Intervista

«Spie. Ombre in sostanza, che compiono dei movimenti simili ad una danza». Le rivelazioni di Guido Olimpio

Nel suo ultimo libro "La danza delle ombre" (La Nave di Teseo) il giornalista investigativo del Corriere della Sera raccontata il mondo dell'intelligence dal punto di vista delle spie.
«Spie. Ombre in sostanza, che compiono dei movimenti simili ad una danza». Le rivelazioni di Guido Olimpio
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Agenti segreti frustrati, funzionari logorati dai debiti, medici dalla feconda e clandestina vita sentimentale, traditori col complesso di Napoleone, faccendieri sull’orlo del fallimento, impiegati che hanno letto troppi romanzi di John Le Carrè, ma anche coppie ambiziose e mediocri che cercano un riscatto sociale a cui non sono pronte, oppure finanzieri distratti incastrati per un errore o una indiscrezione. Possono essere tutti questi i volti e i profili di chi sceglie di diventare una spia, un agente segreto, un traditore, per entrare in un regno fatto di inganni e informazioni, di segreti e di fantasmi: il mondo delle ombre. Le ombre sono entità spesso sfuggenti ed evanescenti. Sono Professionisti addestrati, allenati duramente nel fisico e nella mente, consci dei rischi che devono affrontare e preparati a viverli, poiché sono diventati delle spie per “una scelta netta”, per denaro, per inseguire un sogno ideologico, per un forte senso di superiorità oppure per necessità o anche per sopravvivenza. Però possono essere anche uomini “comuni”, che sono stati costretti a superare il valico che separa il mondo civile dalla terra di mezzo delle ombre. Sono esistenze mimetizzate, volti comuni, facce normali con cui si condivide una corsa in taxi o un dettaglio insignificante chiesto con pazienza, sono il passante o il curioso che si incontra sul ciglio di una strada e a cui non si dà troppo peso e che invece cela dietro un’apparenza anonima e impermeabile la maschera fumosa e lagunare di un uomo qualunque dal mestiere eccezionale, quello della spia. Le storie del mondo dello spionaggio sono quindi storie di fantasmi, di misteri, di miraggi, di presenze che infestano come spiriti materiali la vita di tutti i giorni e ne sono i taciturni guardiani, i disincantati testimoni, i silenziosi e spietati aguzzini. Lari domestici di un potere e di una società che infestano come una casa stregata a cui ricordano ogni volta con il loro operato la propria origine torbida ed oscura.

La danza delle ombre di Guido Olimpio

Sono quindi storie macabre, ma vere, anomale ma non soprannaturali quelle che racconta Guido Olimpio nel suo ultimo La danza delle Ombre (La nave di Teseo). Un testo in cui l’autore ha convogliato la sua profonda esperienza di giornalista investigativo, esperto di terrorismo ed intelligence, per costruire un ritratto schietto e affilato non dello spionaggio o dell’attività di intelligence, bensì di chi si occupa di tale arte, mostrando chi sono veramente le spie e cosa può trasformare un viandante qualsiasi in un’ombra. L’opera di Olimpio si presenta come una galleria di ritratti, di misfatti e di illusioni su chi ha dedicato la propria vita allo spionaggio, raccontando casi irrisolti, misteri internazionali, intrighi tra superpotenze che si annidano nei dettagli più insignificanti della quotidianità più grigia. Destini perduti che vengono raccontati dall’editorialista del Corriere della sera, in un testo dal ritmo della Spy story e il rigore del giornalismo investigativo, che riesce a mostrare cosa voglia veramente dire il mestiere della spia e quale sia la natura più autentica dello spionaggio, ovvero quella di un gioco crudele e serissimo fatto di mosse, di danze, di sortilegi di cui Olimpio svela le regole più profonde:

 «È una sfida con tre regole. La prima: tutto è il contrario di tutto. La seconda: ciò che appare non è sempre la realtà. La terza: non esistono regole».

Per meglio comprendere i segreti che si annidano dietro a questo testo sul potere e sui suoi custodi abbiamo intervistato Guido Olimpio.

Dottor Olimpio perchè La danza delle ombre?

Il titolo si riferisce al mondo e al gioco dello spionaggio. I protagonisti di queste storie sono “ombre”, perché si tratta di figure che seppur esistono sono impalpabili, impegnati in una danza fatta di inganni, di passi falsi, di movimenti nascosti e ambigui che li rendono inafferrabili e opachi. Si tratta di un gioco, di una attività clandestina, dove le spie, alla ricerca di segreti, cercano di confondere l’avversario, di non dare punti di riferimento, di sembrare invisibili tramite stratagemmi e inganni, apparendo come figure evanescenti, opache per proteggere se stessi e le informazioni che custodiscono, ombre in sostanza, che attraverso delle strategie e delle “mosse” compiono dei movimenti simili ad una “danza”, ad una sfida.

