OGGETTO: La Rivoluzione al potere
DATA: 05 Marzo 2021
SEZIONE: inEvidenza
I reportage di Tiziano Terzani dalla Cambogia svelano l’ipocrisia del sistema occidentale, americano, ma soprattutto l’orrore degli khmer rossi, dell’ideologia rivoluzionaria che annienta il passato
VIVI NASCOSTO. ENTRA NEL NUCLEO OPERATIVO
Per leggere via mail il Dispaccio in formato PDF
Per ricevere a casa i libri in formato cartaceo della collana editoriale Dissipatio
Per partecipare di persona (o in streaming) agli incontri 'i martedì di Dissipatio'

Quando la Cambogia dormiva, persa nell’enigmatico sogno del sorriso khmer, i cambogiani limitavano l’altezza delle case alle fronde delle palme, oltre le quali soltanto gli edifici sacri potevano spingersi, non conoscevano né miliardari, né mendicanti e la gentilezza era nei modi di ogni giorno, i palmi uniti, alti innanzi al naso, per i saluti. La tecnica e la modernità giunsero con la guerra, come da un’altra dimensione. Separate nel tempo, due epoche diverse riuscirono ad incontrarsi nello spazio di un piccolo paese e provocarono il cataclisma. Lo stesso popolo che adagiando il francese sulla musica cantilena della lingua khmer, sostituiva madame e monsieur ai pronomi lui e lei, masticò il fegato dei nemici uccisi per assimilarne la forza, combatté senza fare prigionieri, pianificò macello e resurrezione secondo la scienza di Marx. Kampuchea in lingua khmer significa karma di dolore.

Tiziano Terzani recitò la professione del corrispondente di guerra in Indocina nel 1972; divenne grande giornalista in Vietnam, Laos e Cambogia. La raccolta postuma di articoli, Fantasmi: dispacci dalla Cambogia (2008) mostra e tenta di spiegare la tragedia orrenda che lo scontro tra due ideologie moderne, comunismo e capitalismo, impose al Sud-est asiatico.

Da principio furono gli americani a spingere la Cambogia verso quella strada lastricata, le cui buone intenzioni impressionarono Angela Terzani Staude quanto la meta infera. Gaetana, moglie italiana dell’ambasciatore degli Stati Uniti, Thomas Enders, indicava il percorso con innocente, sincera ipocrisia. “Piantandomi in faccia due occhi compassionevoli e agitando le sue mani, appoggiandosele al petto, mi parla della cura che si prende dei rifugiati… «diamo loro il latte in scatola e insegniamo loro a fare il bagno ai bambini in una bacinella. Insegniamo loro il progresso, perché è nostro dovere far partecipi anche i popoli primitivi della nostra cultura». Gaetana Enders non si ricorda forse che quelle donne vivrebbero oggi non nei putridi slum di Phnom Penh, ma nelle loro belle palafitte nelle campagne, che nutrirebbero i loro bambini col proprio latte se il dolore per il marito soldato, morto o ferito o scomparso, non glielo avesse fatto andar via. Farebbero fare ai bambini il bagno nell’acqua corrente dei fiumi, che è la sola pulita, se gli americani non fossero arrivati in Cambogia a portarci la guerra” (Angela Terzani Staude, Prefazione a Fantasmi: dispacci dalla Cambogia).

Gli americani erano giunti tre anni prima ed a Phnom Penh i rifugiati erano già settecentomila. Nel marzo del 1973 infatti, mentre Enders si intratteneva con giornalisti e diplomatici, il maresciallo Lon Nol (1913-1985) ringraziava la Cia e festeggiava per la terza volta il colpo di stato, con il quale era giunto al potere. Allora era iniziata la guerra. Per Lon Nol, il Proconsole Enders si impegnava oltre la carità della moglie. L’ambasciata americana procurava lo scarso riso che teneva in vita i cambogiani, assicurava l’armamento delle truppe, finanziava l’intero bilancio dello stato, dirigeva bombardamenti ed operazioni militari; non da ultimo, tollerava la corruzione tropicale del regime. Il fratello di Lon Nol, ministro degli interni, era noto per la vendita di munizioni governative ai guerriglieri. Numerosi ufficiali nascondevano le perdite e riscuotevano quanto spettava ai caduti; altri si appropriavano della paga di interi reparti, provocando ammutinamenti. L’amministrazione non funzionava. Nel crepuscolo sul Mekong, l’unica razionalità era quella di B52, Phantom, F111 che scoperchiavano l’inferno attorno alla capitale ed alle città maggiori circondate, così i guerriglieri non potevano conquistarle. Il resto era perso.

