OGGETTO: Sui pieni poteri di Viktor Orbán
DATA: 03 Aprile 2020
La colpa dell’Ungheria non è nello scostamento dallo Stato di diritto, il quale pacificamente può assumere diverse forme di governo, ma nell’abbondanza di asserzioni che contraddicono gli idola propri della cultura politica dominante in Europa da alcuni anni a questa parte.
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Assistiamo in questi giorni duri ad un dibattito politico polarizzato sugli aiuti dell’Unione Europea e sull’opportunità o meno delle misure di contrasto all’epidemia adottate dal governo. In questo dibattito, ha fatto irruzione la notizia che il Premier Ungherese Orbán avrebbe istaurato una dittatura. Al che si sono sollevate le proteste del mondo libero: “nessuno mandi più aiuti all’Ungheria per contrastare l’epidemia!”. “Che siano cacciati dall’Unione.” Si è urlato. Con 137 voti a favore e 53 contrari, il parlamento di Budapest ha approvato una Legge di autorizzazione che conferisce al primo ministro Viktor Orbán pieni poteri per contrastare l’emergenza covid-19, tra cui: la capacità di governare tramite decreti, sospendere le elezioni, cambiare e sospendere la normativa vigente, chiudere il parlamento. Il tutto senza limiti di tempo.

A preoccupare particolarmente, oltre alla mancanza di un termine dei poteri emergenziali, sarebbe anche la previsione del carcere per chiunque diffonda notizie false. Ora, lungi dal voler giudicare delle scelte del Parlamento ungherese, la notizia risulta interessante alla luce delle reazioni che ha suscitato. Si è consumato nuovamente il cerimoniale della colpevolizzazione dei brutti e cattivi illiberali da parte dei lindi e casti guardiani della libertà. Ma le cose non stanno esattamente così. Dando un’occhiata, anche superficiale, alla Legge Fondamentale dell’Ungheria si possono capire molte cose.

La nuova Costituzione ungherese è stata approvata dal Parlamento di Budapest a maggioranza dei deputati di Fidesz – il partito sovranista guidato da Orban il quale tutt’oggi detiene la maggioranza nell’Assemblea – il 19 aprile 2011 ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2012. Molto di recente. Essa ha sostituito la precedente Costituzione del 1949, redatta in regime di occupazione sovietica.  Il testo è suddiviso in tre parti, numerate rispettivamente con lettere, numeri romani e arabi, ed è preceduto da una “Professione Nazionale”. Questa sembra una preghiera dal crisma della giuridicità, del quale si riportano alcuni punti e che vi invitiamo a leggere:

[…] enunciamo quanto segue: Siamo orgogliosi che il nostro re Santo Stefano mille anni fa abbia dotato lo Stato ungherese di stabili fondamenta ed abbia inserito la nostra Patria nell’Europa cristiana.

[…] Siamo orgogliosi che, nel corso dei secoli, il nostro popolo abbia difeso l’Europa combattendo e, con il suo talento e la sua diligenza, abbia contribuito alla crescita del suo patrimonio comune.

Promettiamo di mantenere l’unità intellettuale e spirituale della nostra nazione lacerata dalle tempeste del secolo scorso.

[…] Ci impegniamo per la cura e la protezione del nostro patrimonio, della nostra lingua unica, della cultura ungherese, delle lingue e delle culture delle minoranze nazionali in Ungheria, dei tesori della natura e quelli frutto del genio umano nel bacino dei Carpazi.

[…] Dichiariamo che, in seguito ai decenni del XX secolo che hanno portato ad una decadenza morale abbiamo inevitabilmente bisogno di un rinnovamento spirituale e intellettuale.

[…] La Legge Fondamentale è la base del nostro ordinamento giuridico: un patto tra gli ungheresi del passato, del presente e del futuro. Un quadro vivo che esprime la volontà della nazione, la forma secondo la quale vorremmo vivere. […]

Proseguendo nelle parti successive saltano agli occhi numerosi articoli che sanciscono principi familiari per cui “l’Ungheria è uno stato di diritto, indipendente e democratico”. “La fonte del potere pubblico è il popolo”. In quanto Stato di diritto sono garantiti “I diritti inviolabili ed inalienabili dell’uomo” e i diritti di libertà e proprietà propri di ogni Stato borghese, con particolare attenzione alla famiglia e ai minori. Quanto all’organizzazione dello Stato, la costituzione accoglie il principio di separazione dei poteri, prescrive il principio di legalità per gli atti del Governo e istituisce una figura a noi sconosciuta: il Commissario dei diritti fondamentali che ne assicura la protezione. Chiunque può richiedere il suo intervento. Infine, gli articoli finali, tra cui l’art 53, disciplinano lo Stato di eccezione o di emergenza, ovvero il fondamento costituzionale della legislazione d’emergenza imputata.

