La drammatica situazione provocata dalla pandemia del Covid-19, osservata dal particolare punto di vista italiano, mette in gioco situazioni e soluzioni delicate e complesse che necessitano di una valutazione attenta, detossificata dai veleni dei pregiudizi e delle prevenzioni ideologiche. Il 20 marzo 2020, di fronte all’urgenza della situazione il governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha dichiarato senza ambiguità: «Io ritengo che sia arrivato il momento, per la verità era arrivato già due settimane fa, di chiudere tutto e militarizzare l’Italia».
Quando si adopera questa espressione in Italia, ha aggiunto De Luca, «c’è sempre qualche scienziato che storce il naso. Militarizzare significa che, se abbiamo deciso che l’obiettivo vitale in Italia è contenere il contagio per non contare in migliaia i nostri morti, tutti i corpi dello Stato devono essere funzionalizzati rispetto a questo obiettivo». Secondo De Luca, è ormai «indispensabile il controllo militare del territorio, con poteri eccezionali alle forze dell’ordine. Se poi abbiamo paura di dirci la verità, ci prepariamo a contare i nostri morti, punto e basta. Se vogliamo fare sul serio è arrivato il momento, siamo già in ritardo, per cercare di bloccare per quanto possibile l’aumento esponenziale del contagio nel Sud e in Campania, altrimenti avremo un problema moltiplicato per tre, un’esplosione di contagio di fronte alla quale lo Stato italiano sarà totalmente indifeso. Il quadro non è rassicurante ma quello di cui sto parlando è un linguaggio di verità».
Nelle stesse ore, l’agenzia di stampa Adnkronos ribatteva un durissimo intervento postato su Facebook, del “comandante Alfa”, nome in codice del fondatore dei Gis, il Gruppo di intervento speciale dei carabinieri, reparto di élite tra le élite delle Forze speciali italiane, oggi in pensione dopo lunghi decenni di servizio. Un incidente nell’incidente, è stato definito. «Nell’ennesima serata di attesa delle comunicazioni del presidente Giuseppe Conte da Palazzo Chigi, che ha annunciato un nuovo, più severo lockdown del paese senza aver prima scritto nero su bianco né quali e quante attività dovranno mettere il lucchetto, né quando dovranno farlo, ci sono stati momenti di tensione fra l’Arma dei carabinieri e un suo illustre ex componente».
Il “comandante Alfa” vanta un curriculum militare eccezionale, che lo ha reso il carabiniere più decorato d’Italia, obbligandolo però a mantenere segreta la sua identità e a indossare sempre in pubblico un “mefisto” nero per celarne i lineamenti. Nel suo intervento questo Cavaliere dell’Ordine militare d’Italia, la più alta onorificenza militare del nostro paese, ha invocato la dichiarazione dello stato di guerra da parte delle pubbliche autorità, sulla stessa lunghezza d’onda del governatore De Luca: «Non chiamatela emergenza, ha scritto, questa è una guerra. Il nemico è subdolo, invisibile, sconosciuto». Da cui l’invito pressante alla messa in quarantena del paese, senza alcuna esclusione «Schierate l’esercito, istituite il coprifuoco, chiudete i confini, i porti, sigillate il nostro paese all’Europa che ci ha lasciati soli e che ci ha presi in giro senza che nessuno dei nostri governanti ci abbia difesi».
Ma è tutta la gestione dell’emergenza che ha lasciato interdetti. Senza mai un sussulto di miglioramento. Per questo è necessario esaminare un altro aspetto del problema. Estremamente impegnativo e delicato. Le dichiarazioni del governatore De Luca e del “comandante Alfa”, di fronte all’emergenza pandemica e alla palese inadeguatezza di un esecutivo figlio di complesse circostanze eccezionali, toccano un nervo scoperto della società, prima che della politica italiana.
Parlare di “militarizzazione” significa infatti, fuori da ogni edulcorato eufemismo e per guardare negli occhi il concreto quadro di situazione, fare i conti con la realtà, o lo spettro…, della legge marziale. Chiariamo, sia pur sommariamente, lo scenario di fondo.