Ancora poche lune e tra aviazione e guerriglia, vinse la guerriglia. Il Senato americano dispose la fine dei costosi bombardamenti e il mondo libero fece a meno di Phnom Penh; ma non prima di avere atteso che gli ultimi mesi al Napalm incrementassero i rifugiati fino ad un milione e mezzo. Se gli aerei avessero volato ancora per due settimane, la capitale sarebbe diventata imprendibile. Il monsone avrebbe trasformato l’unico lato contendibile in un acquitrino, almeno fino alla fine di dicembre. La pioggia giunse comunque prima dei comunisti; mentre Terzani, dalla premessa nota, anticipava l’esito del conflitto per i lettori.

“Tre anni fa la Cambogia era un paese in pace, un paese non ricco in cui le risaie producevano abbastanza da sfamare tutti, un paese dove non sono mai esistiti i mendicanti o i miliardari. Gli americani lo hanno coinvolto nella guerra indocinese e così facendo hanno accelerato il suo processo di radicalizzazione. Tre anni fa c’erano in Cambogia due o tremila guerriglieri comunisti, più o meno inoffensivi, nelle regioni periferiche; oggi ce ne sono circa settantamila in tutto il paese e persino alle porte di Phnom Penh. Per tre anni gli americani hanno bombardato e distrutto la Cambogia, ma è come se da ogni cratere di bomba americana fosse nato un guerrigliero… Con il loro intervento, almeno in Cambogia dove il problema non si poneva, sembra abbiano reso inevitabile proprio la presa di potere da parte delle forze progressiste”.

(Fantasmi: dispacci dalla Cambogia ; L’Espresso, 26 agosto 1973)

Fino al 1970, Norodom Sihanouk (1922-2012), play boy, regista, attore, compositore, sovrano autodeposto ed istrionico capo di stato ‘eletto’, si era tenuto lontano dal fronte. Il monarca lasciava che il Sentiero di Ho Chi Minh partisse dalla Repubblica Democratica del Vietnam, attraversasse le giungle remote della Cambogia e giungesse a rifornire i Viet Cong nel Vietnam del Sud filoamericano. Nel disegno neutralista, permettere alla U.S. Air Force di bombardare i vietnamiti entro il confine, avrebbe dovuto garantire anche gli interessi americani ma gli Stati Uniti, con il colpo di stato di Lon Nol, vollero portare la Cambogia inequivocabilmente dalla loro parte. Del resto la formula della neutralità khmer favoriva i nord-vietnamiti ed in Cambogia, se non rosso, il principe rosa nazionalizzava anziché privatizzare. Dopo il golpe, Sihanouk nominò a Pechino il suo governo di esuli. Il nome del ministro della difesa fu sorprendente: Khieu Samphan.

Khieu Samphan era un fantasma ed una leggenda; era stato l’unico ministro povero, si spostava in bicicletta, lasciava che la madre vendesse banane arrosto per strada, aggrediva fisicamente chi tentava di corromperlo.

La figura di Khieu Samphan era divenuta tanto popolare e radicale che Sihanouk lo aveva fatto uccidere, trasformandolo nel fantasma che guidava i comunisti, nascosti nella giungla. In risposta al governo in esilio, la Cia mise in circolazione alcune foto del ministro della difesa visibilmente false, con la speranza che i giornalisti continuassero a darlo per morto. In realtà Khieu Samphan era riuscito a fuggire, ritrovando infine un alleato improbabile: Sihanouk che per primo aveva soprannominato khmer rossi, i rari guerriglieri comunisti, mentre ordinava di ucciderli a bastonate. In patria, Sihanouk divenne il simbolo popolare del tempo in cui c’era la pace ed il riso costava dieci volte meno, di una guerriglia che ai khmer rossi affiancò i monarchici ed i repubblicani di Son Sann (1911-2000).

Quasi nessuno sapeva chi fossero davvero i khmer rossi.

I Vietnamiti, abili nelle pubbliche relazioni, vinsero la guerra anche grazie alla stampa. Terzani era riuscito a prendere contatto con i Viet Cong, passare le linee e guardare la guerra dall’altro punto di vista; in seguito avrebbe potuto trattenersi mesi nella Saigon liberata, dove rivoluzione e riconciliazione sembravano mantenere le promesse e certamente smentire il bagno di sangue assicurato da sedicenti ex missionari che spuntavano dal nulla in mezzo ai giornalisti. I khmer rossi combattevano in assoluto silenzio; Terzani li aveva intravisti vivi soltanto una volta al fronte, perché i governativi torturarono prima di uccidere. Degli oltre trenta giornalisti che avevano tentato di raggiungere i khmer rossi, nessuno era tornato. Soltanto da ultimo, lo stesso Terzani aveva rinunciato al tentativo di passare le linee, con il povero Marc Filloux (1944-1974) che cadde per la ricerca della verità. Tuttavia i giornalisti osservavano come la guerra americana avesse causato la morte di un milione di cambogiani – senza dubbio molte centinaia di migliaia – e la benevolenza con la quale il popolo attendeva la vittoria della guerriglia e la pace. Anche Terzani, da uomo di sinistra, sperava che con la fine della colonizzazione e la rivoluzione potesse nascere una società più giusta e guardava con simpatia ai khmer rossi, senza riuscire a presagire quanto sarebbe accaduto. Difficile parteggiare per l’inferno dei B52 contro ex contadini, nascosti nelle buche del terreno.

