Così scriveva Marquis de Vauban nella proposta di censimento annuale presentata a Luigi XIV: “Non sarebbe di grande soddisfazione per il sovrano conoscere in qualsiasi momento in ogni anno il numero dei sudditi e tutte le risorse la ricchezza e la povertà di ciascuna località […] Non sarebbe utile e necessario per lui avere la possibilità di vedere nel breve spazio di un’ora, lo stato presente e passato del grande regno che governa e conoscere con certezza in che cosa consistano la sua grandezza, la sua ricchezza e la sua forza?”. La necessità di raccolta dei dati è sempre stata fondamentale nell’ottica di un controllo efficiente delle risorse dello Stato e dei suoi cittadini, motivo per il quale il tema dei big data è diventato centrale nel dibattito politico al livello mondiale. Ad oggi esistono algoritmi che grazie al trattamento di grande masse di dati possono costruire “modelli” per predire il comportamento degli utenti e “perseguitarli” con pubblicità personalizzate. Come ha fatto notare Scott Galloway, professore di marketing alla NYU: “Sono in grado di sapere di ciascuno di noi, più di quanto sappiamo su noi stessi”. I nostri dati hanno quindi un valore sociale ed economico elevato, un valore che spesso cediamo in maniera del tutto inconsapevole. Come sentenziava una famosa copertina dell’Economist: “La risorsa più preziosa al mondo non è più il petrolio, sono i dati”. Il volume dei dati prodotti al livello mondiale è in rapida crescita, dai 33 zettabyte del 2018 ai 175 zettabyte previsti nel 2025. Il problema è che una mole consistente di questi sono gestiti dalle Big Tech americane; secondo uno studio della società di consulenza Gartner un numero ristretto di multinazionali dominano il mercato del public cloud.
La quota di Amazon nel segmento Iaas (Infrastructure as a service) è stimata a circa il 51%, seguita da Microsoft con 13%, Alibaba con il 4% (i cui server ospitano il 59% delle aziende quotate cinesi) ed infine Google con il 3%. Secondo le proiezioni della Commissione europea l’economia dei dati del vecchio continente raggiungerà entro il 2025 la cifra di 829 miliardi di euro, contro i 301 miliardi del 2018. Un valore enorme che l’UE si propone di gestire attraverso la creazione di un mercato unico europeo dei dati, nel quale sia quelli personali, che quelli non personali- come i dati commerciali sensibili- saranno messi a disposizione delle imprese europee al fine di aiutarle ad incrementare la propria competitività. Per realizzare un cloud sovrano made in UE, la Commissione- come spiega nel report “Una strategia per i dati”- si pone come obbiettivo l’implemento di infrastrutture tecnologiche strategiche, attualmente considerate insufficienti per potersi dire indipendente dal dominio sino-americano nel settore. Ad esempio la Polizia Federale tedesca conserva le sue riprese video e le immagini sui server di Amazon, la utility francese dell’acqua Veolia Environment, tiene i propri dati nel cloud di Google. Quest’ultima ha fatto cifrare i propri dati dalla società informatica francese Atos prima di darli a Google, aggirando il problema attraverso l’uso della crittografia, lo strumento attualmente più efficace per la protezione dei dati.
La Commissione Europea esprime la propria preoccupazione anche in merito alla legislazione cinese sulla Cyber Sicurezza, in particolar modo in riferimento alla legge sull’Intelligence del 2017, che impone agli enti cinesi, per motivi di sicurezza e interesse pubblico, di garantire al governo l’accesso ai dati privati di aziende e cittadini. Analoga preoccupazione nei confronti del Cloud Act americano. Una sentenza del 16 Luglio del 2020, emessa dalla Corte di Giustizia Europea, ha infatti invalidato il Privacy Shield – un quadro per regolamentare gli scambi transatlantici di dati personali a fini commerciali tra l’UE e USA- in quanto è stata contestata l’asimmetria di tutele sui dati tra la legislazione statunitense e quella europea, infatti le autorità USA- per motivi di sicurezza interna- possono accedere senza limitazioni ai dati personali trasferiti dall’Europa oltreoceano. A tale proposito la Commissione si prefigge lo scopo di arrivare ad un accordo USA-UE che attenui il rischio di conflitto di leggi e stabilisca chiare tutele per i dati dei cittadini e delle imprese europee. Come ha dichiarato il commissario europeo Thierry Breton: “L’era di un’Europa conciliante è agli sgoccioli, il suo soft power, per quanto virtuoso non è più sufficiente”. Dopo le rilevazioni del Giugno 2013 sulle azione di spionaggio dell’NSA nei confronti di cittadini e capi di stato europei, la questione di una sovranità digitale ha iniziato ad avere sempre più peso nell’agenda di Bruxelles. Ma l’Europa non disponeva dell’infrastruttura necessaria per competere con USA e Cina, perciò ha tentato di arginare la loro egemonia, attraverso l’unico potere a sua disposizione: quello normativo. Ed è proprio in questo contesto che è nato il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, emanato nel 2016.
