È il quindici dicembre del 1917. Il Portogallo democratico viene scosso dal colpo di stato di Sidònio Pais. Allora i lusitani, già impegnati nella Grande Guerra al fianco dell’Intesa, non possono prevedere le svolte autoritarie successive. Nella seconda più grande repubblica del continente dopo la Francia, con il suo enorme impero africano, sembra imperversare il caos. La censura si scatena sulle pubblicazioni reputate più pericolose, in special modo quelle giudicate germanofile. Fu questa la sorte di un trafiletto contenuto nel primo numero della rivista Portugal Futurista, dal titolo Ultimatum. L’autore era un certo Àlvaro de Campos. Laureatosi ingegnere navale a Glasgow, visse tutta la propria vita a Lisbona senza mai esercitare la professione. Insegnò latino, viaggiò per mare e scrisse molto; scrisse poemi, poemetti e poesie, privilegiando ora temi liberty (come l’oppio o l’esotismo), ora una sorta di vitalismo, come nella sua celebre Ode Marittima, uscita per la rivista Orpheu nel 1915. Panteismo e futurismo si fondono nel canto di un uomo che osserva e che si perde nel mare e negli oceani – l’enorme spazio della storia lusitana – e i piroscafi, ma «senza abbandonare il porto». L’ingegnere e il poeta si fondono nella esaltazione di un progresso tecnico infinito:
«Ah, i piroscafi, le navi carboniere, i velieri! Si fanno rari, ahimè, i velieri sui mari! E io, che amo la civiltà moderna, io che bacio mentalmente le macchine, io, l’ingegnere, il civilizzato, quello che ha studiato all’estero, vorrei ancora avere dinanzi agli occhi solo velieri e navi di legno.»
De Campos fu l’inventore della prima vera avanguardia portoghese. Fu una personalità borghese ed antiborghese, raffinata e provocatoria; fu contro tutto e contro tutti. Il suo Ultimatum ne è un esempio tangibile. Forse il culmine della sua produzione e della sua provocazione. Eppure, il futurismo portoghese avrà poco seguito. Dopo la guerra passerà quasi in sordina. Lo stesso de Campos sembrò perdere dopo il 1918 quel suo slancio vitalistico, andando verso una maggiore introspezione. La realtà che lo circondava era ormai scarica. L’Ultimatum esprimeva già in parte questa stanchezza, pur proponendo in toni utopistici una possibile ricetta per la rinascita “integrale” di una umanità in crisi. Nelle carte di Àlvaro de Campos, Charles Search (o forse Thomas Crosse? Il condizionale è d’obbligo, al momento pare difficile identificare l’autore di questa recensione), si evidenzia come l’Ultimatum fosse rivolto, in piena guerra, contro tedeschi e alleati, contro gli stessi portoghesi e contro i brasiliani. Teorie eccentriche, violente a tratti e cariche di una forte componente satirica. Tema cardine appare l’insoddisfazione nei confronti di un’epoca incapace di sognare e di sperimentare imprese eroiche.
Ma qui urge una precisazione. Finora ci si è riferiti a dei personaggi, scambiandoli per autori. Autori che dialogano tra loro, si recensiscono, si influenzano. Si tratta però solo di molteplici personalità per un unico autore, giacché de Campos, come Charles Search, come Thomas Crosse, sono solo personaggi, una sola moltitudine (che dà il titolo anche alla raccolta edita Adelphi da cui sono tratti), espressione di un solo poeta: Fernando Pessoa. Il poeta perfetto, l’autore definitivo della letteratura portoghese. O, per usare le parole di Pietro Citati, «il poeta che meglio di ogni altro incarna lo spirito di questa fine di secolo» per tutto l’Occidente. La sua appartenenza a quella estrema propaggine del Vecchio Continente, d’altra parte, ne esalta lo sguardo e la visione, che tende all’infinito per vocazione. Pessoa è l’avanguardia di una nazione oceanica, atlantica ed ancestrale. Epigono di una potenza ormai in rovina, ma ancora incredibilmente estesa, che ha decapitato la propria secolare monarchia in nome di un moderno sistema repubblicano, senza tagliare i ponti con la propria conformazione imperiale – che continuerà anzi ad influire su tutti i passaggi e le evoluzioni politiche lusitane fino alla Rivoluzione dei Garofani. L’Ultimatum è, dunque, espressione di una delle molteplici personalità di Pessoa, ma anche il gioiello dell’infinita e malinconica terra lusitana, che guarda al passato e si gode ancora quegli spazi infiniti che ha scoperto e governa da secoli. De Campos è un personaggio provocatorio ed anticonformista, in cui è contenuto il manifesto poetico (e “politico”) pessoano di una società plurale ed anti-individualista, devota e protesa faustianamente verso l’Infinito poetico e metafisico.