Dopo i bombardieri fu la volta dei cargo. L’insufficiente ponte aereo che teneva in vita Phnom Penh circondata, era finanziato dagli Stati Uniti. All’atterraggio gli aerei mostravano le insegne della Bird Air, circostanza che attrasse l’attenzione. Ufficialmente la compagnia aerea non esisteva, decollava dalla base militare statunitense di Utapao in Thailandia ed i suoi aerei erano proprietà della U.S. Air Force, per la quale avevano volato tutti i suoi piloti, alcuni dei quali in congedo solamente temporaneo. Eppure mr. Bird con una lunga carriera da prestanome alle spalle, Panama, Filippine, Laos, assicurava: «Io, della Cia ?… Io sono semplicemente un garzone che fa delle consegne». I depositi di Utapao erano quasi vuoti e deluse le speranze di Bird che vantava un guadagno del 12% sul valore spedito (700 tonnellate ogni giorno), il Congresso mise fine alle consegne.

Tagliato il ponte, gli stranieri iniziarono a fuggire. Terzani e pochi altri rimasero. L’occasione era grande, personale e professionale: vedere la storia in faccia ed essere tra i pochi a poterne scrivere. Ogni tanto un piccione e volava a Bangkok con gli articoli dei colleghi giornalisti ed il rischio di non riuscire a tornare. Quello di Terzani fu l’ultimo volo, sola andata con grande delusione.

Phnom Penh cadde il 17 aprile 1975. Terzani corse al confine thailandese ed entrò a Poipet contemporaneamente ai khmer rossi. I vagabondaggi finirono presto, innanzi ai fucili dei guerriglieri. Col sorriso, Terzani convinse i ragazzini arsi dal sole, ad attendere un capo prima di sparare. Anni dopo, Un indovino mi disse avrebbe reso celebre l’episodio. Intanto, un segno di gesso in mezzo al ponte fermò il solito contrabbando tra Poipet e Aranyaprathet in Thailandia. Nessuno straniero entrò più in Cambogia. Terzani tornò a viaggiare in Vietnam, dove il regime comunista si rivelò corrotto ed oppressivo. La dura denuncia valse l’onorificenza dei giornalisti non graditi, da aggiungere all’espulsione guadagnata nel Vietnam del Sud.

Oltre le palme di Aranyaprathet cadevano però ombre più nere del consueto, dispotico grigio del socialismo reale: lì si nascondeva l’ultimo orrore emerso dagl’inferi fecondi del Novecento. I proclami di Radio Phnom Penh ed involontariamente anche la propaganda anticomunista sollevavano denso fumo. Terzani guardò attraverso con grande professionalità ed onestà intellettuale. Gli americani si erano mostrati quasi ridicoli, avevano negato che Khieu Sampan o Kim Il Sung (1912-1994) fossero individui reali; alla frontiera thailandese erano ricomparsi dal nulla gli ex-missionari, certamente della Cia, con la pretesa che quanto si erano inventati per il Vietnam, fosse vero in Cambogia. Innanzi a tutti, un missionario pagava i rifugiati, dopo avere raccolto i loro racconti, agghiaccianti ma dal punto di vista del giornalismo professionale: retribuiti e per definizione sospetti, “gente che lascia, per qualsiasi ragione, il proprio paese tende a descriverne le condizioni in maniera distorta ed esasperata” (Fantasmi: dispacci dalla Cambogia ; L’espresso, 13 marzo 1977).

Molti anni dopo, Terzani avrebbe raccontato al figlio Folco: “Ora tu dici «Ma non è possibile che mozzino le case per farle tutte uguali ! Non è possibile, sono balle»… Invece gli americani avevano ragione”. (Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio). La macchina della menzogna diceva la verità.