Ogni ordinamento giuridico costituzionale disegna il perimetro delle norme vigenti che regolano lo Stato, all’interno del proprio territorio sovrano. In casi eccezionali, le leggi ordinarie possono e devono essere temporaneamente sospese per affrontare un’emergenza che non può essere risolta con gli strumenti ordinari. Entra in questo caso in vigore la legge marziale, letteralmente “legge del dio Marte”, dal nome dell’antica divinità romana venerata come nume tutelare delle attività belliche. Istituzionalmente, si applica con modalità praticamente automatiche in caso di guerra e, in maniera generale, non consiste in un unico provvedimento, bensì in un articolato e complesso quadro normativo finalizzato a fronteggiare la crisi bellica. Si tratta cioè di una sorta di perimetro giuridico specifico e limitato nel tempo che sostituisce quello ordinariamente vigente in tempo di pace, quando ricorrano urgentissime e specifiche condizioni.
La legge marziale sospende molte, anche se non tutte, delle norme ordinarie contemplando, per esigenze di forza maggiore, la sospensione per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale di alcuni diritti fondamentali, come per esempio quello alla libera circolazione o alla riservatezza. Può limitare la durata dei processi e prevedere l’applicazione di sanzioni più severe rispetto alle norme del tempo di pace. In alcuni casi, viene prescritta la pena di morte per alcuni crimini specificamente normati, anche se leggi ordinarie non prevedono nel proprio ordinamento quella sanzione estrema. Ma la guerra non costituisce l’unico parametro per cui la legge marziale può essere applicata. Infatti, qualsiasi concreto stato di emergenza nazionale può giustificare la sua entrata in vigore. La legge marziale può scattare anche in situazioni diverse da uno stato di guerra, per eccezionali esigenze di ordine pubblico come, per esempio, una catastrofe naturale, un tentativo di sovversione dell’ordine costituito, un’emergenza criminale o terroristica. O un’epidemia sfuggita ai normali controlli di gestione, sicurezza e repressione.
Anche in questo caso, la sospensione dell’autorità civile e l’imposizione di quella militare impone ai tribunali militari di assumere in proprio la normale amministrazione della giustizi mentre le forze armate, pur a tempo determinato, possono e devono operare insieme o al posto delle forze di polizia a tutela dell’ordine pubblico. La fattispecie della legge marziale può declinarsi all’interno di una cornice flessibile e modulare nel senso che la legislatura può, in alcuni casi, restare civile mentre il resto dell’amministrazione pubblica viene affidata alle forze armate, autonome o in collaborazione con enti e strutture pubbliche o private, poste comunque sotto controllo e responsabilità militari. La legge marziale entra in vigore dunque ogni volta sia necessario riportare rapidamente sotto controllo l’ordine interno a causa di un conflitto armato esterno o di emergenziali disordini interni parificati, per i loro effetti, a conflitti esterni.
Snodo centrale e dirimente dell’esercizio della legge marziale è la gestione dell’habeas corpus, vale a dire la sospensione del diritto di tutela della libertà personale anche senza una giusta causa che giustifichi una detenzione. Si tratta in tal caso di una questione, per quanto decisiva come vedremo più avanti, senza capo né coda, nel senso che la proclamazione della legge marziale non può essere sancita senza uno stato di urgenza massimo che, di per sé, non può non contemplare la sospensione, tra le altre norme giuridiche ordinarie, anche di quella sancita dall’articolo 9 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Nessun individuo può essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato».
Anche da questo si evince che la legge marziale è un salto di paradigma costituzionale che, sia pure temporaneo, non si configura come una decisione che l’autorità competente può permettersi di assumere alla leggera. Alcuni Stati, tra cui l’Italia, hanno abolito il termine legge marziale in quanto la Costituzione, all’articolo 11, stabilisce che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Per cui si preferisce adottare la definizione, più fluida, di “stato di emergenza”. Questa fattispecie venne dichiarata nel 2005 a New Orleans, negli Stati Uniti, dopo il passaggio dell’uragano Katrina, una formula costituzionale le cui conseguenze furono comunque equiparabili a quelle della legge marziale.
In Italia, come detto, non è prevista ufficialmente alcuna legge marziale da applicare anche in caso di conflitto bellico. Potrebbero però entrare in vigore provvedimenti straordinari che finirebbero comunque per determinare il quadro di un’effettiva legge marziale, l’insieme di norme di cui sopra da applicare in deroga a quelle vigenti. Secondo l’articolo 78 della Costituzione, le Camere deliberano lo stato di guerra, dichiarato formalmente solo dal presidente della Repubblica, affidando al governo i poteri necessari che vedrebbe quindi estendere i propri poteri con un ricorso più ampio ai decreti legge, per incidere con maggior rapidità ed efficacia sui dispositivi legislativi nazionali. Dal canto suo, l’articolo 111 che stabilisce «il giusto processo regolato dalla legge», sancisce che si può derogare dalla norma che prevede sempre il ricorso in Cassazione per violazione di legge «soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra».
