Nel breve articolo Putin, il filosofo nazista e le proteste «tollerate» apparso sul Corriere della Sera il 23 aprile Paolo Valentino commenta la notizia relativa alle proteste studentesche “di fronte alla decisione del Rettorato di intitolare a lui (Ivan Il’in, ndr) la nuova Scuola superiore di Politica, nominando come direttore un’altra figura controversa, il pensatore ultranazionalista Alexander Dugin”, affermando che “Putin concede che ogni tanto il sistema abbia una valvola di sfogo, ovvero non gli importa nulla di contraddirsi, accusando gli ucraini di essere tutti fascisti e intanto trovando ispirazione in un filosofo nazista. Sono i comportamenti tipici degli Zar, la cui fine però iniziò proprio nelle Università”.
Al di là del fatto che in Occidente si parla di Zar nel caso di qualsiasi presidente russo (anche El’cin a livello giornalistico era definito in questo modo), che non si capisce molto perché la fine degli Zar inizia proprio nelle università (forse in questo modo si intende affermare la banale ed errata sinonimia tra “zar” e “dittatore” a cui si opporrebbero tutti gli studenti in quanto tali) e che, infine, i termini nazismo e fascismo sono trattati come interscambiabili al fine di esacerbare la contraddizione di descritta, il commento di Valentino tocca tematiche molto profonde caratterizzanti la Russia postsovietica che meritano di essere trattate in maniera più accurata, andando oltre la mera finalità polemica.
Ivan Aleksandrovič Il’in può essere definito un filosofo nazionalista. Da qui anche il successivo apprezzamento del nazismo soprattutto in funzione antisovietica. Insistendo però sul “nazismo” al fine di polemizzare per paradosso non si fa che confermare l’approccio storiografico sovietico post-’45 che definiva “nazisti” un po’ tutti. Il fatto che una certa destra vada bene e che sia stata coniugata sia con gli ideali socialisti sia con quelli imperiali esprime la contraddizione tipica del cosiddetto rossobrunismo che ha caratterizzato il processo politico russo degli anni Novanta e non solo: qualsiasi estremismo era sincreticamente accettato in senso antiliberale e anti-El’cin (si pensi ai nazbol, i nazionalbolscevichi a cui appartenevano sia Limonov sia, non è un caso, Dugin). Tuttora questa tendenza è sfruttata come instrumentum regni: nella stessa giornata in Russia è possibile udire l’elogio dell’Unione Sovietica e la propaganda ortodossa antiborto. In questo modo negli anni si è cercato di creare un’autocoscienza nazionale consapevole e orgogliosa di tutto quello che la Russia è stata nel corso dei secoli: dall’impero, passando per l’URSS, fino alla nuova Federazione Russia.
A San Pietroburgo a Krestovskij Ostrov sono state issate le tre bandiere simbolo delle entità statuali appena elencate. Se da un lato tale pratica politica favorisce unità nazionale e coesione sociale, dall’altro, però, esprime non poche contraddizioni e miti. Secondo uno dei miti più attuali la Russia sarebbe un Paese conservatore e tradizionalista: tale considerazione spiegherebbe (apparentemente) la scelta di dedicare una Scuola Superiore di Politologia a Il’in. Per quanto riguarda la prima osservazione, non è questa la sede per trattare tale tematica, basti notare che, che piaccia o meno, La Russia per il momento non è un Paese conservatore, essendo uno dei primi Paesi al mondo per numero di aborti e divorzi. L’unico fattore che la renderebbe tale è quello dell’opposizione ai movimenti LGBT e simili, ma ciò, in primo luogo, non è sufficiente e, in secondo luogo, merita un discorso a parte. Si tratta di leggi e restrizioni assai recenti. Quando il dibattito invece verte su tematiche quali l’aborto, l’inconscio generale della società russa (che deve ancora moltissimo all’ateismo di stato sovietico) si manifesta in maniera molto netta, non lasciando adito a doppie misure.
Tornando a Il’in, sicuramente il suo antibolscevismo è apprezzato da tutte le “destre” russe: monarchici, nazionalisti, fascisti e nazisti. Il panorama delle “destre” russe è assai variegato e non ha una trasposizione partitica chiara: i primi sono più orientati in senso antimoderno (Ancien Régime), i secondi sono slavofili e i terzi sostengono l’idea moderna dello Stato-nazione e, pertanto, in virtù della sua multietnicità non apprezzano nemmeno l’impero. I meno ipocriti da questo punto di vista, cioè quelli che sanno bene cosa vogliono o vorrebbero, sono i monarchici. Gli altri si perdono un po’ per strada. I nazionalisti slavofili o sono ortodossi “di ferro” o neopagani (si rifanno agli antichissimi culti slavi pre 988). I fascisti sono per la Grande Russia intesa come Stato-nazione: una contraddizione in termini.
Il’in è un filosofo in passato molto citato da Putin. Dal punto di vista dei governanti una delle teorie più interessanti è quella dei “doveri nei confronti della Patria”. Per il resto la figura di Il’in non può che essere divisiva e, pertanto, nella pratica politica e sociale quotidiana, negata. Nonostante se ne parli pochissimo, internamente in Russia esiste un certo politicamente corretto relativo alle minoranze etniche e religiose che abitano il paese. Dopo la fine dell’ideologia socialista è diventato molto più difficile trovare una base comune per l’unità nazionale e il quieto vivere. Pertanto ogni forma di discriminazione etnica o religiosa è severamente perseguita non solo a livello legislativo, ma anche mediatico. In conclusione si può affermare che la contraddizione evidenziata (in maniera un po’ impropria) da Valentino esiste e caratterizza il Paese da molto tempo, mentre le conclusioni si spiegano con la necessità giornalistica volta alla costante polemica.
P.s.: Storicamente i russi si abbandonano a tale sincretismo ed eclettismo di idee quando si convincono di non essere europei, ma asiatici, confondendo la realtà dell’Europa orientale con quella dell’eurasiatismo (si vedano le opere di Dugin) che non solo chiama erroneamente asiatico ciò che in realtà è europeo (orientale), ma indirettamente mira a negare la componente europea che figura nello stesso termine.