Ancora al principio del 1976, occorreva sporgersi dalla frontiera thailandese, per sbirciare la nuova Kampuchea Democratica. Nel suo intimo, Terzani temeva e si tormentava; da giornalista illustrava tutte le possibilità, impiegava frasi ipotetiche e punti interrogativi. I massacri erano opera dei guerriglieri più giovani? Quattro milioni di cambogiani erano stati trasferiti dalle città nelle risaie perché questa era l’unica durissima, crudele soluzione per nutrirli e ricostruire un paese devastato? La propaganda anticomunista esasperava eventi orribili, accaduti davvero? Abilmente, Terzani riuscì ad individuare il volo di linea che portava Ieng Sary (1925-2013), da Singapore a Kuala Lumpur e ad avvicinare il ministro degli esteri dei khmer rossi. Un appuntamento inquietante ma il possibile Hitler asiatico negò ogni accusa. Con il trascorrere dei mesi, le ipotesi divennero tanto più convincenti quanto più spaventose.

“Ufficiali dello sconfitto esercito di Lon Nol sarebbero stati metodicamente massacrati assieme alle loro famiglie; poi sarebbe stata la volta dei soldati semplici, dei funzionari civili della vecchia amministrazione e di tutti i giovani che avrebbero avuto una qualche educazione. I dettagli delle esecuzioni sono raccapriccianti. I bambini sarebbero stati semplicemente squartati o presi per le gambe e sbatacchiati contro gli alberi. Quanti i morti?”

(Fantasmi: dispacci dalla Cambogia; L’Espresso, 6 giugno, 1976).

Radio Phnom Penh annunciò per la prima volta il nome del dittatore: Pol Pot, identificato dai giornalisti con Saloth Sar (1925-1998) e poco dopo anche l’esistenza del partito comunista. Mancava qualunque culto del leader ed indottrinamento politico, contrariamente alla prassi socialista. I cambogiani sapevano solo che occorreva ubbidire ad Angkar Loeu (organizzazione superiore) o morire. La famiglia reale fu massacrata. Sihanouk che aveva preferito la sua patria alla villa in Costa Azzurra, finì prigioniero senza alcun potere.

Fu il Vietnam comunista a distruggere uno dei peggiori regimi che abbiano mai tormentato gli uomini. All’inizio della guerra i vietnamiti avevano favorito i khmer rossi; poi i rapporti peggiorarono. Hanoi criticò la durezza dei khmer rossi ed accolse i rifugiati cambogiani, inizialmente respinti. Dal 1975, la linea di confine tra i due paesi fu discussa armi in pugno. La dirigenza cinese di Mao Zedong (e più tardi della Banda dei quattro) offriva a Pol Pot il suo unico saldo appoggio internazionale, migliaia di tecnici e consiglieri, vanificando l’ambizione vietnamita e sovietica di portare la Cambogia dove già era il Laos: nell’orbita di Hanoi.

Nel gennaio del 1978 la stampa dell’Urss aggredì i khmer rossi, mentre la scala degli scontri al confine vietnamita rasentava quella di una guerra aperta. I khmer rossi si infiltrarono in Vietnam, mirando ai civili. 

In Thailandia, antenne, navi ed aerei spia restavano vigili. Tra comunicati ufficiali e sussurri, Terzani tentava di descrivere la guerra. “«Possiamo andare avanti?» «Fermatevi, fermatevi. Ricordati: l’obiettivo non è guadagnare terreno»”, fotografati dal satellite ed intercettati, i corazzati vietnamiti tornarono indietro. “«Hanno usato tutta roba nostra ed anno finito per adottare anche le nostre tattiche» dice un analista americano a Bangkok. I vietnamiti si sono presentati ai cambogiani con una enorme potenza di fuoco e li hanno costretti a ritirarsi. Ma non li hanno inseguiti. Se l’obbiettivo non era conquistare terreno quale era allora? «Dissanguare i khmer rossi» suggerisce un esperto militare” (Fantasmi: dispacci dalla Cambogia ; L’Espresso, 5 febbraio 1978).

Emerse come, nel 1976 e nel 1977, alcuni capi khmer rossi avessero tentato una rivolta militare, nel contesto di un’estesa epurazione interna contro i comunisti più anziani, spesso legati al Vietnam. Tuttavia, né le rivolte, né l’invasione della zona di confine, né l’esercito filovietnamita arruolato tra i rifugiati provocarono lo sgretolamento ricercato. Un cambio di regime, sviluppato dall’interno, avrebbe evitato al Vietnam il confronto più duro con la Cina ma ciò non fu possibile. La stagione secca del gennaio del 1979, inaugurò la prima guerra della storia tra due paesi socialisti. L’esercito vietnamita e le formazioni cambogiane ribelli marciarono in forze su Phnom Penh. La resistenza fu scarsa, i khmer rossi preferirono ritirarsi nelle zone impervie presso la frontiera thailandese. Seguì nel febbraio la breve Guerra sino-vietnamita. Neppure la moderata dirigenza cinese di Deng Xiaoping (1904-1997) desiderava che il Vietnam si rafforzasse e spinse la Thailandia a mostrarsi benevola con i khmer rossi.