Come nasce in lei la volontà di raccontare le storia di questo mondo fatto di  «spie, agenti e molti segreti»?

C’era da tempo in me l’idea di raccontare il mondo dello spionaggio, dato che soprattutto in questo periodo l’intelligence ha  sempre di più un ruolo maggiore nelle società occidentali, sia nella lotta al terrorismo sia nelle dinamiche tra superpotenze. Su questi temi avevo molto materiale ed ho deciso di fare questo libro, però scrivendo non un testo sullo spionaggio bensì sulle spie, soffermandomi sulla loro vita e sull’aspetto umano di questa professione. I personaggi e i profili che racconto in questo testo sono tra loro molto diversi ed ognuno di loro è diventato una spia per motivi differenti e molto complessi. In queste storie la personalità e l’elemento umano giocano un ruolo centrale, perché definiscono le scelte che portano l’individuo a diventare una spia. Si può diventare, infatti, una spia per denaro, per ambizione, per ricatto, per egocentrismo, per motivi ideologici, ma anche per odio o rancore. Le spie non sono tutte uguali e l’elemento umano e personale è fondamentale per capire come essi si muovono ed agiscono in questo mondo fatto di ombre. 

Quale è il profilo della spia e quali sono i personaggi che racconta in questa galleria di ritratti?

Esistono tante tipologie di spie, perché si può fare attività di intelligence per tante e differenti ragioni. Ci sono due tipologie principali in questo contesto: chi lavora per il proprio paese, gli agenti segreti, e chi lavora per un paese avversario rispetto a quello di appartenenza. Nella guerra fredda, ad esempio, questa distinzione era dovuta soprattutto a divergenze ideologiche. Si poteva tradire un paese occidentale per una vicinanza politica al blocco orientale oppure casi in cui avviene il contrario. Però tra queste vicende ci sono anche casi di persone che vivevano secondo degli standard superiori alle proprie possibilità e quindi diventavano spie per avere maggiore denaro, oppure per necessità, in quanto sono divorate dai debiti o ricattati per la loro ambigua vita personale. Alcuni dei personaggi del mio libro invece lo sono diventati per vendicare un torto, vero o presunto, nei confronti del proprio paese. Oppure perché erano dei soggetti che, per frustrazione o voglia di riscatto, decisero di passare informazione agli avversari. In sostanza possono essere molte e diversissime le componenti che portano un individuo a collaborare col mondo dell’intelligence, per questo è complesso e difficile capire chi sono le spie, poiché chiunque può essere una spia. Molte volte sono persone normali, inserite nel tessuto sociale e produttive del nostro paese, con una vita integrata e posizioni influenti o anche comuni nelle istituzioni. Oggi lo spionaggio cerca i suoi membri in molti terreni, ma è una condizione che varia a seconda delle situazioni e delle esigenze del periodo. 

-Come è cambiato il mondo dell’intelligence dalla fine della guerra fredda a oggi?

Certamente la tecnologia ha influito moltissimo nei cambiamenti del mondo dello spionaggio. Io non sono un amante del mondo tecnologico, ma è indiscutibile che oggi lo spionaggio in remoto, dato da satelliti e programmi informatici, ha permesso alle superpotenze, soprattutto per paesi con un maggiore primato tecnico come gli Stati Uniti, di acquisire maggiori informazioni senza dover fare correre ai propri agenti elevati rischi, come invece accadeva in passato. Attualmente gli spostamenti sono molto più facili e non più così rischiosi come durante la guerra fredda ad esempio, però allo stesso tempo i social, le scansioni facciali e l’onnipresenza delle telecamere rendono molto più complessa, per spie, la loro attività investigativa a causa dell’elevata tracciabilità a cui sono soggette, come racconto nell’ultimo capitolo del libro Vite difficili. La tecnologia può agevolare come complicare il lavoro della spia, ma solo il fattore umano trasforma i dati in informazioni, dandogli un senso, poiché trasforma a volte pietre grezze in pepite d’oro e per questo il fattore umano resta la componente fondamentale dello spionaggio. 

Quale storia raccontata nel libro la ha colpita di più?

Sicuramente il primo capitolo, ovvero Il caso Nut, perché in questa storia c’è la sintesi del significato de La danza delle ombre. È la storia di un agente di valore, un importante funzionario, che dopo operazioni all’estero di notevole spessore muore in circostanze sospette. Un caso antico e irrisolto in cui la sua storia si intreccia con i numerosi giri ed intrighi che caratterizzano la danza del mondo delle ombre. Il protagonista ritrovato misteriosamente morto, infatti, prima viene considerato un suicida che si è tolto la vita per motivi sentimentali, poi le indagini sul suo passato e sulle vicende che aveva vissuto aprono altre piste sulla fine di questo militare: il coinvolgimento dei servizi segreti di un altro paese avversario nella sua uccisione, l’esecuzione fatta da un traditore, probabilmente scoperto dalla vittima, un delitto passionale compiuto da una donna libanese avvenente con cui forse c’è stata una relazione. Tutte voci, rimaste al livello della chiacchiera, ma che ci danno l’idea di un mondo di ombre, di inganni, di chiaroscuri in cui tutto è l’opposto di se stesso e nulla è nitido e definito.