In questo proclama vi è il rifiuto, innanzitutto. Rifiuto dei cosiddetti «mandarini d’Europa», che non risparmia nessuno. Contro Maurice Barrès «femminista dell’Azione, Chateaubriand dalle pareti nude, ruffiano da palcoscenico della patria di cartellone», contro Kipling «imperialista dei ferrivecchi, epico per i Majuba e i Colenso, Empire-Day del gergo delle uniformi»; contro H.G.Wells, «immaginifico di gesso, cavatappi di cartone per la bottiglia della Complessità». Non risparmia neanche D’Annunzio, «banalità a caratteri greci». Si scatena contro i politici, come contro Guglielmo II, definito un Bismarck «senza coperchio».
Definisce la società della propria epoca un «fallimento generale di tutto per colpa di tutti! Fallimento generale di tutti per colpa di tutto!» Attacca le nazioni, dalla Germania, definita una «Sparta putrida con olio di cristismo e aceto di nietzscheanesimo, alveare di latta, travaso imperialoide di servilismo chiodato», alla Russia «Europa di malesi, liberazione da molla decompressa solo perché si è rotta», per arrivare agli Stati Uniti «sintesi-bastardaggine della bassa Europa», e persino allo stesso Portogallo in declino, «resto della Monarchia che imputridisce in Repubblica, estrema unzione-disonore della Disgrazia, collaborazione artificiale alla guerra con vergogne naturali in Africa!»
In quel mondo risuonano già da tre anni i cannoni di una guerra giudicata insulsa. Insulsa perché portata avanti da uomini e nazioni ritenute tali. De Campos invoca una grande idea, un’ambizione imperiale, che rischiari la sua epoca «vile dei secondari, degli approssimativi». Si rivolge all’Europa, a chi la rappresenta:
«Tutti voi che siete politici in vista in tutto il mondo, che siete letterati meneurs di correnti europee, che siete qualsiasi cosa per qualsiasi cosa in questo maelstrom di tè tiepido!»
Lillipuziani. Pigmei, «Radicali del poco, incolti del Progresso, che avete l’ignoranza come colonna dell’audacia, che avete l’impotenza come puntello delle neoterie».
Si rivolge dall’alto a questa Europa. La insulta, vuol vederla strisciare, prima di “purificarla”:
«Uomini, nazioni, intuizioni, è tutto annullato!
Fallimento di tutto a causa di tutti!
Fallimento di tutti a causa di tutto!
In un modo completo, in un modo totale, in un modo integrale:
MERDA!»
Chiede una nuova Europa. Un’Europa per grandi poeti, grandi statisti, grandi generali. Invoca degli «Omeri all’Era delle Macchine» dei «Milton all’Epoca delle Cose Elettriche». Si appella al proprio Portogallo, autentica avanguardia. Una razza di navigatori e di scopritori, che allora si lanciò alla scoperta di un Nuovo Mondo. Che ora, mediante la propria letteratura, invoca un Mondo Nuovo, per Uomini Nuovi. De Campos propone un cammino, ponendosi come poeta della «grande Ansia». Ansia «del Possibile»:
«Io, almeno, sono della statura dell’Ambizione Imperfetta, ma dell’Ambizione per Padroni, non per schiavi! Mi alzo davanti al sole che cala, e l’ombra del mio Disprezzo cala su di voi!»
