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Titanomachia degli imperi

L'arena geopolitica contemporanea è pura mitologia.
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Colui che riuscirà a catturare la tecnica scatenata, a domarla e a inserirla in un ordinamento concreto avrà risposto all’attuale chiamata assai più di colui che con i mezzi di una tecnica scatenata cerca di sbarcare sulla luna. La sottomissione della tecnica scatenata: questa sarebbe, per esempio, l’azione di un nuovo Eracle.

Con queste parole di sfida lo storico Rüdiger Altmann, alter ego di Carl Schmitt in Dialogo sul potere, traccia la strada per lo Stato nel nuovo mondo, specialmente nel tempo della corsa all’intelligenza artificiale e segnata dal fondamentalismo progressista.

Un moderno Großraum forgiato sulla base di un rinnovato nomos, in cui convivano i moderni imperi con i rispettivi istinti universalistici. Schmitt si sarebbe posto il problema di ricercare forme e modelli di convivenza, soprattutto linguaggi e categorie di analisi della contemporaneità politica. Già un decennio fa i ricercatori soprattutto delle facoltà economiche americane disegnarono uno scenario basato su un confronto crescente tra sinosfera e amerosfera, cioè una nuova Guerra fredda tra America e Cina, e la sua evoluzione come competizione per espandere le sfere di influenza nell’area grigia che stava in mezzo ai due blocchi: circa cinque miliardi di persone in molteplici Stati non allineati a fronte di circa tre miliardi di abitanti collocati nei due blocchi.

L’incertezza attuale dello scenario globale vive della polarità tra due blocchi imperiali Cina – Usa da una parte e Stati o potenze regionali dall’altra. L’equilibrio tra i molteplici interessi in gioco non appare agevole, soprattutto per la costruzione di un nuovo ordine. Ciò perché da una parte Usa e Cina stanno evitando di aumentare la pressione per non compromettere i flussi commerciali globali di materie non strategiche, ponendo un limite alla “deglobalizzazione conflittuale”, dall’altra con gli alleati stanno anche creando una sfera geoeconomica detta di “riglobalizzazione selettiva” centrata sugli interessi imperiali. 

Intanto nell’area africana la Cina ha avviato, con la Via della Seta, iniziative di collaborazione, cooperazione e supporto strategico-finanziario (sul modello dei fondi strutturali europei) per l’allargamento a Paesi sottosviluppati della sua sfera di influenza. L’obiettivo, ovviamente, non è semplicemente la creazione di partenariati economici ma la creazione di entità satellite vassalle. 

Si è avviato, in contrasto con questa politica d’espansione della sinosfera nel sud del mondo, un processo di de-risking, cioè di riduzione dei flussi commerciali tra amerosfera in cui è inclusa la pur riluttante eurosfera, e sinosfera.

Col de-risking vengono bloccati gli investimenti stranieri in Cina, riducendo l’import di materie strategiche, e costringendo così la Cina al disaccoppiamento e all’emarginazione. Facendo questo, i due poli imperiali si avviano ad una crescente tensione, la cui intensità compromette la stabilità del quadro economico globale, ancora esacerbato dalle relazioni interdipendenti tra Stati dalla simmetria non più occasionale.

In coincidenza con l’integrazione totale e in occasione dell’avanzata del Dragone (Cina), di cui le Nuove Vie della seta sono il simbolo grafico, la furia scatenata dell’Aquila (Usa), non ha niente da offrire eccezion fatta di una ripetizione di una guerra contro l’Islam – che sembra essere giunta al capolinea con la stagione trumpiana – e con il ritiro armato di ambedue i contendenti dallo scenario globale. Il primo – la Russia – per incapacità tecnico-strategica e insolvenza, come dimostrato anche in Ucraina e dal calo del rublo, il secondo per aver intrapreso una politica di conquista disarmata sul terreno del capitalismo. 

Così, se la prima guerra fredda ha visto l’aquila trionfare sull’orso per l’universalizzante respiro del capitalismo vittorioso sul comunismo, la seconda versione della guerra fredda sembra aver maggiormente scalfito la forza e la sicurezza dell’aquila in virtù del fatto che il drago si è stabilito nelle pieghe dell’economia capitalistica affrontando il suo interlocutore con la medesima strategia e le medesime armi, spogliandolo del primato e delle relazioni acquisite e desacralizzando il ruolo di paladino della democrazia e della libertà.

Cosa farà l’aquila non è ancora stabilito, anche alla luce del caotico mondo apertosi dopo la deflagrazione dell’equilibrio globale precedente. Serve, a questo punto, un nuovo edificio politico in cui convivano nuovi spazi, nuove regole e nuovi valori per la stabilità delle relazioni interstatali.

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