Nato a Shangai nel 1955, Wang Huning è il tipico ‘drago’ cinese. Obbediente, cauto, determinato fino alla ferocia, pressoché anonimo – cioè, invisibile ad occhi disattenti. Ha studiato politica internazionale alla Fudan University, dove è nominato professore di legge a trent’anni: un record di precocità e di genio accademico. Come prima lingua, da ragazzo, aveva scelto il francese: il viaggio negli Stati Uniti, nel 1988, lo affronta come fosse una specie di Tocqueville. Fino ad allora, con devota acribia, aveva studiato il ‘sistema occidentale’, comparandolo a quello cinese, in libri per lo più accademici: National Sovereignity, Analysis of Contemporary Western Politics, Analysis of Comparative Politics. I fatti di Tienanmen lo lasciano indenne, forse indifferente; in molti – i rari amici, i compagni – profetizzano per Wang Huning una solida carriera (dire brillante varrebbe per ossimoro). Tornato dagli States, nel 1991, Wang Huning pubblica un libro fondamentale per la sua carriera. S’intitola America Against America, America contro America. Nel libro – in favore del genio cinese per la politica – il giovane avvocato scrive, con claustrale chiarezza, che “individualismo, edonismo, democrazia” sono le cause che avrebbero fatto implodere il regno americano. L’ambizione incontrollata, l’ansia del successo, una democrazia viziata dallo show business – che può vedere, cioè, alla presidenza un attore semi-fallito di Hollywood – decreteranno una lenta ma inesorabile disgregazione della forza americana. Al contrario, scriveva Wang Huning, paesi come il Giappone, forgiati su “collettivismo, altruismo, autoritarismo”, sono destinati a crescere.
Le cose – che chiariscono la distanza tra l’etica occidentale e la natura dei governi orientali – non andarono proprio così. Il Giappone è rimasto ciò che era, l’Unione Sovietica si è disfatta, gli Stati Uniti hanno volteggiato, un po’ aquila un po’ avvoltoio, sul corpo tumefatto del pianeta. Gli Usa hanno vinto, insomma. All’apparenza. Le profezie cinesi non sono giochi da illusionisti: mirano alla lunga distanza – soltanto l’improvvido occidentale pianta oggi perché cresca qualcosa, tra mezz’ora. L’occidentale gioca in Borsa; l’orientale governa la Storia. Insomma: dopo i fatti di Capitol Hill, il libro del compagno Wang Huning è tornato d’attualità, vendendo tantissimo. La rivista “Bloomberg” testimonia che nel mercato on line America Against America è arrivato a prezzi stellari, 16.600 yuan (pressappoco 2.500 dollari). “L’interesse per il libro è il segno di un rinnovato interesse per capire le reali potenzialità degli Stati Uniti. È chiaro che alla luce degli eventi recenti, una specie di guerra fredda civile, i dubbi della Cina levitano”, ha detto Wang Wen, decano del Chongyang Institute for Financial Studies. “L’instabilità di un partner commerciale significa che la sua credibilità pubblica è in declino”. Insomma, è il valzer dei predatori. Cina e Usa continuano a studiarsi in cagnesco: sappiamo che il neo nominato direttore della CIA, William J. Burns, ha tra i primi progetti in agenda quello di limitare la tracotanza commerciale cinese.
In trent’anni, comunque, da quando ha pubblicato America Against America, la carriera di Wang Huning è levitata in modo esponenziale. Nel 1995 comincia a lavorare per il politburo del partito centrale, dal 2002 è la guida del Central Policy Research Office, sostanzialmente il cervello politico del partito. Divorziato, ha avuto una figlia dalla seconda moglie, infermiera; dal 2017 è primo segretario del Partito Comunista Cinese. Rarissime le fotografie, profilo rastremato fino a sparire, Wang Huning è tra i più stretti e fedeli collaboratori del presidente Xi Jinping. È lui, Wang Huning, ad aver forgiato l’idea del “Chinese Dream”. In un articolo del 2017, il “Guardian” ha definito Wang Huning “Il Kissinger cinese: è il massimo consigliere per la politica estera del presidente, lo accompagna spesso nei suoi viaggi per il pianeta. È un centralizzatore, ideologo del ‘neo-autoritarismo’ rispetto alla dimensione collettiva del potere, rapace avversario contro la corruzione degli alti membri del partito”. È lui, in effetti, ad aver raffinato quella che il XVI Congresso nazionale del PCCC, era il 2002, ha ribattezzato la teoria delle “Tre Rappresentanze”, cardine del socialismo di matrice cinese. Che si riassume in: “Forze produttive avanzate” (economia); “Progressivo avanzamento della cultura cinese” (costruzione del mito, dell’immaginario consolidato); “Interessi fondamentali della maggioranza” (convogliare la felicità delle masse nella maggiore potenza del partito).
Al centro della filosofia cinese gli interessi prioritari, da tremila anni, sono verso l’etica e la politica, il governo di sé e quello delle masse, armonizzando Terra e Cielo. “Ai miei occhi, non vincere è la stessa cosa che vincere. Misurare il nemico e poi avanzare, calcolare le probabilità di vittoria e poi attaccare, è affare di chi ha timore… Se esaminandomi mi trovo retto, sfiderò anche migliaia e decine di migliaia di persone”, scrive Mencio. È questo a darci il segno della fatale ferocia cinese – altro che la lenta strategia d’Oriente. D’altra parte, si conosce il sapore dell’attesa e della dedizione interiore. Ancora Mencio:
Colui che va in fondo al proprio cuore conosce la sua natura. Conoscendo la sua natura conosce il Cielo. Esercitare il proprio cuore, alimentare la propria natura: in tal modo si serve il Cielo. Non darsi pensiero per una vita lunga o breve e perfezionare sé stesso nell’attesa: in tal modo si tiene per fermo il decreto del Cielo.
Questo, come dire, è l’abbecedario minimo di ogni teorico di Cina. Per capire quel mondo, dobbiamo studiarne (e tradurre) i fondamenti. Così ci sarà chiaro perché il compagno Wang predica la morte dell’Occidente.