Nella visione della Commissione, l’Europa per potersi definire come attore credibile al livello geopolitico, necessita della creazione di infrastrutture cloud federate. Per realizzare ciò prevede di stanziare 4-6 miliardi nel periodo 2021-2027, cofinanziati dagli Stati membri, settore industriale e dalla Commissione stessa. Nel documento sono anche previsti sovvenzioni per la formazione di personale specializzato nel settore tecnologico, l’obiettivo è quello di dimezzare entro il 2025 l’attuale carenza di 1 milione di specialisti digitali. La Commissione, per concretizzare il tutto, si prefigge lo scopo di promuovere le sinergie tra il lavoro per la creazione di un cloud europeo e quello già portato avanti in autonomia dagli stati membri. Bisogna tener presente che la volontà di creare un cloud sovrano e di implementare i data center sul suolo nazionale, era già presente nell’agenda politica di molti paesi. In Germania Peter Altmaier, ministro dell’economia tedesco, ha più volte espresso la necessità di raggiunger un’autonomia digitale: “La Germania ha diritto alla sovranità tecnologica. I data center dei cloud non dovrebbero essere installati solo negli Stati Uniti ed in Cina, ma anche in Germania, in modo che le aziende europee, che desiderano un’archiviazione sicura dei dati, abbiano questa opzione”. Il progetto di riferimento scelto per la creazione di cloud europeo è quello tedesco denominato Gaia-X. Gaia-X è stato presentato dal ministro Altmaier durante il Digital Meeting di Dortmund del 2019, come un’infrastruttura di dati in rete per l’intera Europa. Secondo il piano tedesco ciò significa che non dovrà essere creata una nuova piattaforma cloud centrale, ma piuttosto una connessione di infrastrutture centrali e decentralizzate esistenti. Una specie di cloud dei cloud, “dell’Europa, per l’Europa”.
La prima nazione che si è candidata a far parte del piano è stata la Francia, di fatto il progetto si è sviluppato sull’asse franco-tedesco, passando progressivamente da una collaborazione bilaterale ad una europea ed infine internazionale. L’entità legale che gestirà la piattaforma è nata dall’accordo tra 22 aziende e organizzazioni (11 francesi e 11 tedesche) che lo scorso settembre hanno firmato i documenti per la creazione di un’organizzazione no profit internazionale di diritto belga: la GAIA-X AISBL (association internationale sans but lucratif). Tra le aziende fondatrici coinvolte nello sviluppo della piattaforma ci sono SAP, Deutsche Telekom, Siemens e Bosch per la Germania e la francese Atos, precedentemente guidata dal sopracitato commissario Thierry Breton. L’associazione fa sapere di aver ricevuto candidature da parte di aziende di tutto il mondo, ma che: “Nell’interesse di garantire un destino europeo al progetto, il Cda dell’associazione sarà composto interamente da società con sede in Europa”. Tra gli aderenti della prima ora sono presenti varie aziende italiane, tra le più importanti: Tim, Enel, Leonardo, Aruba, Confindustria digitale, Engineering, Sogei, Intesa San Paolo, Cefriel. Tuttavia nel “club del cloud” europeo sono entrate anche le Big Tech, come: Amazon, Microsoft, Google, Alibaba, Huawei e la controversa Palantir, definita da Edward Snowden come uno degli strumenti della CIA per spiare il mondo.
In conclusione il piano della Commissione che prevede di mettere insieme i dati industriali, finanziari, logistici, sanitari ed energetici di tutti i paesi europei al fine di “migliorare” la vita della popolazione e la competitività delle aziende europee, sembra aver ridefinito il concetto di governabilità. Parafrasando Foucault potremmo dire che la governabilità è quell’insieme di analisi, calcoli e tattiche che ha nella popolazione il suo bersaglio principale, nell’economia politica la sua forma privilegiata di sapere e nei big data il suo strumento tecnico essenziale.
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