Secondo lei quali sono i grandi falsi miti sul mondo dello spionaggio?

Gli agenti segreti ad esempio non possono essere tutti ascritti alla maschera di James Bond. Certamente esistono alcune spie che possono essere ricondotte all’attività cinetica, fatta di esecuzioni, scontri dinamici e inseguimenti, tipici dei romanzi di spionaggio, ma questa figura, che rappresenta una componente molto dinamica degli agenti segreti, è limitata e minoritaria, in quanto la maggior parte del lavoro di intelligence è fatto di ricerca di informazioni, di una fase investigativa fatta di pazienza e perseveranza, molto simile al giornalismo investigativo. Spesso la vita di un agente segreto può essere anche molto “banale”, fatta di piccoli passi, di ricerca, di dettagli. È un lavoro di indagine, “di scarpe”, uno sforzo quotidiano, senza colpi di scena fatto di molte fonti e tanto lavoro, di noia, di dettagli, di molta pazienza. In cui la fretta può essere un nemico dell’attività di intelligence. 

-Può spiegarsi meglio?

Per esempio c’è il caso di un attentato accaduto a Kos, in una base della Cia in Afghanistan, che venne fatta saltare in aria da un informatore che, secondo gli americani, poteva fornire delle informazioni cruciali su Anwar Al-Awlaki, all’epoca non ancora leader di Al-Qaeda, e che invece causerà alcuni morti facendosi esplodere nella base. In questo caso per raggiungere il loro obiettivo i militari si fidano eccessivamente della loro fonte, un giordano, e lo ricevono nella loro base peccando di eccessiva fretta, in quanto l’informatore poco dopo si rivela essere un attentatore e il loro incontro una trappola. I servizi segreti giordani, infatti, commentando l’accaduto diranno:  «voi avete sempre fretta». Una frase che mi ha molto colpito poiché nel lavoro di intelligence se si ha eccessiva fretta e fiducia si possono correre dei rischi pesantissimi e si finisce per rimanere “intossicati”, come si dice in gergo. Solo il tempo e la pazienza riescono a valutare adeguatamente le fonti senza fare passi falsi. Durante la prima fase della guerra fredda, ad esempio, i vertici dell’intelligence americani non si fidavano delle fonti russe e dei traditori del KGB, per paura che essi fossero delle trappole o dei veicoli di false informazioni per i servizi occidentali. 

-«Figure fondamentali dalla guerra fredda alla crisi ucraina che oggi non possiamo prevedere ma solo immaginare». Che cosa uscirà dal conflitto ucraino e come è cambiato il rapporto tra questi poteri opachi?

È molto difficile capire cosa succederà e cosa scopriremo dopo la fine del conflitto ucraino. C’è però un dato di fatto, ovvero che l’intelligence occidentale è uscita allo scoperto dando informazioni nette e precise per molti mesi senza essere presa sul serio, fino all’ultimo, sull’invasione russa e sulla guerra, un fatto avvenuto anche per contingenze storiche, come una certa sfiducia per l’occidente tipica di quella stagione. Ora quello che più mi incuriosisce è capire che dinamiche ci sono in Russia e cosa ha accelerato l’invasione. Come è stato possibile che i russi abbiano sottovalutato così tanto la resistenza dell’Ucraina? Chi ha dato fonti errate ai russi sul reale stato delle cose nel conflitto con l’Ucraina e come mai e da chi sono stati commessi alcuni errori? Degli interrogativi che troveranno, a mio avviso, una risposto solo tra molti anni.

Il suo libro fa emergere molto il primato del fattore umano, della decisione del singolo rispetto alla vicenda ideologica. Cosa ti colpisce in un caso e nella storia di chi ne fa parte?

Mi piace l’evoluzione del personaggio, la dinamica interiore che muove le azioni e i turbamenti dei protagonisti, quando ci sono dettagli che possono permettere di scavare dentro essi per raccontare le emozioni, le paure e i conflitti interni nelle spie. 

-Quali devono essere le doti di un bravo giornalista investigativo secondo lei?

L’idea principale è che, pur trattando argomenti specifici, deve farsi capire da tutti e permettere a chiunque di comprendere le storie e gli sviluppi che racconta. Non amo troppo la retorica, elementi ridondanti o plateali, ma preferisco la chiarezza, l’essenzialità, la sintesi del fatto.

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