“Io sono il volto invisibile del potere. Io sono il capo di gabinetto. So, vedo, dispongo, risolvo, accelero e freno, imbroglio e sbroglio.” Questo è l’incipit di “Io sono il potere”, libro nel quale sono raccolte le confessioni anonime di un giudice del Consiglio di Stato, da anni prestato come Capo di Gabinetto nei vari Ministeri italiani. Il ruolo venne istituito nel 1888 con la riforma di Crispi (la stessa che introdusse il ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio), con la dicitura di “segretario particolare del ministro”. Una struttura, quella dei gabinetti ministeriali, che è cresciuta a dismisura, superando ad oggi le 300 unità nei Ministeri più importanti. Da Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, sovente vengono pescati i nomi dei consiglieri da prestare alla politica, che sia come capo dell’ufficio del Ministro, come sottosegretario, a capo di autorità istituzionali o dipartimenti legislativi. I consiglieri di Stato vengono considerate fra le menti giuridiche più eccelse del Paese, siedono in un organo di per sé già potentissimo, con ruoli sia consultivi che giudiziari. Non vi è atto legislativo che non debba tener conto del loro parere, e non c’è governo che tenga.
La mappa del potere del governo Draghi non può che partire proprio da Palazzo Chigi e da quella che nello schema draghiano è una sua nuova diretta appendice esecutiva: il Ministero dell’Economia e delle Finanze. A capo del gabinetto del Presidente del Consiglio c’è Antonio Funiciello, 45 anni, laureato in filosofia, scrittore e giornalista professionista. Pur se il curriculum accademico non sembra essere quello del grands commis di Stato, Funiciello già vanta un precedente di spicco, proprio a capo dell’ufficio di Gabinetto di Palazzo Chigi, durante il governo Gentiloni. Può vantare inoltre altri ruoli ricoperti in passato, come Senior Vice Presient di Joule, la scuola d’imprenditoria di Eni e come direttore della rivista della Fondazione Leonardo. Personalità legata al Partito Democratico, di cui è stato nominato nel 2013 responsabile dell’area cultura.
Dalle fila del Consiglio di Stato proviene poi il primus fra i mandarini del nuovo governo Draghi: Roberto Garofoli, a palazzo Spada dal 2000, come presidente di sezione ed oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Un uomo potente, con ruoli nei governi da Monti a Gentiloni al Conte I, senza interruzioni. Garofoli nel primo esecutivo Conte era al MEF, proprio come capo di gabinetto, prima di rassegnare le dimissioni, sotto i colpi della comunicazione pentastellata. Ricordiamo il famoso audio, diffuso pubblicamente, del portavoce Rocco Casalino che si scagliava contro i vertici del Ministero. A Chigi c’è spazio ancora per altri Consiglieri di Stato: da Carlo Deodato al DAGL (particolarmente inviso alla sinistra per le sue posizioni sulle questioni di genere) a Roberto Chieppa, dentro al Palazzo già dall’epoca Conte e oggi riconfermato Segretario Generale per il governo Draghi. Anche al MEF nella persona del neo-ministro Daniele Franco, membro del board di Draghi alla BCE, troviamo un consigliere di Stato: Giuseppe Chinè, con un passato al Ministero della Salute.
Parlando proprio di Ministero della Salute, che in questo periodo storico ha assunto una rilevanza particolare, trova la riconferma Goffredo Zaccardi, noto Consigliere di Stato, alle spalle un degno curriculum da uomo di potere, capo di gabinetto per il Ministero dell’Ambiente fra il 1996 ed il 2001e al Mise sia con Bersani che con Zanonato. Zaccardi è ancora al suo posto, nonostante l’età pensionabile, 77 anni, che ha richiesto una speciale deroga a settembre per mantenere il Consigliere di Stato alla sanità, giustificata come un’azione necessaria per la continuità dell’azione ministeriale. Parlando di Ministeri strategici, al Mise di Giancarlo Giorgetti approda Paolo Visca. Visca, considerato da sempre vicino a posizioni di sinistra, in particolare del PD, ha conosciuto Giorgetti ai tempi in cui questi presiedeva la commissione bilancio, mentre lui ne era capo dell’ufficio legislativo. Nel governo Conte I, Visca è stato anche l’uomo di Giorgetti al fianco di Matteo Salvini quando era ministro degli Interni con il compito di educarlo allo stile delle istituzioni.
