Appresa la notizia dell’assalto alla Bastiglia da parte dei lazzaroni inferociti, il pacioso Luigi XVI chiese al duca di Liancourt cosa fosse successo. Tra gli splendori di Versailles, alla domanda regale «C’est una révolte?» risuonò gelida la risposta tombale che chiudeva un’epoca e una dinastia «Non, Sire, C’est une révolution». Dopo secoli, di fronte alla dolorosa epidemia che da settimane colpisce l’Italia, desiderosi di conoscere, vorremmo domandare a chiunque cosa accade. In realtà, però, la risposta già cova in noi, e racchiude a un tempo il dittico già marxiano di tragedia e farsa. Tragedia, perché il virus ha colpito l’esistenza e gli affetti di migliaia di italiani; farsa, perché tutto ciò che è accaduto sul piano politico ha i connotati di quelle sceneggiate che in teatro facevano sorridere e nella realtà quotidiana sonoramente indignare.
Lasciando rispettosamente da parte i colpiti, a cui va il nostro più sentito cordoglio, non possiamo tacere di fronte all’orrendo spettacolo cui assistiamo schifati. Tanti sono stati gli atti della sciarada di viltà, menzogne e ipocrisie che hanno accompagnato il popolo italiano all’appuntamento con il disastro. Il covid-19 di certo era difficile prevederlo, sia chiaro, ma costituisce solo l’ultimo atto di una sciarada infame che non può certo essere dimenticata. Lorsignori ci hanno sempre posto dalla parte del torto, lazzaroni cenciosi che ancora parlavano di giustizia sociale, lotta di classe, dignità nazionale, costituzione e diritti del lavoro e dei lavoratori. Oggi, mentre tutto crolla, vogliamo iniziare a chiedere il conto.
Loro erano la bella gente, quella giusta, cresciuta a liberismo bocconiano e vacanze a Capalbio, peana a Friedman e prebenda pubblica sempre garantita, col nonno monarchico e il papi in Confindustria. Quelli che hanno sempre ragione, sempre proiettati in avanti a rincorrere una modernità già obsoleta, rampanti fuori tempo massimo, borghesi da tre soldi, sempre ammanicati e sempre in piedi, senza dignità né spina dorsale.
Loro, le facce grasse e brutte, le panze strabordanti, i denti troppo bianchi, da sempre a rompere i coglioni nei tg della sera nei tinelli proletari parlandovi dalla cattedra del lecchinaggio in servizio permanente, volendo insegnare la vita a chi ogni giorno se la guadagna a fatica e con mille sacrifici. Ah, i sacrifici.
Loro si beavano dei sacrifici. Erano necessari, inderogabili, salutari. Mentre si ingozzavano in qualche volgare terrazza romana, mentre pianificavano la prossima orgia a colpi di mignotte e cocaina, loro pensavano a noi, eccome. La sanità, l’istruzione, il lavoro, le infrastrutture, i trasporti, le banche… Tutto per loro, novelli Napoleone a cui toccava il pensoso compito di riformare tutto il riformabile: del resto, i loro padroni li avevano scelti perché cretini, ubbidienti ma soprattutto cretini. Una nazione che in quarant’anni aveva eguagliato e superato secolari stati industriali, che nonostante grandi problemi aveva realizzato ancor più grandi soluzioni necessitava di una particolare orda di imbecilli per essere totalmente rasa al suolo, loro.
Stava scritto in esergo a una dimentica rivista socialista che asino è il popolo: utile, paziente e bastonato. Loro erano le zecche del padrone, i succhioni in grado di rubare mille miliardi di interessi – pensaci caro lettore, m-i-l-l-e miliardi – al popolo italiano. E per cosa? Per l’Europa, per unirsi con altri imbecilli ancora più stupidi e ancora più criminali, perché simile chiama simile ed è noto che un coglione da solo si sente in penosa solitudine, e abbisogna sempre di compagnia. Se nel frattempo, legandoci mani e piedi al carro europeista per bastonare coscientemente i diritti costituzionalmente garantiti (vero Guiduccio Carli?) hanno affossato l’economia nazionale chi se ne frega? Il loro obiettivo era comunque garantito: prosperare sulla miseria del popolo italiano.