Ora, per chi leggesse questa costituzione, sarebbe legittimo chiedersi come faccia uno Stato del genere a divenire una dittatura. Seppure in stato di emergenza e con legittimo mandato parlamentare, i poteri assunti dal Premier Orbán senza limiti temporali, fanno dubitare della tenuta democratica del paese in futuro. Ma allo stato attuale delle cose, non può dirsi diversamente di altri paesi europei, compreso il nostro nel quale le libertà costituzionali sono state sospese con DPCM; un atto non avente forza di legge e senza legittimazione parlamentare. Dunque, qual è il motivo di un così caloroso accanimento contro i magiari?

La Legge Fondamentale Ungherese ci illustra un quadro di un Ungheria moderna che rientra senza dubbio nell’archetipo dello Stato di diritto, con la separazione dei poteri e il rispetto dei diritti fondamentali.  Con una ritrovata indipendenza, custodita gelosamente contro ogni attentato alla sua integrità materiale ma anche spirituale. Perché è di tutta evidenza che i magiari riconoscono e custodiscono le loro radici etno-culturali e i valori ereditati dalla tradizione. In quest’ottica, la colpa dell’Ungheria di Orbán non è nello scostamento dallo Stato di diritto, il quale pacificamente può assumere diverse forme di governo, ma nell’abbondanza di asserzioni che contraddicono gli idola propri della cultura politica dominante in Europa da alcuni anni a questa parte.

Come sostiene Teodoro Klitsche de la Grange,

“l’elemento probabilmente più interessante e aperto al futuro (perché consolidato dal passato) è la concezione organica della democrazia che emerge dal documento costituzionale”.

La democrazia liberale è una forma di governo in cui si innestano i principi liberali della rivoluzione borghese. In quanto aggettivo, il liberalismo si sostanzia tramite una forma di governo, e non da sé. Dunque, una democrazia liberale è una democrazia limitata dal principio di separazione dei poteri e dal rispetto dei diritti umani da parte del potere politico.

La democrazia illiberale ungherese è centrata sulla sovranità popolare e la difesa dell’identità etno-culturale. In quanto tale, sembra propendere, a discapito della tutela di alcuni diritti umani, per la salvaguardia dei suoi elementi fondanti. Nel tentativo di difendere gli elementi fondanti e delimitanti della comunità – elementi indispensabili affinché una democrazia sia autocosciente e quindi esistente – la democrazia ungherese è in assoluto contrasto con il modello di governance spoliticizzato e di democrazia depotenziata, privata della sovranità, del senso del limite e dell’identità, vigente nella maggioranza degli ordinamenti europei. La colpa della democrazia illiberale di Orbán è quella di non essere strumentale, come molti dei membri UE, al dispiegarsi di quel potere economico transnazionale divenuto potere politico, dal volto pubblico e privato, nel quale si intrecciano le volontà di Stati egemoni, di potenti tecnocrazie internazionali (WTO, FMI, Banca mondiale, MES, UE, BCE…) e di imprese dominatrici di settori strategici, efficacemente definito da Massimo Luciani, l’Antisovrano:

“un quid che in tutto e per tutto si contrappone al sovrano da noi conosciuto: non è un soggetto (ma semmai una pluralità di soggetti, a diversi livelli); non dichiara la propria aspirazione all’assoluta discrezionalità nel esercizio del proprio potere (ma presenta le proprie decisioni come logiche deduzioni da leggi generali oggettive, quali pretendono di essere quelle dell’economia e dello sviluppo); non reclama una legittimazione trascendente (la volontà di Dio o l’uguaglianza degli uomini) ma immanente (gli interessi dell’economia e dello sviluppo, appunto); non pretende di ordinare un gruppo sociale dotato di almeno un minimum d’omogeneità [o di identità] (il popolo di una nazione), ma una pluralità indistinta, anzi la totalità dei gruppi sociali (tutti i popoli di tutto il mondo, o almeno tutti i popoli della parte del mondo che ritiene meritevole di  interesse); non vuole essere l’espressione di una volontà di eguali formata dal basso (sono strutture sostanzialmente formate e organizzate su base timocratica [e ideologica] ).

Tale avversario del sovrano, e quindi del popolo in molti paesi europei, è assolutista; si arroga un potere universale senza legittimazione (democratica); persegue l’obbiettivo della crescita permanente, come un soggetto affetto da un delirio comportamentale di accumulo, senza curarsi delle conseguenze sociali e ambientali. Non si preoccupa della persona umana, ma si adopera affinché la persona umana funga ai suoi scopi.

