Martedì 8 novembre 2022. Sean Penn raggiunge Kiev. È il suo terzo viaggio nella capitale ucraina da quando è scoppiata la guerra. L’attore americano porta con sé la statuetta d’oro del Premio Oscar vinto nel 2009 come miglior attore protagonista nel film Milk, diretto da Gus Van Sant. Il trofeo in questione è un omaggio per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Martedì è anche il momento delle elezioni di midterm americane, ma questo ci interessa relativamente, perché a prescindere dal colore che avranno i seggi del Congresso il giorno dopo, a prescindere da quello che accadrà alla linea diplomatica di Washington verso Kiev e verso Mosca, la statuetta in bronzo placcata in oro ventiquattro carati che dalle mani di Sean Penn passa a quelle di Volodymyr è il testimone che porta con sé il peso di una narrazione senza precedenti. Un tempo nuovo per un racconto nuovo. Un Dramma antico per una Tragedia digitale. Se Paul Ricoeur fosse ancora tra noi avrebbe sotto gli occhi un patrimonio di testimonianze e “poemi” audiovisivi da studiare per un eventuale suo saggio inedito, magari intitolato Tempo e racconto della Guerra in Ucraina, con il quale spiegare come la Storia ed il suo intrigo siano intimamente legati ed inscindibili dalla metafora, dalla poesia che narra le epopee. La costruzione di una memoria digitale della Guerra d’Ucraina e il monumento al suo eroe politico Volodymyr Zelensky, protagonista e attore al centro della narrazione, avranno certamente un peso inedito sul futuro di questa nazione.
«Ogni società è composta di individui, ed è proprio per questo motivo che essa si comporta nella Storia come un grande individuo e per questo lo storico può attribuire a queste entità singolari l’iniziativa di certe sequenze di azione e la responsabilità storica […] di certi risultati, anche se non intenzionalmente intesi. Ma è proprio perché la tecnica del racconto ci ha insegnato a separare il personaggio dall’individuo, che il discorso storico può operare questo transfert sul piano sintattico»
Paul Ricoeur, Tempo e racconto tomo I, Editoriale Jaca Book spa, Milano, 1986
Prima di scendere nel merito del pensiero di Ricoeur è opportuno soffermarsi sulla continuità storica dell’entità rutena o ucraina. Questa è la storia di un popolo che, oltre a non fruire di una realtà nazionale e statuale ben definita, è stato per secoli inglobato da grandi imperi. Seppure Hegel nelle sue lezioni di Filosofia della Storia non sia voluto scendere nel merito della “grande nazione Slava” situata nell’Oriente d’Europa:
«Queste popolazioni hanno […] formato regni e sostenuto lotte coraggiose con diverse nazioni; talvolta sono intervenute come truppe di avanguardia, alla stregua di un’entità intermedia, nel corso della lotta fra l’Europa cristiana e l’Asia non cristiana».
Già il Khanato turcico ebraico dei Khazari nel VII secolo, respinse gli Omayyadi nel Caucaso, sposando la religione ebraica per potersi schierare con i cristiani contro i musulmani asiatici, pur mantenendo una certa indipendenza nel loro ruolo di entità intermedia. Come d’altronde il clero greco-cattolico d’Ucraina dopo lo Scisma d’Oriente, che dopo una breve esitazione invece di volgersi verso Costantinopoli e quindi Mosca, cercò l’appoggio della chiesa romana nella seconda metà dell’XI secolo, riprendendo quella tradizione di entità culturale e militare di frontiera tra Oriente e Occidente. Nonostante la non statualità, o proto-statualità dell’anima ucraina sino al 1954, questa ha avuto una continuità sia sul piano dell’analisi dei nessi causali sia longitudinale sia trasversale. Basti pensare alla Rus’ di Kiev, culla della nazione russa, ucraina e bielorussa e poi successivamente, anche se in una forma meno stabile e duratura, al Principato di Galizia-Volinia, ai vari emanati che sono emersi dal XVI secolo in poi. Inoltre l’Unione di Lublino del 4 luglio 1569 rappresentò un momento fondamentale per la storia dell’Europa centro-orientale e in particolare per i territori ruteni, sancendo la creazione della Confederazione Polacco-Lituana, ossia la fusione del Regno di Polonia e del Granducato di Lituania.
«Si può dire che l’Unione di Lublino portò in effetti, nel lungo periodo, a una sorta di eterogenesi dei fini. Sebbene l’intento fosse quello di cooptare e assimilare i ruteni in un processo di “polonizzazione”, il risultato fu assai diverso, finendo con l’accrescere quella diversità identitaria latente nei ruteni che, proprio a causa dell’unione lublinese, li avrebbe condotti verso lo sviluppo di una separata coscienza nazionale. Nei secoli successivi al collasso della Rus’ kievana, sotto la sfera di influenza lituana, i ruteni rimasero in una sorta di isolamento e omogeneità pressoché totale sul piano religioso e culturale, e che, passando sotto il sostanziale controllo polacco in seguito all’unione del 1569, subirono svariati e arricchenti influssi europei sia nella sfera culturale sia in quella religiosa; influenze primariamente cattoliche e in misura minore luterane».
