OGGETTO: Stenio, compagno di solitudine
DATA: 31 Ottobre 2020
SEZIONE: inEvidenza
L'Atlante ideologico sentimentale è un manuale su come stare al mondo. È il libro di un uomo che sa, come qualcuno ha scritto da qualche parte, che «più che di libertà, c’è bisogno di uomini liberi».
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Sulle pareti del monolocale in cui abitava nei primi anni Ottanta erano appesi un poster di Marilyn Monroe, uno di Clark Gable in Via col vento, uno di Che Guevara e un ritratto di L.F. Céline. Un giornalista di Repubblica che era lì per un’intervista commentò: «Siete strani. Che c’entrate con la destra?» «Niente», rispose, «come del resto con la sinistra». Non c’entrava niente e in quel mondo c’è stato a modo suo, oltre che stretto, proiettando in quell’ambiente sogni e speranze, ciò che sperava fosse o potesse diventare; ancora meno avrebbe avuto da spartirsi con l’altra parte, quella con il culto delle masse operaie, delle femministe femminare, delle lotte proletarie. Troppo di destra per quelli di sinistra, troppo di sinistra per quelli di destra, insomma: quel che si dice un uomo libero.

A confondere ancora di più le idee nel 1999 arrivò Compagni di solitudine, pubblicato da Ponte alle Grazie, un libro da giudicare dalla copertina già che proponeva una scelta non casuale: Sonno romano di Fabrizio Clerici. Da una parte un mondo popolato da evolomani, «mostri», vecchi tromboni e giovani vecchi; dall’altro un pantheon di vite affascinanti, avventurieri e scrittori, dandy di sfinita raffinatezza, morti suicidi o fucilati, i migliori cattivi maestri. Non era un esordio letterario e a quel libro ne sarebbero seguiti altri (Percorsi d’acqua, Vagamondo, Da Parigi a Gerusalemme, Il corsaro nero, Henry de Monfreid, Genio ribelle, arte e vita di Wyndham Lewis, solo per citarne alcuni), mancava però una raccolta di articoli di cui siamo ora debitori a GOG edizioni, perché la raccolta è stata pubblicata e si intitola Atlante ideologico sentimentale, 800 folgoranti pagine, una Brigitte Bardot in déshabillé (ma sempre troppo coperta) a cavalcioni su un dirigibile Macon e sullo sfondo una palla arancione. 

Se non fosse prerogativa di «un normanno alto, biondo e stempiato» un altro bel titolo per questo libro sarebbe stato Diario di un delicato. Non per la forma diaristica, ma per gli appunti su eleganti predilezioni, su quali libri leggere, quali film vedere, quali storie vale la pena conoscere purché qualcuno le sappia raccontare e questo chiarisce la più banale e difficile regola: che per leggere cose belle è necessario che qualcuno le scriva e che qualcun altro le pubblichi. Solinas non è un giornalista, è uno scrittore di articoli. Nel viscoso pertugio che è diventato il giornalismo non è mai entrato, appartiene a quella categoria che ha dato a questo Paese articoli che hanno fatto letteratura più della letteratura stessa, che hanno formato il pensiero critico e il gusto estetico, che hanno affinato la mente e il palato prima che la desolante piattezza prendesse il sopravvento su tutto e su tutti. «Il giornalismo italiano non gode di buona stampa, un gioco di parole e insieme un dato di fatto. Vale però la pena di ricordare che nel secolo appena trascorso fu esso a vivificare la letteratura di un Paese la cui “classe dei colti” non aveva commercio con la vita, figuriamoci con i bassifondi e le taverne della vita, chiusa in un circolo autoreferenziale di chiostri, accademie salotti». Giornalista d’altri tempi e quindi di altri giornali, composti da quei fogli su cui trovavano spazio fantasia, libertà e grandi nomi in calce a queste categorie del genio. E d’altri tempi come tutta quella sfilza di nomi che cita e cita ancora e alla quale andrebbe aggiunto il suo.

Il libro non ha un cuore pulsante vero e proprio o quanto meno non ne ha uno soltanto, perché se è vero che ogni capitolo fa conto a sé, lo è altrettanto il filo che unisce la prima pagina all’ultima e tutte tra loro. Ottocento pagine precedute da un libretto di istruzioni che suggerisce di leggere il libro nel modo in cui meglio si crede: ­«Ci si può affidare all’estro di chi lo ha messo insieme, fidandosi della sua rotta interiore, e dalla prima all’ultima pagina percorrerla con lui» o si può procedere per ordine sparso, a ritroso o fermando il dito mentre scorre su nomi noti o sconosciuti, come nel Filo del rasoio di William Somerset Maugham, in cui l’autore suggerisce di saltare un intero capitolo. In quel caso si disse che uno scrittore come Maugham poteva permetterselo, qui si dice un’altra cosa: provate a saltare qualche pagina dell’Atlante senza essere dilaniati dal dubbio di quello che vi state perdendo.

Un capitolo dedicato all’Italia, con Capri, gli Agnelli, Roma, storie e immagini di tempi perduti nella memoria e adesso restituitici; uno a quell’educazione intellettuale chiamata Francia, ai suoi autori, scrittori e artisti, alla Rive gauche; a donne ammalianti e fatali come sirene: Jane Birkin, BB, Coco, Kate Moss, i bordelli; a uomini unici e a vite irripetibili, da Limonov al principe Lanza di Trabia, da Fitzgerlad a Kubrick e molti altri; uno dedicato ad orientalismi e snobismi: dandy, maharajah e cocktail.

I gusti di un intenditore che non condivide niente con nessuno e, c’è da giurarci, mai lo vorrebbe perché il contrario di Stenio Solinas è la parola “dozzinale”, le predilezioni di un flâneur che era europeo ben prima che l’Erasmus fosse, la personale geografia di un dandy che ricerca una bellezza ormai in esilio, un periplo di luoghi come patrie dell’anima, uomini come compagni di viaggio in tempi mai vissuti, donne come muse mai sfiorate fanno dell’Atlante ideologico sentimentale un manuale su come stare al mondo. È il libro di un uomo che sa, come qualcuno ha scritto da qualche parte, che «più che di libertà, c’è bisogno di uomini liberi» quindi più che di qualcuno che dica cosa fare, c’è bisogno di qualcuno che lo faccia: che sia un sogno concreto, un monumento vivente alla bellezza, al coraggio, alla passione, al buon gusto. E poi in Ottocento pagine, quattrocento nomi che formano un Olimpo di splendore e centoventi capitoli non compaiono neanche una volta Andrea Camilleri, Elena Ferrante, Margaret Mazzantini e Corrado Augias ma d’altronde si sa, Solinas non si occupa di culture minori.

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