La Thailandia era un paese filoamericano, nel suo territorio sorgevano le basi aeree statunitensi che avevano segnato la Guerra del Vietnam. E gli Stati Uniti con gli alleati occidentali scelsero di continuare a riconoscere il seggio alle Nazioni Unite e la legittimità internazionale del governo dei khmer rossi nella giungla, piuttosto che quella della Repubblica Popolare di Kampuchea, guidata da Heng Samrin, un ex khmer rosso che era fuggito in Vietnam. All’ombra delle basi americane, lungo ed oltre la frontiera thailandese, la linea del riavvicinamento Usa-Cina protesse e rifornì Pol Pot. Gli Stati Uniti vollero anche ‘aiutare’ la Repubblica Popolare di Kampuchea, e con essa il popolo cambogiano, a riprendersi dalla violenza di Pol Pot, estendendogli il ferreo embargo che già soffocava il Vietnam. La copertura del confine thai e generosi rifornimenti permisero ai khmer rossi di funestare la Cambogia ancora per anni, con una guerriglia sanguinosa. Sihanouk tornò a Pechino. Ricomparvero anche la guerriglia repubblicana e quella monarchica.

Sotto i khmer rossi, troppi cambogiani erano morti costruendo un’immensa rete di canalizzazione che avrebbe dovuto assicurare tre raccolti di riso ogni anno; un progetto sbagliato che aveva danneggiato i vecchi canali. La fame rese terribile il primo periodo del regime filovietnamita, impegnato a riattivare la produzione alimentare, intralciata dalla guerra. “Buttarmi sulle spalle una donna scheletrica e mettermi in marcia non è frutto di una decisione, ma istinto”. Terzani dedicò al dramma dei profughi uno tra i suoi articoli più toccanti e conosciuti. Nella giungla fame e malaria non distinguevano tra i khmer rossi e le loro vittime, mentre arrancavano verso la Thailandia.

“Uomini e donne, bambini dell’età dei miei, a decine, a centinaia erano sparsi nella foresta, gli occhi sgranati ed ebeti, le braccia e le gambe ridotte a stecchi dalla pelle vizza, coperti di stracci neri intrisi di escrementi e di polvere, scossi dalla febbre, incapaci di fare un passo in più, buttati a caso qua e là […] Accanto ad un gruppetto che, calmo, mangiava, una bambina boccheggiava morendo senza una goccia d’acqua sulle labbra riarse. Nessuno se ne occupava. I forti, i duri senza più emozioni, cresciuti in un paese in cui ogni traccia del passato, ogni valore della religione e della tradizione sono stati cancellati, parevano perfetti esempi di quell’«uomo nuovo» che Pol Pot ha voluto creare […] «Prendi solo i migliori, al massimo possiamo metterne trenta sul camion», lo sento gridarmi dietro. Come si fa a selezionare quelli che debbono vivere e a condannare gli altri, l’ho imparato presto. Tornato alla mia radura ho automaticamente preso il bambino accanto al padre morto e non quello sconquassato dalla dissenteria; una ragazza che aveva ancora la forza di scacciarsi le mosche e non la sua vicina, forse la sorella… Sono andato avanti e indietro varie volte, ma mi sentivo più un giustiziere di quelli che lasciavo che un aiuto per quelli che prendevo”.

Tiziano Terzani, Repubblica, 3 novembre 1979

Terzani si affrettò ad ottenere un visto e tornò in Cambogia per un viaggio che non rispettò la prassi socialista, pericoloso senza scorta e libero senza sorveglianti; ne nacque il reportage Sento ancora le urla nella notte, pubblicato in lingua tedesca ed italiana, su Der Spiegel (1980), Holocaust in Kambodscha (1980), In Asia (1998), Fantasmi, dispacci dalla Cambogia (2008). Terzani fu tra i giornalisti occidentali che più si impegnarono a raccontare l’orrore dei khmer rossi ed assieme al collega Nayan Chanda, il primo a guardare di persona. I resti del massacro erano ovunque, fermarsi per caso nei villaggi lungo la strada, significava scoprire campi di sterminio e fosse comuni, risaie che non si potevano attraversare senza calpestare ossa umane.