Dunque, anche se la legge da poco votata in Ungheria rappresentasse una centralizzazione illiberale del potere, una deriva autoritaria, qui preme mettere in luce, non già l’opportunità o meno di una siffatta scelta, del quale, a detta dello scrivente, per evitare fastidiose ipocrisie, non dovrebbe che esser giudice il popolo ungherese; ma piuttosto l’opportunità o meno delle reazioni avvenute nella comunità cui apparteniamo, e il loro scopo. Gli accusatori di Orbán sono gli stessi suonatori della cantilena progressista che in queste ore parlano di dare in “pegno Palazzo Chigi, i porti e gli aeroporti”; sono gli stessi che propendono per l’adesione al MES, sottraendosi alla solidarietà nell’Unione, un valore fondante che pervade tutti i trattati, per far da sponda infine, consapevolmente o meno, proprio all’Antisovrano.

Leggere Carl Schmitt, prego!

Ragionando con Schmitt, se il liberalismo è, non un modo di costituire il potere, ma una via per limitarlo, paradossalmente l’illiberale Orbán, a prescindere dall’epidemia odierna che gli ha permesso di assumere i pieni poteri, nel cammino di accentramento del potere che ha intrapreso dal momento della sua elezione, si erge paradossalmente più liberale dei progressisti, in quanto proprio il suo governo, per la tutela della sovranità e dell’identità nazionale fondanti la costituzione, è in contrasto con il potere politico dominante che non è più quello dello Stato, ma quello dell’Antisovrano.

Dunque, la retorica antitetica a Orbán, la stessa che plaude all’Unione Europea incondizionatamente, ci sembra in realtà la povera ancella dell’Antisovrano. Con abilità, essa insieme ai suoi suonatori ha saputo riciclarsi dopo la caduta del muro di Berlino e delle ideologie, innalzando la bandiera del progressismo e dei diritti umani, costruendo con la globalizzazione un dominio culturale che ad oggi non è altro che lo stesso slogan di sempre, usato per squalificare dal confronto il diverso; un tranello del discorso, volto a qualificare il dissenso come un nemico della libertà, contro cui scagliarsi per sopravvivere. D’altronde costruire una sintesi politica sull’antitesi a ogni forma di diversità dal dogma, sembra difficile. Il pensiero antitetico non sopravvive senza nemico. Questa ancella, con i suoi suonatori, si mantiene così in vita perché non contrastando con il vero potere opprimente le libertà, l’Antisovrano, alimenta sé stessa con il suo moto squalificante contro chi si oppone a esso.

Perciò, ad una più attenta analisi, diremo che vi è sì una crisi della democrazia, che è crisi della rappresentanza e della legalità; ma non per fatto di Orbán, e non solo in Ungheria. Ma bensì a causa dell’Antisovrano e della sua ancella progressista, abile ingannatrice. L’esautoramento sempre maggiore degli spazi democratici e dei parlamenti nazionali a favore dei governi è il correlato necessario e complementare al disordine e alle distorsioni, dagli effetti talvolta devastanti, generati dall’Antisovrano e da chi lo avvalora con la retorica squalificante il dissenso. Non c’è nessun complotto o tradimento o malvagità. È la riforma costituzionale della globalizzazione. Questo disordine per esser governato, per i disastri economico-sociali che crea, necessita sempre più dello stato di emergenza e della riduzione degli spazi democratici. Basti pensare, giusto per nominare fatti recenti, al dibattito sul presidenzialismo; alla tentata abolizione del Senato; alla assoluta centralità dell’esecutivo nel processo di produzione normativa e di decisione politica; alla proposta di un “sindaco d’Italia”, ovvero l’elezione diretta Presidente del Consiglio; alla riduzione dei parlamentari in Italia, sbandierata come lotta contro la casta, mentre non è altro che riduzione del dibattito parlamentare; fino ai DPCM del Presidente Conte. Ma nessuna censura è stata mai sollevata in questi casi dall’Unione Europea, da un’organizzazione internazionale, o dai paladini del giusto. Noi non siamo fuori da questa tendenza accentratrice perché l’instabilità è complementare alla globalizzazione. Quindi, se oggi dovessimo prendere una posizione sul dibattito politico, dal MES alla dittatura in Ungheria, contro la retorica antitetica ancillare all’Antisovrano, che colpevolizza e squalifica chiunque si permetta di pensarla “diversamente”, come soldati di una contro-rivoluzione e fuori dalle logiche aritmetiche inconcludenti, riproporremmo queste poche parole di Unger Khan:

“Contro [la rivoluzione del mercato] che vuole trasformare il genere umano in una massa indistinta restituiremo a ciascuno la propria personalità. Un buriato non sarà mai un calmucco, né un bianco un giallo. Però possono combattere fianco a fianco, proprio per affermare la differenza necessaria tra i popoli e tra gli uomini, questo è il senso della mia lotta: la rivincita dell’individuo. Odio l’uguaglianza. È la menzogna dei profeti. Non vi è un solo popolo che assomigli a un altro popolo. Un solo uomo che assomigli ad un altro uomo. Gli stranieri mi piacciono proprio perché sono stranieri.”

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