Una storia lunga tremila anni

Il conflitto israelo-palestinese non è una serie irrazionale di brutalità reciproche ma un fenomeno storico intellegibile. Con ragioni interne, più importanti delle strumentalizzazioni internazionali. Lo storico israeliano Ilan Pappé ha provato a ricostruirlo in "Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina. Dal 1882 a oggi" (Fazi Editore, 2024).

Roma sul filo dell’impossibile

Nessuno dispone di libero arbitrio illimitato. Né i singoli né i popoli. L’idea di scegliere fuori dai vincoli è un mito moderno, quando nella realtà prevalgono il determinismo dei bisogni e della geografia. Di conseguenza le nostre opzioni sono inevitabilmente limitate: le danno il luogo in cui nasciamo e viviamo, le alleanze, le dipendenze materiali. Possiamo scegliere, ma dentro cornici che non scegliamo. Per questo l’Italia cammina sul filo. Il rapporto con Israele e con il Nord Africa obbedisce solamente ai dettami della geografia e dell'istinto di sopravvivenza che, volenti o nolenti, impone linee di condotta molto diverse a quelle a cui siamo abituati.

Cronache di un’invasione annunciata

L'annuncio del piano di occupazione totale a Gaza rivela quanto Israele voglia una guerra in Medio Oriente infinita. L'applicazione degli stereotipi occidentali è fallace. Tutto si basa sulla consapevolezza della necessità dell'incutere timore, perché chi perde, perde tutto.

Pierbattista Pizzaballa di Terra Santa

La presenza del Cardinale Pizzaballa e di Teofilo III a Taybeh il 14 luglio si inserisce in una cornice più ampia: non è un gesto che mira a ottenere risultati immediati, ma una testimonianza di quella “presenza” che costituisce il cuore stesso del patriarcato gerosolimitano. In un mondo che misura tutto sull'efficacia e sui risultati, la Chiesa di Terra Santa testimonia un'altra logica: quella della fedeltà, della permanenza, della resistenza spirituale che trasforma la storia non attraverso la forza, ma attraverso la capacità di rimanere.

Il cessate il fuoco prima della tempesta

La guerra procede secondo logiche sue proprie; il problema risiede sempre nella comprensione degli equilibri e degli interessi sottesi che, forti come sono, spesso trascendono gli aspetti più eminentemente umani. Il MO non fa eccezione e nella sua divampante violenza, diventa espressione di molteplici e complessi interessi. Sullo sfondo, come sempre, l’umbratile presenza di persone colpevoli solo di essere nel posto sbagliato nel momento peggiore.

Spade di ferro

Con gli Ayatollah alle corde, ad un anno esatto dal 7/10 Israele sembra pronto a ridisegnare la mappa del Medio Oriente. Ma a muovere la mano di ferro di Tel Aviv non c’è che la contingenza di un presente senza tempo, in cui la vittoria è sempre un passo più in là. Fino al baratro.

La terroristizzazione della Palestina

La retorica che ha guidato le mosse israeliane degli ultimi anni è una e una sola: demonizzare il nemico confinante, partendo dalla sua classe dirigente. Un gioco pericoloso che si è rivoltato contro i propri ideatori. Così ora Tel Aviv è finita in un cul-de-sac strategico "troppo serio per essere lasciato ai politici".

Israele con le spalle al muro

L’attacco di Hamas è stato l’11 Settembre d’Israele poiché ha sancito la funesta cesura fra una percezione d'apparente invulnerabilità e la sua scomparsa. Ma rappresenta anche la fine di una convergenza parallela fra Tel Aviv e l'Occidente. Il vallo orientale fra il mondo dei buoni e quello dei cattivi ha perso ogni ragion d'essere, così come il credito politico su cui si fondava la Nazione, finito bruciato assieme a Gaza.

Effetto Abramo

Nel settembre del 2020 venivano firmati gli Accordi di Abramo, oggi indicati come responsabili delle tensioni mediorientali. Ciò con un particolare focus su Israele, che nel tentativo di pacificare le relazioni con i propri vicini avrebbe commesso l'ennesimo peccato storico. Ma è un'analisi miope e connotata da una forte componente pregiudiziale, proprio perché manca di tenere in considerazione gli altri attori e le loro posture politiche.

Il sovranismo non esiste

Le proteste di Pisa, come ogni protesta degli ultimi anni, assomigliano più a una vaga increspatura in un oceano di conformismo, che non ad un organizzato moto sistemico di dissenso. In l'Italia è impossibile immaginarci diversi, liberi e sovrani. Liberi di attaccare un massacro e specialmente il suo mandante israeliano. Perché l'Italia non è una nazione sovrana: non lo è, in primo luogo, mentalmente.

Nasrallah e il fronte di dissuasione

A gennaio le forze armate israeliane hanno condotto una serie di attacchi in territorio libanese culminati nell’assassinio dell’alto dirigente di Hamas, Salih Aruri, nella periferia sud di Beirut. Nello stesso periodo lo Stato ebraico ha eliminato Wissam Tawil, uno dei comandanti militari di Hezbollah, che si aggiunge agli oltre 160 combattenti caduti dall'inizio delle ostilità. Il “Partito di Dio” in risposta ha preso di mira due basi militari israeliane a dieci e venti chilometri dalla linea di demarcazione con il Libano. La priorità di Hezbollah resta preservare le posizioni acquisite ed evitare l’escalation.

Il Papa palestinese

Ripubblichiamo una riflessione uscita lo scorso 17 maggio 2021, poche ore dopo il riconoscimento da parte del Vaticano dello “Stato di Palestina”. Quando anche Papa Bergoglio fu accusato di antisemitismo.
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