Nell’ultimo periodo a fronte della visita di Xi Jinping a Mosca si è parlato molto delle relazioni russo-cinesi. Le letture di questo fenomeno sono moltissime: da un lato c’è chi dal punto di vista liberal e socialdemocratico non è tanto sorpreso quanto spaventato dall’avvicinamento di due Paesi che essendo autocrazie non possono che essere molto simili, dall’altro c’è chi (a ragione) con più moderazione cerca di non enfatizzare troppo le dichiarazioni sia da parte russa sia da parte cinese e cerca di guardare ai fatti.
È possibile che due imperi confinanti “all’improvviso” diventino nuovamente amici? No. Un po’ di antiamericanismo politico e geopolitico non è sufficiente perché due imperi vadano a braccetto. Al di là del comprensibile entusiasmo russo per questo avvicinamento (in questo modo Mosca può affermare di essere sostenuta o almeno di non essere condannata da quei Paesi che corrispondono alla maggioranza demografica del globo), questa lettura è suffragata anche da motivazioni di diverso tipo: dal punto di vista storico nessuno dimentica come una volta i giovani cinesi andassero a Mosca per studiare (ciò avviene anche adesso ma in contesti e cifre completamente differenti) e prendere lezioni di socialismo, a livello sociale manca un amalgama tra questi popoli dato il secolare razzismo reciproco, a livello ideologico c’è un’insofferenza (sovietica) per un vicino che sta inglobando e “vincendo” il capitalismo senza rinunciare alla bandiera rossa o ad aspirazioni imperiali. La comunanza temporale di interessi motivata da un certo tipo di antioccidentalismo non sembra poter scalfire l’indirizzo di queste matrici storico-sociali.
Per queste ragioni, stando anche alle ripetute dichiarazioni di esponenti politici di rilievo sia russi sia cinesi, le relazioni tra i due Paesi sono ottime, ma parlare di alleanza (cioè della commistione dei settori economici e militare) è del tutto errato. Nei fatti Via della Seta e Unione economica eurasiatica rimangono realtà ben distinte e separate. Di solito per spiegare l’impossibilità di questo connubio economico, oltre al fatto che la Cina a livello internazionale non voglia sbilanciarsi troppo, viene addotta la rivalità russo-cinese in Asia Centrale. Per molti aspetti questa rivalità è una “bufala” occidentale. Nei fatti la Cina è poco interessata a queste regioni: si tratta di Stati molto poveri, dal punto di vista cinese poco popolati e di difficile “gestione” data la fede islamica e i forti sentimenti sinofobici (soprattutto nei casi di Kirghizistan e il Kazakistan). L’unico Paese con cui la Cina ha buone relazioni stabili che sembrano destinate a migliorare è il Kazakistan (che per il momento continua a non poter fare a meno della Russia né dal punto di vista politico né da quello economico). Tra l’altro è di poche settimane all’incontro tra il presidente kazako Tokev e il membro del Politburo del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese e segreterio del Comitato del Partito della regione uigura dello Xinjiang Ma Xingryj . Il fatto che in Kazakistan vivano circa 250.000 uiguri e che una parte consistente degli uiguri residenti in Cina siano etnicamente kazaki per il momento non scalfisce minimamente le relazioni fra i due vicini.
La questione è anche complicata dal fatto che le scelte russe e cinesi non sono esclusivamente spiegabili dal sentimento antioccidentale (che attribuisce ai diretti interessati una suddivisione binaria del mondo in buoni e cattivi che in realtà non condividono) o da certa affinità di visioni e interessi di due leader che sono al potere da tanto, ma dalla volontà di guidare un processo già in atto: il cambiamento dell’ordine mondiale. Troppo spesso in Occidente questo concetto viene sottovalutato, si pensa che queste siano solo dichiarazioni di autocrati che in questo modo cercano di legittimare le proprie mire espansionistiche e personalistiche. La volontà di essere un Paese di rilievo e di partecipare alla plasmazione del nuovo ordine mondiale obbliga a rigettare e bollare come semplicistiche quelle letture del contesto geopolitico globale simili a quella sopra esposte. Il fatto che da questo punto di vista Paesi come Russia, Cina, Turchia e altri siano più pragmatici è dimostrato dai loro successi diplomatici (si pensi al riavvicinamento tra Arabia Saudita da un lato e Iran e Siria dall’altro), cosa che ricorda ad alcuni Paesi europei – come la Francia -che politicamente l’Europa è un nulla di fatto e geopoliticamente una colonia degli Stati Uniti. Questo spiega perché Macron si sia recato a Pechino con il fine di mostrare una certa indipendenza europea dagli Stati Uniti (subito circoscritta dalla presenza della von der Leyen che resta uno dei nomi palpabili per la guida della NATO) e la volontà non solo di dialogare, ma anche fare di affidamento alla capacità di mediazione cinese.
