Da molti è definita una provocatrice di ruolo. Valentina Nappi, la pornostar più criticata sui social per le opinioni altre sul femminismo social di ora, non ha di certo timidezze e remore nelle sue dichiarazioni. Possiamo chiosare: esser bastian contrari ormai è facile, basta non attingere al conforme, da quello professato da coloro, moltissimi/e, che si muovono su una non provata superiorità morale, soprattutto, in questo caso, femminista e femminile.
“Dire che il catcalling è molestia sessuale è un’offesa per chi è stato molestato”, fu il tweet che, lo scorso aprile, portò Nappi a essere trend topic, in negativo. Fu dichiarata da molti come non degna di avere un’opinione: “Potrei essere invidiosa di un dottore o avvocato, ma di una così no grazie, so fare anche io tutto quello che fa lei senza telecamera”, “Va beh ma il pensiero di una pornostar non conta un c****”, solo un paio fra i tanti commenti copia in colla (moltissimi, anche, gli insulti).
Indi, per alcune e alcuni, se sei una showgirl e pornostar non puoi esprimerti e sapere della fatica d’essere donne con certificazione di bontà e disciplina. Per parlare di questioni femminili bisogna fare lavori rispettabili, ed essere scisse dalle grinfie dell’oggettivazione sessuale, non usare il proprio corpo a piacimento e, soprattutto, per monetizzare. Il divieto allo “stai zitta” non vale sempre e può essere sollevato. Valentina Nappi deve stare zitta. Ma, per fortuna, non lo fa.
E nell’ondata di critiche piene di decoro, che dividono di nuovo le donne fra perbene e permale, viene in mente il saggio della filosofa Valeria Ottonelli La libertà delle donne. Contro il femminismo moralista. Era il 2012, eravamo reduci dalle manifestazioni contro Berlusconi e le ragazze chiamate “olgettine”, e Ottonelli intuì quanto fosse in crescita la posizione culturale e politica che, nel nome della libertà delle donne, stava assumendo un atteggiamento censorio nei confronti non solo degli uomini ma anche e soprattutto delle donne stesse. Una posizione di superiorità composta da veri valori, vero bene, uso corretto del proprio corpo, della propria sessualità… Insomma, parrebbe che se non ti comporti come indicato, finisci per essere il male.
In quest’ottica Valentina Nappi, per la professione, è giudicata vittima di se stessa o, ancor peggio, svilente il sesso femminile e le voci che le inveiscono contro non pensano quanto le loro affermazioni appaiano rivisitazioni, ma in chiave laica, di vecchie regole religiose e tradizionaliste. L’imprudenza di Valentina Nappi è che dal suo account non ripete alle donne “poverine”, anzi, dice loro di farsi valere. Donne, dovete essere anche consce del vostro potere sessuale, della vostra conquistata libertà, dovete eliminare dio e le madonne, finalmente. Altra imprudenza: provoca, si muove per iperboli, affare complicatissimo oggigiorno, in cui tutto viene preso maledettamente sul serio. “Ma se due fischi per strada e la visione di un pene vi turbano tanto, come farete a ricoprire alte cariche pubbliche o aziendali? Ci sono grattacapi ben più grossi nella vita. Forse il problema principale è che non si insegna alle bambine ad essere forti”, ecco il Nappi-pensiero.
Liberatevi da voi stesse, da questa infantilizzazione così limitante. A un’utente che afferma di non avere la forza di uscire la sera per paura di essere aggredita, risponde: “Sei la causa del tuo male”. A chi le dice che il sessismo esiste, replica “Anch’io voglio eliminare il sessismo nel mondo e certi atteggiamenti maschili non mi piacciono ma la narrativa che la colpa sia tutta dei maschi è stupida e sbagliata”, e intanto ricorda quanto le morti sul lavoro siano per lo più uomini e quanto sia “troppo comodo guardare il sessismo solo da un lato”. A me, in questo martellamento in cui il maschilismo e il patriarcato hanno preso le forme del complotto e della semplificazione (ormai si spiega tutto e di più), pare voce della ragione, ma forse anch’io sarò una di quelle incapaci d’intendere e di volere, con una diagnosi: misoginia interiorizzata. Ed è per questo che contatto Nappi per un’intervista. Alla prima mail mi risponde, gentilissima: “Certo, mandami le domande”. Ribatto che, in verità, preferirei incontrarla in video call. E lei: “Se mi paghi, sì”. Mi segno sull’agenda l’importanza di essere essenziali e decise. Ha ragione se vuole essere pagata (Dum loquor, hora fugit), ma io non posso permettermelo. Non riesco neanche a pagare me stessa. Le mando alcune domande via email. Qua di seguito non leggerete, quindi, un’intervista, ma una selezione delle sue risposte al mio questionario.
