Nel contesto di una crescente vulnerabilità strutturale dell’Unione Europea, la Germania continua a rappresentare l’elemento portante dell’architettura comunitaria. Tale centralità si consolida in un quadro in cui la Francia è attraversata da persistenti turbolenze politiche interne e da un rallentamento economico strutturale, mentre il Regno Unito, anch’esso alle prese con difficoltà economiche, ha optato per la Brexit quale strumento di contenimento delle proprie fratture sistemiche, che principalmente possiamo ravvisare nelle spinte autonomiste dell’Irlanda del Nord e della Scozia. In questo scenario, Berlino si configura come l’unico attore continentale capace di coniugare potenza industriale e disciplina fiscale.
Questo binomio — capacità produttiva e solidità finanziaria — costituisce una precondizione per un ruolo militare strutturato, ossia la costituzione di un esercito supportato da una industria bellica autoctona. Come evidenziato da recenti analisi, la Germania ha avviato una profonda trasformazione della propria dottrina militare, con l’obiettivo dichiarato di costruire entro il 2031 la più potente forza armata convenzionale d’Europa, destinando fino al 5% del PIL alla difesa.
Tuttavia, nonostante l’uscita del Regno Unito dall’UE, Londra riafferma il proprio ruolo di snodo della proiezione geopolitica statunitense sul continente, contribuendo alla formazione di un asse settentrionale che include Polonia, Scandinavia e Paesi Baltici. Tale riconfigurazione ha spostato il baricentro strategico europeo verso Est e Nord, attenuando la capacità tedesca di orientare l’agenda continentale.
Il recente vertice di Copenhagen ne costituisce un esempio emblematico: il tentativo tedesco di promuovere un allentamento dei vincoli fiscali è stato oscurato da un’agenda interamente focalizzata sulla deterrenza nei confronti della Federazione Russa. L’impossibilità di inserire, anche solo marginalmente, la propria proposta evidenzia una crescente eterodirezione delle priorità strategiche europee.
Questa dinamica risulta paradossale se si considera che la Germania, forte della propria tripla A, rappresenta la garanzia implicita del debito sovrano di numerosi partner europei, e che oltre due terzi dell’economia continentale sono direttamente integrati nella sua catena del valore. Parallelamente, Berlino è l’unico Stato membro dotato di una base industriale-tecnologica avanzata e di una capacità di spesa significativa.
Dietro una postura apparentemente prudente, la Repubblica Federale sta predisponendo un apparato di difesa multi-dominio, comprensivo della dimensione spaziale, attraverso partnership industriali con imprese statunitensi e con infrastrutture localizzate sul proprio territorio. Tale configurazione implica un trasferimento di know-how e la costruzione di una potenziale autonomia operativa.
Non sorprende, pertanto, che le principali preoccupazioni rispetto a questa evoluzione provengano non tanto da Mosca, quanto da Parigi, tradizionalmente leader nel comparto spaziale e forte del proprio ruolo militare. Sul piano interno, l’ascesa dell’AfD riflette una crescente disaffezione nei confronti del progetto europeo e potrebbe fungere da leva per una revisione della postura tedesca nei confronti dell’Unione.
Alla luce di tali elementi, ogni tentativo di marginalizzare Berlino appare strategicamente miope. La Germania rimane il principale garante della stabilità economica e della coerenza sistemica dell’Unione. Escluderla o ridurne l’influenza significherebbe compromettere la tenuta dell’intero edificio comunitario e ignorarne il ruolo potrebbe equivalere ad assumere un rischio politico di lungo periodo.