In un angolo di mondo dove la libertà e la riflessione affondano le proprie radici, le lezioni tramandate dalle ombre dell’Olimpo spesso ci sfuggono, rivelandosi solo col trascorrere del tempo. La Grecia, culla della civiltà moderna, non ha mai smesso di offrirci figure eroiche che lasciano un’impronta indelebile nella storia. Tra questi volti spicca Alexandros Panagulis
Nato in una città della Grecia meridionale nel 1939 da una famiglia benestante e da generazioni dedita al patriottismo e al servizio delle istituzioni, si laurea in ingegneria ad Atene per poi arruolarsi, come figlio d’arte, ufficiale nell’esercito greco fino al 1967. Anno in cui sorse nella penisola Ellenica la dittatura dei colonnelli e lui, da profondo democratico qual era, decise di disertare in autoesilio a Cipro pur di non servire uno stato che non rappresentava i suoi principi.
Nell’isola mediterranea riflette e studia molto. Ma soprattutto soffre. Vedere il suo popolo schiacciato e privato delle libertà fondamentali fa aumentare in lui la sete di democrazia che caratterizzerà tutta la sua vita. Fino a quando, stanco, rientra in Grecia per preparare un attentato contro Papadopoulos che, nel frattempo, dopo appena sei anni da primo ministro, aveva spodestato anche il Re, diventando a tutti gli effetti presidente incontrastato della Grecia.
L’attacco viene programmato in una caldissima giornata di agosto e si rivela un fallimento a causa di un errore tecnico commesso durante il trasporto della miccia da un collaboratore. Il colonnello, dunque, si prenderà lo spavento dovuto alla detonazione, ma non avrà neppure bisogno di cure mediche. Alekos, invece, verrà catturato poco dopo mentre cercava di fuggire su una riva, attendendo una barca di un suo complice che non arriverà mai.
Il verdetto davanti al tribunale militare non tarderà ad arrivare e sentenzierà la pena capitale, salvo poi trasformarla in ergastolo per via delle pressioni internazionali e soprattutto per non creare uno scomodo eroe. Tuttavia, la galera per lui si rivelerà durissima. Un girone dantesco dove verrà privato di ogni diritto umano, subendo quotidiane violenze fisiche e psicologiche per le quali porterà i segni tutta la vita.
Se è vero, quindi, che Panagulis venne consegnato alle cronache per il tentato tirannicidio contro il colonnello e ai pettegolezzi italiani per la relazione con Oriana Fallaci, è vero anche che dovrebbe essere consacrato alla storia, alla filosofia e alla spiritualità come figura umana che ha sopportato e combattuto le angherie degli uomini senza mai perdere fiducia nell’umanità, accettando un martirio che gli avrebbe spezzato i muscoli ma mai la fede. Alekos, questo il suo soprannome, è una lezione di democrazia e cittadinanza attiva per tutti. Un monito granitico per non dimenticarci mai che a volte morire è una maniera per vivere e che esistono uomini capaci di essere politici anche e soprattutto in tempo di guerra.
Sopravvissuto alle torture più atroci, avvinghiandosi al dovere di lotta per la libertà, morirà poco dopo, all’alba della nuova democrazia greca, come parlamentare repubblicano in un del tutto mai chiarito incidente d’auto. Ma prima, una volta giunta una perlomeno apparente pace politica col crollo della dittatura, si impegnerà affinché i suoi stessi aguzzini muoiano di vecchiaia invece che perire di fronte a un plotone d’esecuzione. Al processo contro gli ex autocrati, in un’arringa che sarà una lezione, dirà: “In tempo di dittatura il tirannicidio è un dovere, in tempo di democrazia il perdono è una necessità. La giustizia non si ottiene scavando tombe.”
Panagulis, dunque, muore ma “Alekos Zei” (vive). Muore in piedi, con dignità e integrità morale, raccontandoci una storia contraria alla vendetta e all’odio. Perché chiariamoci: Panagulis non è un santo né tantomeno un manifesto di antitesi alla violenza, ma un uomo che, sopportando la cattiveria del nemico, ha deciso di agire da politico nel seno della giustizia anche a schieramenti di forza ribaltati. Come il partigiano medaglia d’oro Felice Cascione, che pur di non giustiziare un tedesco durante la guerra pagherà con la stessa vita, o come Pertini che farà staccare il cadavere di Mussolini da Piazzale Loreto perché lo scopo di una rivoluzione non è “sostituire i picchiati con i picchiatori”. La storia ci fornisce fulgidi e laici esempi di perdono che sono essenziali per preservare la democrazia e non cadere in un effetto occhio per occhio che oggi dilania Gaza, le nostre coscienze e sperduti angoli del globo, dimostrandoci sempre di più che il mondo abbia soppresso quella fiaccola di misericordia che costituisce l’umanità.
Perché quindi è importante ricordare oggi l’eroe greco? Non è solo un esercizio di memoria collettiva volto all’assimilazione nozionistica, ma ha anche una funzione di monito granitico che alla violenza non vi siano mai giustificazioni. Il messaggio è anche rivolto a tutti quegli “antifascisti” che giudicano legittima la violenza contro i “fascisti” o sedicenti tali… Per riprendere le parole di Fini, è bene ricordare che “tutti i democratici sono antifascisti, ma non tutti gli antifascisti sono democratici”.