Anche da questo punto di vista, l’Italia, più di altre nazioni, è vittima dei conti non risolti con il proprio passato. Che non viene mai affidato alla serenità del tribunale della Storia per fungere invece da arma contundente nella polemica politica contingente. A parte l’esperienza del ventennio fascista che, nonostante opere e ricerche fondamentali quanto monumentali come quelle di Renzo De Felice, non riesce a uscire dalle secche di una propaganda unilaterale, monocola e autoreferente ormai insostenibile, dal punto di vista della legge marziale l’Italia deve fare ancora i conti con l’esperienza della guerra al terrorismo nei cosiddetti “anni di piombo”.
Ai tempi della lotta alle Brigate rosse, e qualunque cosa fossero davvero e in realtà…, l’ipotesi di promulgarla venne sempre a priori respinta per evitarne una legittimizzazione a livello giuridico. Vale a dire, come più volte richiesto dalle cellule combattenti del cosiddetto “partito armato”, l’applicazione ai detenuti per atti di terrorismo delle convenzioni internazionali sullo ius in bello, garantendogli così uno status e un trattamento da prigionieri di una guerra legittima sul modello interstatale. Sulla base di questo problematico pregresso, nel nostro attuale assetto istituzionale, l’unico stato di emergenza contemplato è quello che può essere deliberato dal Consiglio dei ministri, senza bisogno dell’assenso del Parlamento, ai sensi della legge n. 225 del 1992 che regola l’istituzione del Servizio nazionale della protezione civile.
In caso di «calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo», l’articolo 5, comma 1, della legge prevede che al verificarsi di tali eventi o nella loro imminenza, «il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, su sua delega, di un ministro con portafoglio o del sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri segretario del Consiglio, formulata anche su richiesta del presidente della Regione interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato d’emergenza, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con specifico riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e disponendo in ordine all’esercizio del potere di ordinanza».
Ai sensi di quella normativa, il 31 gennaio 2020 il Consiglio dei ministri ha deliberato, per la durata di sei mesi, lo stato di emergenza sanitaria per l’epidemia da coronavirus, a seguito dell’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale, dichiarata dall’Oms, al fine di consentire l’emanazione delle necessarie ordinanze di Protezione civile, In una situazione di grave crisi emergenziale, i vantaggi di una legge marziale rispetto allo stato di emergenza sono evidenti.
Prendiamo il caso del Covid-19. Come sottolineato da De Luca e dal “comandante Alfa”, non esiste dubbio alcuno che militarizzazione del territorio e procedure di coprifuoco avrebbero di molto ridotto la diffusione del contagio, imponendo rigorosamente il rispetto delle norme di “distanziamento sociale” previste dalle successive ordinanze governative. Ma sarebbe stato risolto rapidamente anche il problema delle mascherine e delle tute monouso, per molti versi tanto incomprensibile quanto gravissimo, sia per la riduzione della diffusione del morbo sia per la protezione del personale sanitario impegnato in prima linea. E che anche per questo ha pagato un tributo di caduti da bollettino di guerra.
Com’è altrettanto evidente che l’operazione del 24 marzo 2020, condotta dalla Guardia di finanza di Ancona, che ha portato al sequestro di 1.840 circuiti da utilizzare per i pazienti in critiche condizioni respiratorie, stivate a bordo di un tir in procinto di imbarcarsi su un traghetto diretto in Grecia, non si sarebbe conclusa con la semplice denuncia a piede libero del rappresentante legale della società. Tentare la vendita di quei dispositivi per la ventilazione meccanica, infrangeva il divieto di cessione fuori dal territorio nazionale dei dispositivi di protezione individuale e degli strumenti e dei dispositivi per la ventilazione meccanica dei pazienti con patologie respiratorie, imposto dall’emergenza Covid-19, dato che il circuito respiratorio è l’interfaccia diretto con il paziente, un elemento chiave dell’intero sistema di anestesia o di ventilazione. Per questo sarebbe stato gestito con maggiore – ed esemplare – severità. A fronte di una violazione per abbietti motivi di lucro e senza scusanti delle disposizioni di emergenza.
Con i poteri conferiti dalla legge marziale, le autorità civili e militari avrebbero anche potuto imporre, come vedremo più avanti, l’immediata riconversione industriale delle aziende in grado di produrre nel minore tempo possibile le quote degli strumenti e degli ausili necessari al fabbisogno nazionale. Con una semplice ordinanza di immediata applicazione. Senza se e senza ma.
