo Mondo un’opportunità per diversificare le proprie entrate e acquisire maggiore autonomia finanziaria ed operativa, smarcandosi dalla dipendenza dall’Iran.
Solo nel 2007 la DEA statunitense ha lanciato una vasta serie di operazioni, riunite sotto il nome di Progetto Cassandra, volte a smantellare la rete messa in piedi dal movimento. Nel 2008 l’arresto in Colombia del libanese Chekry Harb portò alla luce un’organizzazione criminale, legata ad Hezbollah, che riciclava ogni anno centinaia di milioni di dollari per i cartelli sudamericani, grazie ad una rete di attività sparse tra Panama ed Hong Kong. Nel 2011 venne invece arrestato Ayman Saied Joumaa, a capo di una rete che aveva riciclato ben 850 milioni di dollari per conto del cartello messicano Los Zetas. La rete narcoterrorista messa in piedi da Hezbollah, nonostante la crescente attenzione delle autorità e un’importante serie di arresti tra Europa ed America Latina, ha continuato comunque ad espandersi attivamente nel corso degli anni.

Il Partito di Dio è ormai presente in tutti i paesi latinoamericani e spesso anche oltre, dato che la rete di riciclaggio arriva anche in Africa Occidentale e nel Sud-Est Asiatico. In America Latina solo cinque paesi riconoscono Hezbollah come un’organizzazione terroristica e questo, unitamente a una partecipazione di basso profilo alle operazioni del narcotraffico, ha fatto sì che l’attenzione sulla sua presenza sia rimasta bassa, rendendo difficile quantificare la portata e l’estensione delle sue attività.
In Colombia il movimento ha coltivato stretti rapporti con la Oficina de Envigado, importante cartello fondato da Diego Murillo Bejarano, alias Don Berna (immortalato anche nella serie Narcos di Netflix), e con le FARC, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia. Un altro importante alleato risiede invece a Caracas, visti gli ottimi rapporti intrattenuti tra il regime di Maduro e l’Iran. Qui alcuni membri della diaspora fanno parte degli ambienti diplomatici e governativi, facilitando ancora di più gli scambi tra regime e organizzazione sciita. Fin dai tempi di Chavez il paese ha infatti chiuso un occhio sui narcotraffici che passano attraverso il proprio territorio, in cambio ovviamente di tangenti. Le attività di Hezbollah non fanno eccezione, e in Venezuela il movimento ha trovato un porto sicuro per i suoi membri, ai quali sono stati spesso forniti dei passaporti venezuelani.
Oggi, su circa un miliardo di dollari di entrate annue di Hezbollah, 300 milioni derivano dai proventi del narcotraffico. Si tratta però di una stima conservativa e poco attendibile, vista la natura estremamente variegata, globale e decentralizzata della rete messa in piedi dal Partito di Dio, su cui ancora sappiamo troppo poco.
Gli avvenimenti in Medio Oriente stanno avendo però pesanti conseguenze sulla presenza di Hezbollah in America Latina. Il trasferimento di centinaia di membri mira quindi a rafforzare il controllo su un’area cruciale per il finanziamento dell’organizzazione, specialmente in un momento così critico. La presenza massiccia di miliziani nel continente rende inoltre più facile organizzare attacchi terroristici contro gli obiettivi israeliani e statunitensi presenti, aumentando così il potenziale di deterrenza del movimento sciita. Per questo, l’America Latina riveste un ruolo sempre più importante per Hezbollah, che deve garantire la propria sopravvivenza alla luce di un contesto mediorientale sempre più difficile.
L’amministrazione Trump ne è consapevole, e per questo il 19 maggio il Dipartimento di Stato ha annunciato una taglia da 10 milioni di dollari in cambio di qualsiasi informazione che porti allo smantellamento di una delle attività finanziarie di Hezbollah.
Di fronte a queste sfide, oggi il futuro di Hezbollah dipende anche da come riuscirà a giocare la sua partita in America Latina.