I governi passano, i Servizi restano. Questa la summa, in definitiva, di uno dei più avvincenti libri di Umberto Eco – Il Cimitero di Praga. Un romanzo tutto incentrato su servizi e complotti e, più precisamente forse, dei complotti inscenati dai Servizi. Trattasi però anche della summa, se vogliamo, di uno dei taciti principi che da sempre regola la nostra Repubblica – e qualcuno direbbe non solo la nostra: un principio che non viene mai codificato, mai insegnato da nessuna parte nel corso del cursus studiorum di una vita e soprattutto mai dimostrabile – come un principio appunto. Pasolinianamente si può arrivare a saperlo senza averne le prove, e tutto ciò che se ne può evincere lo si dovrà solo al rispetto che si deve all’intelligenza, a meno che uno non entri a far parte di certi mondi o sia osservatore particolarmente attento alle dinamiche del proprio Paese e di certe tematiche: il principio che mentre tutto passa sotto il sole della politica, gli apparati di intelligence restano.
“Capitan Simonini, io appartengo a coloro che restano anche quando i governi passano.”
Umberto Eco, Il Cimitero di Praga
Come per la Monarchia, garante di stabilità poiché inamovibile, così gli apparati di Sicurezza di un Paese sono un perno fisso e costante in un mondo in cui tutto cambia, tutto si muove e, soprattutto, si trasforma. I pubblici quanto velleitari “cambi al vertice” dei nostri Sevizi non sono che la riprova di questo: esercizi di pubbliche relazioni ove per non cambiare mai nulla, si cambia tutto – come nella più classiche delle tradizioni gattopardesche – e intanto loro restano sempre lì dove sono. Non è altresì un caso che la storia dei servizi clandestini ebbe il suo più forte sviluppo proprio sotto le grandi monarchie d’Europa – una su tutti quella inglese, sotto Sir Francis Walsingham: spymaster delle Regina Elisabetta e suo consigliere personale, oltre al ben più noto William Cecil e il mago John Dee. Il motto sull’insegna di Sir Francis? See and keep silent – osserva e tienitelo per te. Più che un motto, un manifesto programmatico dell’intelligence di ogni luogo e tempo.
Questo è d’altronde uno dei grandi vulnus della nostra storia nazionale. Tutti traggono ispirazione dall’Italia, da Dan Brown a James Bond, tranne noi che ci viviamo. Basti pensare alla questione dannunziana: in America si farebbero serie TV da 12 stagioni sull’incredibile epopea di un poeta armato che senza colpo ferire prende una città e ne scrive una delle costituzioni più avanguardiste della storia, mentre da noi si continuano a fare sceneggiati incentrati su preti di paese, investigatori di provincia, infermieri e commediole familiari. Il tutto mentre storie come quelle del Vate o del Principe Lanza di Trabia – spia di Ciano, con la missione esplicita di sabotare l’alleanza coi tedeschi, il quale riferirà a Churchill in persona del reale status della debolezza bellica italiana, convincendolo a non cercare appeasement con Hitler il giorno seguente e così facendo cambiando il corso della storia – rimangono ignote. Non a caso siamo parimenti il Paese delle Stragi senza un mandante, se non uno scomodo, spesso sostituito da uno di comodo; siamo il Paese di Gladio di Cossiga e dell’Anello di Andreotti; della P2 di Gelli (l’ingegner Luciani, per chi ha orecchie per intendere…) e dei servizi deviati (anche se non si capisce mai esattamente bene deviati rispetto a cosa); degli incidenti, degli aerei sospetti e dei caffè un po’ troppo corretti. Tutta roba che farebbe la felicità degli studios di Hollywood per decenni e di cui da noi, a parte un paio di recenti eccezioni, non se ne fa niente.
E forse non se ne fa niente, rinunciando a milioni, per un motivo ben preciso, anche perché a volte è bene non parlarne. Anche perché quel potere, con i suoi sopravvissuti, nonché depositari, fra mille trasformismi e cambi di professione, sono ancora qui. Sono ancora fra noi. E forse si stanno anche giocando la loro ultima partita. Se dopo la caduta del Muro sono stati loro a governare il caos, ora devono garantire la sopravvivenza. O perlomeno il passaggio di consegne con minor danno possibile finché sono in vita. C’è un sottobosco intero fra i Palazzi del potere che si è reso conto che col mondo che verrà, col mondo innestato dai fenomeni della post-democrazia e del Grande Reset, non possono rischiare di restare col proverbiale cerino in mano.
Proveremo a scriverla noi questa storia, con aneddoti, intrecci e ritratti incredibili. Una storia reale, che parla di noi, del nostro Paese e delle sue Istituzioni. Una storia il cui filo conduttore parte nel cuore di un conflitto mondiale non ancora conclusosi e arriva dritto ai giorni nostri. Persino ai nostri giorni recentissimi, ove anche con una candidatura al Colle più alto d’Italia, forse, può diventare un messaggio chiarissimo. Può significare qualcosa. La parola fine a una serie di screzi e di intrecci che, passando dal 1992, con la fine del Settennato spartiacque fra Seconda e Terza Repubblica, ha regolamentato tacitamente il quieto vivere di un’intera classe politica che ora teme per la sua stessa sopravvivenza. Perché, come disse il pentito di Mafia a un magistrato che stava arrivando troppo vicino a talune ‘menti raffinatissime’: “In Italia, dottore, tutto si tiene, tutto si tocca, tutto si collega”. Questo è quello che tenteremo di fare noi allora. Unire i puntini. Partendo dalle origini della nostra spy-story tutta italiana: 9 Luglio 1943. Operazione Husky. Lo sbarco in Sicilia.