Gli esempi potrebbero continuare.
Ma è doveroso e necessario, anche in condizioni estremamente coinvolgimenti dal punto di vista emotivo, mantenere lucidità e distacco. Soprattutto se l’analisi deve prendere in esame un prossimo e prevedibile futuro. Che appare tutt’altro che rassicurante, per cui è bene stabilire a mente fredda e a bocce ferme normative e decisioni che potranno entrare in vigor in un avvenire non lontano. Anche qui occorre disegnare il perimetro del quadro di fondo. L’esperienza pregressa ha insegnato che le autorità politiche e tecniche che ci governano non sono attrezzate ad affrontare le sfide del Terzo millennio.
Nonostante la tanta decantata globalizzazione, utile e positiva solo per chi ne ha saputo lucrare ingenti profitti, nessuno dei macroproblemi contemporanei è stato affrontato e risolto in maniera comune.
In realtà, non è stato risolto nulla.
Ricordavamo, qualche anno fa, seguendo la lezione di Platone, che la politica è una sottile, delicata e complessa congruenza tra l’arte del pastore e quella tessitore. Ne consegue quindi che l’expertise del mercante, alla quale abbiamo affidato la cosa pubblica, non è ragione sufficiente e necessaria a consentirgli di governare. D’altra parte, quell’expertise somiglia sin troppo all’idiotismo specialistico che, con il suo minuzioso esame del particolare, rifugge dalla totalità, ignorando di default il rapporto organico delle parti con il tutto. Ma c’è di più. L’expertise deve essere reale. E la prova di una expertise reale è il successo. Se, malauguratamente per lei, la direzione politica e/o “tecnica”, ancella delle aristocrazie venali, viene percepita come fallimentare e incapace, allora il suo stesso diritto a manovrare la sala comando del potere viene meno. Perché se la teoria dell’expertise sociale e politica si rivela un mito, o meglio una leggenda metropolitana, la domanda sorge spontanea: chi deve essere in grado di gestire la complessità della società contemporanea?
Il quadro desolante che abbiamo di fronte, dalla crisi economica del 2008 agli incontrollabili flussi migratori, dalle crescenti tensioni e rivalità planetarie sino al drammatico e inesorabile fallimento sul piano ambientale, non lasciano propendere per una risposta in grado di lenire le ansie. Oggi la pandemia Covid-19 ci ha garantito, a livello nazionale quanto internazionale, che le classi dirigenti consolidate non sono in grado di affrontare la drammatiche e gravissime crisi incubate nella seconda metà del secolo scorso e destinate a esplodere in quello appena agli inizi.
Il lockdown di ogni attività prodotto dalla crisi coronavirus, indispensabile per contenere il contagio del morbo, ha provocato una sincope generalizzata del sistema economico che aprirà ferite profonde. Secondo le stime dell’Organizzazione del lavoro che riunisce i governi, i sindacati e le organizzazioni degli industriali di 187 paesi, la pandemia rischia di provocare la perdita di 25 milioni di posti di lavoro, andando ad aggravare un settore dove nel 2019 già si contavano 188 milioni di disoccupati nel mondo. Uno panorama, se dovesse realizzarsi, davvero inquietante: milioni di famiglie vedranno drasticamente ridurre la loro condizione economica e sociale con la diffusione a macchia d’olio di disoccupazione, impossibilità di onorare i mutui, abbandono degli studi, naufragio di progetti, familiari e produttivi.
Di fronte a questi orizzonti destabilizzanti, apparirà sempre più plausibile e sensato ricorrere a scenari da legge marziale che potrebbero diventare il cavallo di Troia, il tunnel sotterraneo, la talpa inesorabile, per l’instaurazione – sulle stanchezze, le esasperazioni e le debolezze delle masse estenuate e spaventate – di un regime blindato nel segno di quelle aristocrazie venali di cui dicevamo. Mario Monti con i cari armati, per intenderci meglio. Se questo è quello che ci aspetta, appare lecito cercare di anticipare, per quanto possibile, la prossima, inevitabile, crisi, proponendo sin d’ora una cornice di soluzioni d’emergenza istituzionali che possano, in qualche modo, almeno proporre un’ipotesi di garanzia, quando le garanzie verranno spazzate via, con l’approvazione di tutti. Vista la gravità della situazione da fronteggiare.
(seguirà una riflessione sul concetto di “dittatura romana”)