Giorgio Cella, Storia e geopolitica della crisi Ucraina, Mulino, Bologna, 2021
Hegel, come riportato negli appunti delle sue lezioni sulla Filosofia della storia, al riguardo sosteneva che «i Polacchi» avessero «perfino liberato Vienna assediata dai Turchi e» che «una parte degli Slavi» venne «conquistata alla ragione occidentale. Tuttavia questa intera massa» non è inclusa nell’analisi di Hegel, «poiché non» era intervenuta, sino ad allora, «nel mondo come momento indipendente nelle serie delle figure della ragione».
«Se ciò accadrà in seguito, è qualcosa che non ci riguarda; infatti nella Storia abbiamo a che fare con il passato»
G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della Storia, Laterza, Bari-Roma, 2003
Il fatto curioso che si vuole sottolineare è che l’identità ucraina si è arricchita specialmente dall’Occidente di matrice germanica. Un fattore che si ritrova oggi nella resistenza degli ucraini sotto la guida dell’eroe politico Zelensky è proprio il carattere degli «antichi Tedeschi», di quella parte di Scandinavi che «fondò colà il regno russo»: la «libertà», questo elemento che, al trapassare in un rapporto sociale, «non può generare altro che comunità di popolo, di modo che queste comunità costituiscono l’insieme e ciascun membro della comunità è un uomo libero». Insieme a questo elemento si accosta l’altro tipico vessillo germanico, ovvero la «fedeltà», con la quale «gli individui si stringono con assoluta libertà a un soggetto e rendono questo rapporto indissolubile». Ora non si vuole in questa analisi sostenere che nell’Ucraina il mondo slavo abbia raggiunto oggi un momento della ragione indipendente, ma si vuole portare all’attenzione del lettore il fatto che, nonostante una continuità frammentaria dell’identità ucraina nelle sue forme proto-statuali, e di stato oggi fragile a livello di confini – se non addirittura disomogeneo a livello linguistico e quindi ancora acerbo per una maturità adatta ad una definitiva emancipazione – è indubbio che l’arricchimento che l’Occidente abbia portato sia in passato che oggi a livello tecnico-militare e culturale, avrà delle conseguenze nel rafforzamento di un’autocoscienza del popolo ucraino, come in passato.
Qualcuno potrebbe commentare «come in passato, in maniera fallimentare», se ripensiamo ai tentativi falliti di Petljura negli anni venti del XX, come Bandera nella Seconda Guerra Mondiale, pur sempre oggi nella memoria degli ucraini conservati come eroi nazionali. Oggi, ancora come già accennato in precedenza, manca una maturità linguistica della nazione Ucraina, seppur Zelensky nelle sue arringhe via Instagram si rivolga ai suoi soldati in ucraino. La questione linguistica è una questione complessa che richiederebbe un’analisi filologica per nulla semplice ad avviso di molti studiosi della materia, ma anche qui non si vuole scendere nel merito di questo discorso, in quanto non si vogliono fare previsioni sulla stabilità statuale dell’Ucraina post-conflittuale e degli esiti di un eventuale negoziato.
Sono però proprio le arringhe di Zelensky, confezionate in guisa di prodotto audiovisivo, cinematografico, caratterizzate da un certo pathos e una certa retorica, capaci di mobilitare un intero popolo contro un nemico comune ad essere finalmente d’interesse. Questa narrazione raggiunge i cittadini del mondo come i loro governanti, arriva nelle case dei cittadini come nelle stanze dei bottoni sotto forma di video contenenti i discorsi del Presidente ucraino, immagini della guerra e della sua devastazione, immagini dei sacrifici del popolo ucraino sull’altare della libertà avvolti da colonne sonore drammatiche. La cadenza di questa narrazione ufficiale è quotidiana e si somma alla documentazione particolare della guerra in corso, da infiniti punti di vista – che siano quello dei droni Bayraktar usati dagli ucraini, o di quelli iraniani usati dai russi, i video delle body-cam appese alle armature dei soldati o i video girati con il telefonino nelle trincee per un parente lontano o postati su Tiktok. Insomma, se volessimo elencare tutte le tipologie di video e più in generale di «testimonianze multimediali digitali» della guerra in questione si perderebbe il filo del discorso. La vera conseguenza di tutto questo è che il fattore narrativo avrà delle conseguenze inedite per il popolo ucraino e per la costruzione della memoria di qualsiasi guerra futura.