Secondo le prime ricostruzioni, nel 1975 i cambogiani erano tra sei e sette milioni ed i sopravvissuti al regime dei khmer rossi, soltanto quattro milioni e mezzo. Tutti avevano voglia di comunicare. Ith Sithon, ventotto anni, sopravvissuta ad otto familiari e rimasta sola, sconvolta dall’udire, come da un’altra era, il francese di Terzani, ripeteva continuamente: «Non so più come si fa a vivere». Rim Rom aveva perso otto parenti e sopravvissuto ai lavori forzati, era diventato interprete ma il pensiero delle palme lo terrorizza: «Quei cocchi hanno avuto uno speciale fertilizzante: cadaveri umani… guardo questi alberi e li sento ancora bisbigliare: Faresti dell’ottimo cocco!». Queste le condizioni di un intero popolo debole e traumatizzato che tentava di ricominciare nella mancanza di tutto. Pol Pot aveva abolito la scuola, il buddhismo, la stampa, danza e musica khmer, il denaro ed il sistema sanitario; dei cinquecento medici che lavoravano prima dell’avvento dei khmer rossi, soltanto una cinquantina erano tornati a prendersi cura. Un dottore continuava a nascondersi ed a pregare Terzani di non rivelare chi era.

I khmer rossi intendevano costruire il loro mondo nuovo a partire dai due milioni di cambogiani che abitavano le campagne. Chiunque avesse abitato le città e la civiltà precedente, corrotta da valori tradizionali o borghesi, dalla terribile malattia chiamata passato, era destinato a lavorare come schiavo fino alla morte o essere ucciso subito. Assieme a studenti, maestri, tecnici, impiegati, monaci, i khmer rossi avevano assassinato chi era grasso o portava gli occhiali, chi non riusciva ad arrampicarsi fin sulla vetta degli alberi: chiaramente borghesi. Trentamila persone erano state trucidate, appena presa Phnom Penh. Cinquantamila biancheggiavano con la testa rotta sui campi di Kompong Cham, soldati, funzionari, persone istruite, tutti con i loro bambini e le loro famiglie.

Di fatto, il presidente della Cambogia era il filovietnamita Heng Samrin; l’Urss e il Patto di Varsavia lo riconoscevano anche di diritto. La Cina e gli Stati Uniti, con i rispettivi alleati e la maggioranza delle Nazioni Unite, preferivano riconoscere la legittimità di Pol Pot. La classe dirigente cambogiana mescolò antichi nemici. Pochi comunisti khmer viet minh, ex khmer rossi, filoamericani di Lon Nol, sudditi di Sihanouk, chiunque avesse una qualche competenza. Duecentomila soldati vietnamiti impedivano che i debiti di sangue venissero pagati. Terzani visitò la fabbrica tessile diretta da Chea Cham Chea, un ex khmer rosso che aveva partecipato alla rivolta del 1978; “«E durante i massacri del 1975, 1976 e 1977, lei dove si trovava?» gli ho chiesto. I vecchi operai e i quattro tecnici che si erano riuniti nel suo ufficio abbassarono lo sguardo, imbarazzati… «Appena due anni fa mi avrebbe ridotto in concime se avesse saputo chi ero stato. Ora mi chiede di dargli una mano», mi spiega un ingegnere di un’altra fabbrica che, nascondendo di avere studiato all’estero…”. Molti non si fidavano dei comunisti, di nessuna corrente. Quasi nessuno amava i vietnamiti, nemici storici che nell’Ottocento si sarebbero spartiti la Cambogia con i thai, se non fosse giunta la Francia a prendersi tutto. La propaganda era semplice: se ce ne andiamo ritorna Pol Pot.

Soltanto una forza esterna spinse la Cambogia fuori dall’angolo della geopolitica. Alla metà degli anni Ottanta, nell’Unione Sovietica in crisi, Michail Gorbacev rivide le politiche di sostegno agli alleati ed il bilancio vietnamita non poté più sostenere le spese per occupare la Cambogia. Con la fine della Guerra Fredda, il regime di Phnom Penh dovette anche iniziare a smantellare il socialismo ed accettare il piano di pace delle Nazioni Unite. La missione Onu, l’Untac intendeva spostare la Cambogia sull’Atlantico: disarmo delle fazioni ed elezioni democratiche, con la partecipazione speciale dei khmer rossi.

Esperti, diplomatici, militari i cui rimborsi spese giornalieri valevano un anno di lavoro cambogiano, si impegnarono con successo ad attirare affaristi della diaspora cinese, Ong, medicine di dubbia qualità, macchinari troppo pericolosi altrove, un americano che tentava di seppellire scorie nucleari ed altre presenze benefiche per l’economia. Francesi e giapponesi ricordarono improvvisamente colonie e zone di co-prosperità asiatica. Quattrocento milioni di dollari scomparvero dal bilancio, probabilmente tra le mani di alti funzionari dell’Untac. “L’Onu sta creando un mostro dominato dall’ingordigia e dall’ingiustizia. La città è inquinata, macchine di lusso… per portare i loro grassi e protervi padroni all’appuntamento con cui creare ancora più ricchezza per sé e più ingiustizia per i più. Se è questo il nuovo ordine del mondo che ci sta davanti bisogna cominciare a combatterlo, ora. Mi ricordo quanta più aria di giustizia e di compassione c’era quando arrivai qui nella Cambogia occupata dai vietnamiti” (Tiziano Terzani, Un’idea di destino).