Hai creato un putiferio con “Davanti alla parola ‘stupro’ smettete di ragionare e pensate con la pancia. Meglio lo stupro che le feminazi al potere. Meglio lo stupro che perdere un arto”. Dove finisce la provocazione e dove inizia il pensiero di Valentina Nappi?
Non c’è nessuna provocazione. Il dilemma è tra essere lucidi o viceversa pensare con la pancia, come dei babbuini. Davanti alla parola stupro molti si trasformano in babbuini. È lo stesso meccanismo psicologico che si attiva quando su Facebook si parla di pene per i serial killer: la gente mostra il peggio di sé e quello che si vede è una massa furiosa di scimmie pre-illuministe. A costoro, a chi non sa reprimere la pancia, toglierei il diritto di voto.
Un tempo era la chiesa a dire alle donne di comportarsi per bene, ora c’è un femminismo che professa la libertà, per poi giudicare quelle che si mostrano sexy in tv. Le vedono, anche, come vittime del sistema e del maschio, come se fossero delle bambine succubi. Cosa ne pensi?
Io non sono contro il giudizio, specie se parliamo di giudizio morale. Trovo fondamentale giudicare ed essere giudicata. Senza morale non c’è civiltà. E se una civiltà è dominata dal relativismo morale, rischia la decadenza. Sono assolutamente contro il relativismo morale. Dal mio punto di vista la questione che poni è invertita: a essere condannate dal tribunale della Ragione – che è l’unico legittimo – e dunque a non aver diritto di continuare a esistere sono le donne che NON si mostrano e che NON sono promiscue. Esse sono oggetto del mio giudizio morale negativo, della mia condanna. Come vedi, non sono meno normativa e giudicante delle suddette femministe, ma lo sono col segno opposto.
Ti attaccano in quanto pornostar, come se, per quello, fossi una donna di serie B e non potessi avere un’opinione. Perché secondo te siamo ancora a questo punto?
Come ti ho già detto il problema non è il moralismo, ma il merito dei valori morali che si propugnano. I miei sono di segno opposto rispetto a quelli delle donniste che mi attaccano. Ecco, penso che nel mondo ci sia un problema di donnismo. Il donnismo è uno degli aspetti del naturismo che si sta pericolosamente affermando di questi tempi. Il naturismo è l’ideologia secondo cui la natura, al netto della componente umana, sarebbe qualcosa di intrinsecamente positivo ed esisterebbero equilibri naturali che l’uomo non dovrebbe alterare. Si tratta di una pericolosissima ideologia antimoderna.
Dici alle donne è di smetterla di frignare e di iniziare a decidere per loro stesse senza incolpare continuamente gli altri, la società, il maschio, il ‘patriarcato’. Sei un’immagine di piena emancipazione. Eppure molti, paradossalmente, ti vogliono vedere come vittima. La libertà fa paura?
La libertà solo formale è una stronzata. Sei libero solo quando hai una consapevolezza filosofica che ti permette di emanciparti da quel gioco di pulsioni rimbalzanti, di empatie mimetiche, di slogan orecchiati e idee spicciole che trasformano il nobile gioco della politica in una misera, primitiva contesa tribale. Chi mi attacca in quel modo è poco più che un babbuino.
Colette, pioniera della liberazione sessuale, diceva che le donne hanno il potere sessuale dalla loro parte, e con quello possono comandare il mondo. Smetterai un giorno di fare l’attrice e di usare il tuo potere sessuale?
Io uso il mio potere in maniera paradossale, come antipotere. Uso le armi femminili per sparare contro tali stesse armi. No, non smetterò mai di fare porno in qualche modo.
*Il sito di Annina Vallarino, “Mai Leggera”, lo leggete qui.