Giambattista Vico ne La Scienza Nuova scriveva che una:
«Delle cose umane, per la quale a’latini, da “humando”, “seppellire”, prima e propiamente vien detta “humanitas”, sono le seppolture, le quali sono rappresentate da un’urna ceneraria, riposta in disparte dentro selve, la qual addita le seppolture essersi ritruovate fin dal tempo che l’umana generazione mangiava poma l’estate, ghiande l’inverno. Ed è nell’urna iscritto “D.M. Diis Manibus” che vuol dire: “all’anime buone dÈseppelliti”; il qual motto divisa il comun consentimento di tutto il gener umano in quel placito[…]».
Sono proprio le «sepolture», il «sacrificio per la libertà» che se unite ai nuovi media, assumono una potenzialità ancora non completamente dispiegata, ma in nuce nella natura della narrazione del conflitto. Zelensky in questo contesto assume il carattere dell’eroe politico, colui che riunisce attorno a sé una moltitudine di persone ad egli fedele, disposte a morire per difendere la propria identità e la propria nazione. Il fatto che questo “Ercole d’Ucraina”, abbia un passato di attore cinematografico professionista è quella che Jung avrebbe definito una «coincidenza significativa», sia per lo zeitgeist di questi primi decenni del XXI, l’epoca mediatica per eccellenza, sia per quanto scrive Ricoeur in Tempo e racconto, già citato all’inizio di questa discettazione, ovvero che «Ogni società è composta di individui, ed è proprio per questo motivo che essa si comporta nella Storia come un grande individuo» e anche per questo motivo esso può essere considerato come un «quasi-personaggio». Proprio in questo punto risiede la grandissima intuizione di Ricoeur, ovvero di come la storiografia nella sua «schematizzazione» degli eventi, condivida ed erediti la sua struttura semantica dalla «metafora viva».
«L’intelligibilità che questo processo di schematizzazione fa emergere si distingue nettamente e dalla razionalità combinatoria operante nella semantica strutturale, nel caso della metafora, e dalla razionalità legislatrice operante nella narratologia o nella storiografia erudita, nel caso del racconto. Questa razionalità mira piuttosto a simulare, a livello superiore di un meta-linguaggio, una intelligenza che ha le sue radici nello schematismo».
Paul Ricoeur, op. cit
Aristotele diceva che «fare buone metafore vuol dire cogliere il simile». Cogliere il simile secondo Ricoeur significa instaurare la somiglianza stessa avvicinando termini che, in un «primo tempo distanti», appaiono improvvisamente vicini.
«Ora l’intrigo di un racconto è paragonabile a questa assimilazione predicativa: infatti “prendere insieme”, integrandoli in una storia intera e completa, eventi molteplici e dispersi e in tal modo, “schematizza” il significato intelligibile che è proprio del racconto inteso come un tutto».
La «connessione» tra il racconto storiografico e la metafora risiede proprio nel fatto che le società vengano trattate nel discorso storico come «quasi-personaggi». Non è un mero effetto retorico, ma è un transfert-analogico doppiamente fondato: nella teoria del racconto e nella struttura del fenomeno societario. Il quasi-personaggio Ucraina ha un personaggio corrispettivo, un’entità di primo ordine, “personaggio” vero e proprio il cui nome è Volodymyr Zelenskiy. Il passaggio simbolico della statuetta dell’Oscar dalle mani di Sean Penn a quelle di Volodymyr Zelenskiy, è evidentemente depositario del discorso di Ricoeur. Senza volere scendere dunque nel merito di un’eventuale futura stabilità culturale, geografica e statuale dell’Ucraina post-conflittuale, è evidente che l’analisi storiografica – che già abbiamo individuato attraverso Ricoeur come etero-generata dal racconto poetico-metaforico – subirà l’aggravamento del peso della tecnica e dei suoi prodotti collaterali, quindi testimonianze, ma anche prodotti dal contenuto retorico-metaforico-celebrativo.
Ad un lettore «addetto ai lavori» questo risvolto potrebbe sembrare scontato o banale, in quanto come tutti sanno la digitalizzazione degli archivi di stato non è un processo inedito e repentino, bensì progressivo a partire dalla fine della seconda Seconda Guerra Mondiale e parallelo al fenomeno della terziarizzazione delle società occidentali e non. Se nel passato i tentativi di Petljura e Bandera furono fallimentari nella costituzione di uno stato autonomo, certo è che il loro ricordo è vivo nella memoria degli ucraini che oggi combattono contro i russi. Si provi ad immaginare quanto in più la memoria dell’eroe politico Zelensky e il sacrificio dei soldati ucraini avranno sulle generazioni future di Kiev e per altro del mondo intero, riflettendo rispettivamente autocoscienza del popolo ucraino ed il riconoscimento dall’esterno. Anche se Zelenskiy dovesse fallire, difficilmente questi passerà alla storia come un traditore (vedi la novella de L’eroe e il traditore di J. L. Borges), perché la narrazione digitale odierna e la costruzione di una memoria digitale in futuro per l’Ucraina, avrà un peso inedito, ancora per noi sconosciuto, ma alla portata di qr-code.