Tutto questo è andato avanti perché noi siamo troppo buoni, e spesso pure fessi. Non sappiamo odiare, e ciò ci costa perché non esiste cosa più pericolosa dell’odio non ricambiato. E fintanto che lo stillicidio è andato avanti in maniera impercettibile- oggi un posto letto in meno, domani tre, dopodomani venti- loro sono stati in grado di procedere senza particolari problemi. Del resto, esistono i ludi cartacei delle elezioni, quando e se piace a loro: il Cav, il rottamatore, il professore, il capitano. Ectoplasmi vuoti, perfettamente funzionali, a loro volta portentosi generali di eserciti vanesi e ignoranti, a cui spettava di distruggere quella parte di Repubblica che ancora resisteva.
Questo è stato. Per trent’anni abbiamo permesso a una manica di idioti di occupare tutti i gangli dello Stato, perpetuando una politica fatta di macelleria sociale e distruzione dei diritti costituzionali, al fine di distruggere l’Italia come autonomo organismo statale e consegnarlo, comatoso e inerme, ai suoi nemici di sempre. Vogliamo davvero credere che loro siano migliori di noi? Che agiscano nell’interesse esclusivo della Nazione e quindi del popolo italiano? Ma tu che leggi, studente, disoccupato, lavoratore, precario, pensionato, che cos’hai da spartire con loro? Con omuncoli che un mese fa abbracciavano un cinese e oggi vogliono passare da Churchill di Tor Pignattara, con “imprenditori” per cui #Milanononsiferma significa solo ubriacarsi, consumare e fare after ai Navigli? Cos’ha la tua vita, quella della tua famiglia, del bianco e nero delle foto dei tuoi nonni con i calli alle mani e la faccia pulita di lavoratori con la loro? Nulla.
Ora che l’emergenza attanaglia l’Italia, possiamo finalmente vedere il volto che si cela dietro alla maschera del Potere: cinismo, sciatto menefreghismo, criminale arroganza, disprezzo totale della vita degli altri. Tra la ridda di grida manzoniane che ci confinano a casa, nel tempo vuoto di giornate interminabili, fermiamoci a riflettere. E vedremo allora tante cose: i capitalisti aguzzini, che rinchiudono in fabbrica gli operai per il loro porco profitto; i media infami, sempre pronti a prendersela con chi arranca dentro una fossa (sia il runner, il vecchietto, il giovine idiotizzato) ma mai in grado di rifiutar le ossa lasciate loro dai padroni; la fratellanza europea fatta di ricatti, incredibili meschinità e arroganza criminale. Vedremo soprattutto un popolo intero, chiuso nei pochi metri quadri delle proprie case, orgoglioso della sua identità ed eroico nell’affrontare, ove necessario, le esigenze dell’ora presente nonostante un governo di cialtroni seguiti a negargli il pane per paura dei mercati e idiota inconcludenza.
Arriveremo alla conclusione, soprattutto, che la spina dorsale del paese sia costituita dai suoi lavoratori, da quei milioni di sfruttati che quotidianamente continuano a chinare la schiena e aspettare che la piena passi. L’Italia fondata sul Lavoro, oggi più che mai, è una realtà antitetica a quella dei palazzi, della borsa, in ginocchio innanzi allo straniero. Occorre comprendere che la speranza di una vita libera, cioè dignitosa e in grado di garantire il massimo sviluppo umano a chiunque, presuppone una società che neghi il profitto come fondamento del proprio vivere: bisogna sviluppare un’alternativa di fondo all’orrore che viviamo. Per noi la salute, l’istruzione, il lavoro, la cultura e tutto ciò che rende bella e piena l’esistenza sono priorità indifferibili, a cui sottomettere le cose morte e vili. Non accettiamo, come uomini, il dogma delle risorse scarse, perché i fatti di oggi ci mostrano dolorosamente cosa significhi anteporre a un posto di terapia intensiva il pareggio di bilancio, alla vita il denaro freddo e morto.
Noi non siamo come loro, e con loro non vogliamo avere nulla a che spartire. Nelle loro vene esauste scorre la fogna del tradimento e dell’odio. Loro, caro lettore, sono gli stessi di Caporetto e di Badoglio: sta a noi essere l’Italia del Piave e della Costituente.