Nazioni Unite davvero preoccupate per il futuro dei cambogiani, non avrebbero fatto meglio a tenere i capitalisti fuori dal paese, anziché attirarli?

“La mia camera era giusto sotto il dancing e non dormii fino all’una di notte, quando il tambureggiare della musica smise e tutta una folla felice, di ragazze affittate o da affittare, esperti in aiuti umanitari, soldati e poliziotti internazionali, uomini d’affari e osservatori elettorali, stanchi e sudati, sfilò tra due ali di mendicanti khmer, in vecchie uniformi militari, che offrivano alla loro distratta misericordia cappelli vuoti, gambe mozze, braccia senza mani e tanti patetici sorrisi. La comunità internazionale, venuta in Cambogia a portare la democrazia, andava finalmente a letto”.

(Tiziano Terzani, Un indovino mi disse)

La partecipazione dei khmer rossi a party internazionali e giochi diplomatici, fu il compromesso più angosciante della missione civilizzatrice. “Perché i crimini dei nazisti sono stati riconosciuti per tali dall’intera comunità internazionale e quelli dei khmer rossi no? Forse perché le vittime degli uni erano degli ebrei, dei bianchi, e quelle degli altri erano dei semplici cambogiani dalla pelle scura?” (Fantasmi: dispacci dalla Cambogia ; Corriere della Sera, 20 giugno 1992).    

I khmer rossi violarono continuamente gli accordi e raddoppiarono il proprio territorio occupato. Khieu Sampan, riconosciuto a Phnom Penh e quasi linciato, si trasferì in un palazzo, adibito agli uffici e protetto dai soldati Onu; i diplomatici lo chiamavano: sua eccellenza. Al momento delle elezioni, la pacificazione era molto relativa, nessuno consegnò le armi, Pol Pot non intendeva partecipare. Le Nazioni Unite, sbilanciate in senso occidentale dalla crisi dell’Urss, impegnate per la fine della storia in Iraq, Jugoslavia, Africa, decisero comunque di tenere le elezioni; una scelta necessaria per la propaganda del nuovo secolo ma pericolosa per la Cambogia. Il Ccp di Hun Sen era asceso al potere con l’invasione vietnamita, comandava l’esercito e per più di dieci anni aveva versato il proprio sangue combattendo i khmer rossi: ottenne il 38%. Il Funcinpec del principe Norodom Ranariddh, figlio di Sihanouk, con i suoi dirigenti khmer parigini, prevalse: 45%. Sihanouk, tornato a presiedere il consiglio provvisorio, tentò di anticipare la proclamazione dei risultati, annunciando l’assenza di vincitori, vinti ed un governo di unità con la sua mediazione al vertice. Il compromesso regale avrebbe consentito ad un vecchio partito comunista di rimanere al potere, rifiutando il modello di democrazia occidentale che l’Untac era venuta ad imporre. Gli americani scelsero la forma del non-paper diplomatico, per manifestare la propria ferma opposizione. 

Sihanouk godeva di grande popolarità, al suo esilio erano seguiti solo mali. Sconcertato dall’agibilità politica dei khmer rossi, proprio in quei giorni Terzani biasimava il sovrano nei suoi diari. Tuttavia re e giornalista si conoscevano ormai da anni, abbastanza in confidenza per urlarsi contro in occasione delle interviste. «Lei è re ed ha delle grandi responsabilità verso il suo popolo. Allora, quali sono i principi che Lei insegna alla sua gente, principi da rispettare nella vita? Come si può educare il popolo cambogiano del futuro quando ora gli si insegna a chiamare «eccellenza» gli assassini…», «Si metta al mio posto, lei, Terzani, si metta al mio posto. Lei è in grado di cacciare i khmer rossi?… vorrebbe ricominciare la guerra civile? Il popolo cambogiano capisce. Siete voi stranieri che non capite. Lo sappia, lo capisca!» (Fantasmi: dispacci dalla Cambogia). Ma alla fine, Sihanouk evitò che un 7% di croci in più o in meno, tracciate su schede elettorali che molti cambogiani non riuscivano a stabilire per quale verso andassero lette, accendesse la guerra civile.

