Venerdì 7 novembre a Teheran è stato presentato al pubblico il monumento eretto in onore della vittoria militare del mitico condottiero persiano Re Shapur I, celebre per aver sconfitto l’imperatore romano Valeriano nella battaglia di Edessa del 260. La statua mostra il capo sasanide di Persia a cavallo, con l’imperatore romano inginocchiato, che chiede disperatamente un accordo di pace e la sua libertà. Oltre alla suggestività dell’immagine, ciò che colpisce è l’evidenziazione del senso di umiliazione nei confronti dell’egemone dell’epoca, con un inusuale utilizzo propagandistico di vicende storiche. Questo perché da un punto di vista artistico-culturale la Repubblica Islamica ha sempre esaltato il suo carattere religioso, evitando di rifugiarsi nella retorica nazionalista per discostarsi nettamente dalle politiche degli Shah. È evidente che la costruzione di questo monumento segni un chiaro punto di rottura, nato probabilmente da una maturazione politica, stimolata da esigenze strategiche.
Da un punto di vista storico, Re Shapur I è una figura gloriosa, ricordata con onore dal popolo iraniano. Le tremende difficoltà imposte a Roma, causate dalla serie di vittorie conseguite durante la seconda campagna di guerra inaugurata nel 252, culminata con la vittoria militare di Edessa e la cattura dell’imperatore, sono impresse nella memoria collettiva e vengono riprese dagli apparati per riscrivere una narrazione efficace, che necessita di essere adattata alle circostanze odierne. Se la presa del capo romano ha rappresentato simbolicamente uno dei punti più bassi della storia dell’egemone, le conquiste territoriali conseguite durante questa campagna, con la conquista della capitale delle province orientali Antiochia e della fortezza di Dura Europos, dimostrano con chiarezza le grandi capacità tattiche del re persiano e la fragilità romana sul campo di battaglia in Oriente di quel periodo. Per quale motivo le autorità rivoluzionarie hanno deciso di celebrare questo episodio, che fatica a connettersi sul piano storico-culturale con il carattere islamico della Repubblica? È evidente che in questa fase vi sia un estremo bisogno di dare solidità al fronte interno, preservando il potere e scongiurando eventuali rivolte popolari a causa del gravoso giogo economico e geopolitico imposto dall’Occidente all’Iran. L’indebolimento dei proxy causato dalle operazioni militari statunitensi ed israeliane nei confronti di Hezbollah, degli Houthi e Hamas ha ridotto sensibilmente la proiezione della Repubblica, che ora può fare affidamento su molti meno amici andando incontro ad un isolazionismo strategico e si ritrova accerchiata da nemici che non vedono l’ora di approfittare di un suo passo falso.

Inoltre, la guerra dei 12 giorni combattuta con Tel Aviv, che ha parzialmente raggiunto i propri obiettivi eliminando uomini chiave del settore scientifico-militare occupato nella ricerca per lo sviluppo del programma nucleare, ha aggravato ulteriormente la situazione. Per far fronte alle avversità che si presentano sul percorso dalla potenza persiana è opportuno cambiare narrazione, iniziando a soffermarsi maggiormente sulla Nazione invece che fornire esclusiva attenzione alla religione, sottolineando le storiche imprese del popolo guidato da leader gloriosi. L’accentuazione del carattere nazionale assume quindi un posto prioritario nell’agenda politico-culturale delle autorità, e mira a coinvolgere tutte le frange della comunità, richiamandole al sacrifico, qualora dovesse essercene bisogno, per favorire il destino e la traiettoria geopolitica persiana. Il messaggio lanciato dalle autorità però non è rivolto solo al proprio popolo, ma anche in maniera categorica ai nemici. “Vi inginocchierete di nuovo di fronte all’Iran” è la scritta contenuta sugli scudi del guerriero antico e quello moderno rappresentati sulla spalla della statua di Re Shapur I, i quali impugnano entrambi la stessa spada, ad evidenziare la continuità storica imperiale e l’immortalità della resistenza e dell’orgoglio nazionale. L’Occidente viene avvisato della volontà della Repubblica Islamica di combattere fino alla fine per difendere il proprio onore e di essere pronto a battersi con vigore per costringere l’avversario a piegarsi nuovamente al cospetto della guida nazionale. Che si tratti di un egemone antico, o di quello contemporaneo, il popolo persiano promette di opporre resistenza con grande decisione.
Questo episodio dimostra la rilevanza della memoria storica per le potenze abituate a pensare a sé stesse come un impero. Il ricordo delle vittorie, ma anche delle sconfitte, viene vissuto con intensità, e serve a trovare stimoli che permettano di affrontare gli ostacoli che si è costretti a superare percorrendo la propria traiettoria imperiale. Non ci si lascia scoraggiare dalla presenza ravvicinata dei nemici, dall’isolamento politico e dalla scarsità di risorse su cui fare affidamento rispetto alle quantità di cui dispongono le altre potenze. Le difficoltà sono varie,sotto diversi punti di vista. Le sanzioni imposte dall’Occidente pesano enormemente sulle precarie condizioni economiche del Paese, e il consenso degli Ayatollah non è granitico, ma sono presenti segmenti della società scontenti dalle politiche perseguite. Allo stesso tempo, un potenziale cambio di regime pare difficile, per via del forte consenso popolare su cui possono ancora contare le autorità rivoluzionarie e del grande controllo esercitato sul popolo. Per quanto concerne l’autosufficienza strategica nazionale le complicazioni sono vistose, ad esempio a causa la siccità che fiacca il Paese, forse la peggiore carenza idrica degli ultimi decenni. Sul piano militare si è sempre attribuita grande importanza allo sviluppo del programma nucleare, ma il conflitto con Tel Aviv e l’intervento statunitense hanno indebolito il processo di ricerca scientifica. Il cambio di narrazione con l’accentuazione del carattere nazionale è quindi una risposta alle avversità che l’Iran è chiamato ad affrontare, rifugiatosi in una retorica propagandistica per alimentare il senso di speranza e di fiducia nel domani.