Al Ministero del Lavoro, il neo ministro Andrea Orlando ha preferito rimanere fra gli ambienti della magistratura ordinaria, che per altro conosce bene visto il ruolo di ex-guardasigilli nel governo Gentiloni, chiamando Elisabetta Cesqui. Una nomina leggermente sofferta, inizialmente bloccata dal Csm con la motivazione di rischiare un buco di organico alla Cassazione privandosi della disponibilità della magistrata. Per quanto riguarda il nuovo Ministero per la Transizione Ecologica, un particolare gioco del destino ha voluto che proprio nel Ministero proposto da Beppe Grillo, nonché elemento chiave del successo della votazione sulla piattaforma Rousseau per accettare il governo Draghi, sieda come capo di gabinetto Roberto Cerreto, ex capo di gabinetto di Maria Elena Boschi nel governo Renzi. Strada diversa al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel quale il Ministro “green” Enrico Giovannini ha operato una scelta squisitamente tecnica, per un Ministero nel quale le finanze sono fondamentali, designando Alberto Stancanelli direttamente dalla Corte dei Conti. Riconfermato al Ministro degli Interni Bruno Frattasi, prefetto, essenziale in un ministero che si preannuncia esplosivo, con una spartizione dei sottosegretari che ha visto mettere insieme Molteni (Lega), Sibilia (M5S) e Scalfarotto (IV). Fra i riconfermati anche Lorenzo Casini, fedele di Dario Franceschini, in un Ministero della Cultura, privato della delega al Turismo e che ha visto l’ingresso della leghista Lucia Borgonzoni come viceministra. Cambiamenti irrilevanti in un ambiente che è saldamente nelle mani di Franceschini da anni. Anche la grande industria italiana ha trovato il suo spazio nel nuovo governo Draghi; come Capo di Gabinetto alla Pubblica Amministrazione troviamo infatti Marcella Panucci, ex direttrice generale di Confindustria, in un ministero super tecnicizzato, con l’ulteriore presenza di Carlo Cottarelli in qualità di consulente ad affiancare il Ministro Brunetta.
Fra vecchie e nuove nomine, il Governo Draghi è forse tra i governi più organici al Sistema Paese, un vero tentativo di coinvolgere tutti gli apparati nella compagine governativa e degli apparati dello Stato. Basti vedere anche la nomina del Generale Figliuolo al posto di Arcuri per gestione dell’emergenza. A fronte del teorema draghiano possiamo osservare sotto la lente dei think tank e delle fondazioni i volti del nuovo governo. Gli incroci sono molteplici: la Fondazione Italianieuropei, fondata da Massimo D’Alema che vede come membri Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Speranza, Ministro della Salute e Nicola Zingaretti, segretario del Partito Democratico. Daniele Franco al MEF appartiene invece al noto Aspen Institute, think tank trasversale che vede dentro da Romano Prodi a Giorgia Meloni, e che vanta di avere avuto membri del proprio pensatoio in tutti i governi italiani dal 93 ad oggi. Enrico Giovannini è membro di almeno quattro organizzazioni, fra le quali la sua Asvis, il Forum Disuguaglianze e la Scuola di Politiche di Enrico Letta. Roberto Cingolani, alla transizione energetica, è membro della Fondazione Leonardo (stessa fondazione la cui rivista è stata diretta da Funiciello), Federico D’Incà, ministro per i rapporti con il Parlamento, è membro della Fondazione Italia –USA. Secondo Openpolis oggi sono presenti ben 14 organizzazioni che hanno membri nel governo Draghi, le cui personalità associate hanno partecipato in tutti i governi negli ultimi 20 anni, ça va sans dire.
Stiamo creando una “cellula redazionale di media intelligence” che faccia ricerca e sviluppo, monitoraggio e produzione di contenuti, che sia strettamente collegata all’attualità profonda, che dialoghi in codice con attori più o meno istituzionali, che sia in grado di capire i retroscena e indicare gli scenari del futuro, in politica estera come in politica interna, fino a controllare la scacchiera informativa. Raccogliamo candidature su questo indirizzo postale scrivipernoi@lintellettualedissidente.it. Mandateci una mail con le seguenti informazioni: 1) CV allegato 2) Un commento all’articolo che trovate sul sito intitolato “Il linguaggio del potere” 3) La vostra rassegna stampa quotidiana nazionale ed internazionale 4) Le vostre letture sul tema del “linguaggio del potere” 5) Un contatto telefonico. Sarà nostra cura rispondervi personalmente, ed eventualmente ricontattarvi.