L’Untac si ostinò a proclamare la vittoria del Funcinpec ma Sihanouk tra il democratico occidentalizzato e il divino sovrano della tradizione buddhistica di Angkor, incarnò la seconda figura. Il re buddhista si dichiarò malato (immaginario) e volò a curarsi tra Pechino e Pyongyang. A Phnom Penh il partito di comunista di regime con più fucili ed il partito del principe con più croci iniziarono a litigare. I khmer rossi incitarono il popolo ad uccidere i loro nemici. I funzionari dell’Untac iniziarono ad avere paura. Le province orientali scivolarono verso la secessione. Se il tentativo di imporre la democrazia atlantica fosse continuato, la propaganda occidentale non avrebbe potuto gloriare l’Onu quale soggetto capace di intervenire nel mondo, quanto preoccuparsi di lavarla dal sangue oltre che dall’Aids. Quando gli eletti si riunirono, stabilirono all’unanimità che Sihanouk avrebbe guidato la Cambogia fino alla ratifica della nuova costituzione ed approvarono il governo di coalizione. Gli americani non si opposero. I khmer rossi rimasero isolati nella foresta.

“Questo non era esattamente quello che le Nazioni Unite avevano avuto in mente… con la loro propaganda sulla «democrazia di stampo occidentale», con le loro dichiarazioni su chi nelle elezioni aveva vinto e chi perso. Ma alla fine anche l’Onu ha dovuto accettare le realtà cambogiane”

(Fantasmi: dispacci dalla Cambogia ; Der Spiegel, 28 giugno 1993)

A Napoli, nell’estate del 1985, Terzani partecipò alla locale Festa dell’Unità, organizzata dal Partito Comunista Italiano; alcuni dirigenti che conosceva, rifiutarono di stringergli la mano e si voltarono dall’altra parte, i diari editi di Un’idea di destino ne risparmiano pietosamente il nome. Una convenienza politica e culturale suggeriva di evitare l’impegno doveroso a comprendere, con onestà intellettuale, i presupposti ideologici dell’immenso crimine perpetrato dai khmer rossi. Il ricorso alla categoria interpretativa della follia, al fine di evitare una riflessione scomoda, era già consuetudine e valse anche per Pol Pot. Il dittatore era pazzo: niente da aggiungere, soprattutto a sinistra.

Terzani sapeva invece che capire è il contrario di giustificare e non era stato al gioco linguistico della follia: C’eravamo sbagliati, Pol Pot tu non mi piaci più. I khmer rossi erano figli ideologici di Mao, diversi elementi di spicco del loro gruppo dirigente come Pol Pot o Ieng Sary, avevano studiato a Parigi e lì erano entrati in contatto con il marxismo; poi coerentemente con i loro presupposti teorici, avevano tentato di creare una società radicalmente nuova ma diversamente da altri rivoluzionari, avevano deciso di affrettarne l’avvento, adoperando metodi spaventosi. “Pol Pot aveva capito che non si può fare una società nuova senza prima creare uomini nuovi e che, per creare uomini nuovi, bisogna eliminare anzitutto gli uomini vecchi, bisogna eliminare la vecchia cultura, bisogna cancellare la memoria collettiva del passato. Da qui il grandioso piano dei khmer rossi di spazzare via il passato… in modo da allevare bambini come pagine bianche in cui scrivere quello che l’Angkar, il partito, vuole” (Fantasmi: dispacci dalla Cambogia ; Repubblica, 29 marzo 1985 ; In Asia). Il Vietnam impedì che l’esperimento riuscisse. Gli adulti erano già terrorizzati dalle nuove generazioni, bambini cresciuti senza famiglia né religione, educati a spiare e denunciare ad Angkar. Rifiutata la rivoluzione secondo la scienza; sempre più, Tiziano Terzani avrebbe declinato al futuro l’amore per quel passato, umano e tradizionale, già visto sorridere enigmatico, nella posizione del loto, sulle labbra dell’Illuminato, dio della Misericordia khmer.

*Qui Tiziano Terzani parla della “Rivoluzione che va al potere”, in Cambogia

I più letti

Per approfondire

“Gli americani hanno paura di perdere l’Europa”. L’approfondimento di Dario Fabbri

Nei manuali di storia russi, Vladimir Putin non vuole essere ricordato come colui che ha perso l’Ucraina.

Fallaci vs. Terzani. Islam a due voci

Tiziano Terzani, Oriana Fallaci e l'Undici settembre

Mosca contro Pietroburgo

La Russia di Oswald Spengler.

«La Russia non necessita di nessuna alleanza: le questioni cruciali per il suo futuro sono di carattere interno». La valutazione di Timofej V. Bordačёv

Intervista a tutto campo con il politologo russo, esponente di spicco del Club Valdai, sulle potenziali prospettive che attendono Mosca nelle relazioni con le altre potenze, regionali e non.

Jünger in Africa

Nel 1913 Ernst Jünger si arruola nella Legione straniera, certo di poter vivere “arbitrariamente”. Tra fuga, delusione, necessità, “Ludi africani” è un libro fondamentale

Gruppo MAGOG