La terza rielezione di Xi Jinping è un fatto sicuramente molto importante e corona un profondo processo di cambiamento nella struttura del potere in Cina. La successiva nomina del generale sotto sanzioni USA Li Shangfu come nuovo ministro della Difesa e la visita a Mosca sono sicuramente segnali importanti di un leader appena riconfermato e che quindi ha mano libera. Naturalmente in questo modo la Cina parla agli Stati Uniti: nonostante la vicinanza con la Russia (che in questo momento è obbligata a vendere gas e greggio a prezzi molto convenienti per gli acquirenti) i rapporti commerciali con i Paesi occidentali sono quantificabili come sette volte più grandi. Pechino sa che per il momento il controllo del mondo passa dal dominio del Vecchio Continente: per questo oltre ad essere impossibile rompere con l’Occidente sarebbe un suicidio.
Le dichiarazioni di Xi Jinping durante la sua visita a Mosca secondo cui il cambiamento dell’ordine mondiale uscito dalla Seconda Guerra mondiale è uno degli avvenimenti più importanti degli ultimi cent’anni non sono da sottovalutare: l’obiettivo della Cina è quello di avere un ruolo di rilievo nel nuovo equilibrio geopolitico del mondo e, perciò, pensa e agisce sul lungo termine. Parlare di questi lassi temporali dal punto di vista geopolitico cinese significa parlare del presente. Ciò dimostra che la Cina è consapevole di aver bisogno della Russia perché questo obiettivo sia raggiunto. Se da un lato è vero che per la Russia una reale alleanza con la Cina (cosa che per il momento non c’è) significherebbe subalternità (non facilmente digeribile), d’altro canto resta un Paese che ha pur sempre 5.977 testate nucleari (di cui 1500 da ritirare e smantellare) contro le circa trecento cinesi (che secondo le stime del Pentagono saranno nel 2027 saranno settecento, e mille entro il 2030).
Un altro contesto che permette di comprendere la natura dei rapporti tra Russia e Cina e della loro reale capacità di influenza è l’Africa. Russia e Cina si stanno spartendo l’Africa e nonostante la manifesta efficienza della seconda, la prima mantiene una presa ideologica e un carisma sulla società di gran lunga superiori (ad aiutare non è solo il passato sovietico).
Al di là del solito antioccidentalismo che vede dappertutto colonialismo e sfruttamento e nega ogni effettiva cooperazione europea con i Paesi africani è emblematico il fatto che Paesi come la Francia si sentano perfettamente in diritto di dettare la liste delle potenze amiche di questi Paesi. Data l’opposizione tra Russia e Occidente oggi i Paesi africani vedono in Mosca un’alternativa.
Un’ulteriore ragione di questa preferenza russa è dovuta al fatto che molti degli attuali leader africani hanno studiato in Unione Sovietica o in Russia e, perciò, conoscono bene il Paese e parlano russo. Inoltre dopo l’inizio della guerra per costoro è diventato molto più difficile gestire i propri affari e tutelare i propri immobili in Europa, venendo molto spesso puniti dai Paesi occidentali con restrizioni e sanzioni ad personam per le posizioni “eterodosse” espresse nei confronti della Russia. Proprio per questo il Forum Russia-Africa che si terrà tra il 23 e il 29 luglio di quest’anno sarà un’occasione che le personalità più influenti degli Stati emergenti del continente africano sfrutteranno e che in generale servirà proprio a ribadire l’indipendenza di questi dalla cappa occidentale che, a loro parere, soffoca le reali possibilità di sviluppo.