Quale cammino è tale, devoto all’Imperfezione? Tre sono i passaggi. Una sintesi di futurismo e poetica del possibile, emblema del pensiero pessoano che si fonde l’avanguardia letteraria ed artistica europea.
Si invoca una «legge di Malthus della Sensibilità», in primo luogo. Ovvero, l’adattamento della sensibilità umana, che solitamente procede in modo aritmetico, al progresso geometrico degli stimoli alla sensibilità. Questi ultimi sono dettati oramai «dalle creazioni della scienza», dallo sviluppo prodigioso delle macchine, fonte di spaesamento e disadattamento per quelle sensibilità rimaste ferme al passato. Gli stimoli progrediscono in effetti a ritmi più alti di quanto la comune sensibilità possa sopportare:
«Da ciò il disadattamento, l’incapacità creativa della nostra epoca. Abbiamo pertanto un dilemma: o morte della civiltà o adattamento artificiale, visto che quello naturale, quello istintivo, è fallito.»
Ne deriva automaticamente il secondo passo da compiere: la necessità dell’Adattamento Artificiale. Un atto di «chirurgia sociologica». Si invocano dei nuovi valori, eliminando l’ultima acquisizione “fissa” dello spirito umano: i dogmi del cristianesimo:
«L’adattamento artificiale sarà pertanto attuato spontaneamente non appena si operi una eliminazione di quelle acquisizioni fisse dello spirito umano che derivano dalla sua immersione nel cristianesimo.»
Infine, si descrive nel dettaglio tale intervento chirurgico. Quest’ultimo si può riassumere nella costruzione di un vero e proprio manifesto esistenziale e letterario pessoano: l’abolizione del «Dogma della Personalità», ovvero l’idea di un “uomo-sintesi” di personalità differenti. Un uomo completo, che racchiuda molteplici personalità (e molteplici personaggi). Ciò si traduce in una svolta politica che alla Democrazia, sostituisca la «Dittatura del Completo», ovvero:
«Dell’uomo che sia, in se stesso, il maggior numero di Altri; che sia, pertanto, la Maggioranza. Si trova così il Grande Significato della Democrazia, contrario in assoluto a quello dell’attuale che, d’altronde, non è mai esistito».
Un uomo che, in virtù di una simile molteplicità, sia anche e fortemente incoerente. De Campos auspica la rottura della continuità, del passato e del futuro. Qualsiasi opinione pubblica sarà relegata a durare «non più di mezz’ora».
Profetico e distopico, assomma a sé le qualità del Faust, lo spirito occidentale in salsa spengleriana che tende all’Infinito, con uno sguardo sempre rivolto all’Atlantico, come quei primi navigatori portoghesi per i quali de Campos – e dunque Pessoa – sente una profonda nostalgia. Una nostalgia dell’eroico e del Possibile. Il Superuomo pessoano è dunque un prodotto diverso da quello di Nietzsche. Lo si potrebbe scorgere immortalato nelle sculture del monumento alle esplorazioni portoghesi di Lisbona, che guarda al ponte sul Tago, meraviglia ingegneristica. L’uomo pessoano è in effetti uomo-infinito, più che uomo del divenire. Un ingegnere – come de Campos – dell’Assoluto:
«Il Superuomo sarà, non il più forte, ma il più completo!
Il Superuomo sarà, non il più duro, ma il più complesso!
Il Superuomo sarà, non il più libero, ma il più armonico!»
Una proclamazione fatta «alla foce del Tago, con le spalle all’Europa». Come un canto vitalistico e sconsolato, lo stesso dell’Ode marittima. Un’ode proveniente dall’estrema punta occidentale dell’Europa in sfacelo, lanciatasi sui propri velieri alla conquista e alla scoperta di Mondi Nuovi, di Oceani Infiniti, come infinito sarà il globo, l’Occidente al culmine della propria grandiosa decadenza, che allora, al termine del Medioevo, si rivolse ad Ovest verso:
«L’estensione più umana, più screziata, dell’Atlantico!»