La Storia, quella con la S maiuscola, è sì quella dei personaggi noti e degli avvenimenti epocali. Ma è anche e forse soprattutto quella scritta silenziosamente da Uomini i cui nomi, spesso, restano sconosciuti ai più. È questo, ma solo in parte, il caso di Santo Pelliccia. Un nome e una figura che il cosiddetto “grande pubblico” forse ricorda solo marginalmente ma che chiunque si sia per qualunque motivo accostato alla Folgore e al suo glorioso percorso storico e militare conosce ed apprezza. Pelliccia, scomparso lo scorso 31 agosto all’età di 95 anni, fino a che il fisico glielo ha consentito si è instancabilmente recato a cerimonie, occasioni pubbliche e raduni dei paracadutisti con indosso una accurata riproduzione della divisa coloniale color caki che indossava nel 1942 ad El Alamein.
Se l’era fatta cucire dalla sorella perché voleva, mostrandola, attirare l’attenzione. E sfruttarla per testimoniare e tramandare, in modo originale e arguto, vicende e valori che – giustamente – meritano spazio nella memoria collettiva di tutto il Paese, in particolar modo in tempi come quelli attuali. Tempi in cui occorre più che mai dare un senso, quanto più radicato possibile nel sentire comune, a valori quali amore per l’Italia, perseveranza e coerenza.
“Ero quello che sono e sono sempre rimasto quello che ero” è scritto nella prima pagina di “El Alamein. Sabbia d’intorno, roccia nel cuore”, il volume che Francesco Fagnani, ricercatore e divulgatore storico e attuale vicepresidente dell’Associazione De Historia, ha recentemente pubblicato (dicembre 2019) con le Edizioni Menabo. Un volume in cui, in modo estremamente intenso, si ripercorre la vita e la storia di Santo Pelliccia.
“Poco più che bambino – racconta l’autore nell’introduzione – avevo letto e riletto un libro appartenente a mio padre, I ragazzi della Folgore. La vicenda di quegli uomini, descritti come baluardo isolato nel deserto contro cui si infrangevano torme di nemici dotati di mezzi soverchianti, mi aveva fortemente impressionato”. Anche in seguito a questa forte suggestione infantile, Fagnani resta colpito dalla figura di Pelliccia, paracadutista e reduce di El Alamein, scoperta sui social. “Mi incuriosirono, nelle immagini che lo ritraevano, l’aspetto fiero ed energico ed il fatto – dice ancora Fagnani – che indossasse spesso l’uniforme del 1942”. Poi il contatto, inizialmente telefonico, con Santo Pelliccia. Che alla proposta di un emozionatissimo studioso (a Fagnani, quando ha raccontato l’episodio nel corso della presentazione del suo lavoro tenutasi in Campidoglio a Roma il 17 gennaio, tremava la voce) di dedicare un libro alla sua storia, risponde con “voce cordiale ma autorevole e allo stesso tempo con tono garbato di altri tempi: Sarebbe per me un onore ed un privilegio!”.
A questa prima conversazione ne seguono molte altre, che l’autore registra e trascrive meticolosamente, integrando e completando quanto gli viene raccontato con documenti, note e fotografie tratte da archivi storici e personali.
Ad arricchire il libro, prezioso già solo per l’evocativa e dettagliata testimonianza di Pelliccia, ci sono poi anche appendici, ricostruzioni e cartine, che chiariscono le varie fasi di una delle più celebri battaglie della Seconda Guerra mondiale: quella di El Alamein. Una battaglia lunghissima, in cui gli Italiani della Folgore (ma non solo), pure sconfitti, hanno dimostrato di che pasta erano fatti. E proprio per questo hanno ricevuto anche dai nemici il riconoscimento del loro valore militare. Nelle pagine di Fagnani, che si leggono tutte d’un fiato come se si stesse guardando un duro ma bellissimo film, non c’è però solo il racconto della guerra nel deserto. Il percorso di Pelliccia infatti, dopo il Secondo conflitto mondiale, lo porta a vestire un’altra divisa: quella della Polizia di Stato. Una divisa con la quale il per sempre folgorino “si fece valere – si legge nella quarta di copertina – sia nei momenti più duri della lotta al banditismo, che nei ruoli della nascente Scientifica”.
Particolarmente significativo, infine, il capitolo conclusivo del libro, intitolato “Epilogo”. Si tratta di pagine che descrivono “come Santo immaginava il suo ultimo lancio, argomento intimo e personale. In queste righe – spiega Fagnani – traspare l’uomo su cui il trascorrere degli anni ha lasciato il segno, senza però alterarne la combattività. Santo fa capire che non vuole pesare sulla famiglia, che pure lo adora, rimanendo fieramente indipendente. Il bilancio che traccia della sua intera esistenza è di straordinaria autenticità, che rende la valenza della figura di Pelliccia ancora maggiore”.
Scritto con interesse ed ammirazione ma senza alcuna velleità eccessivamente agiografica, “El Alamein. Sabbia d’intorno, roccia nel cuore”, arricchito dalla prefazione del Generale Rodolfo Sganga (Comandante dell’Accademia Militare e già Comandante della Folgore), è un libro che, comunque la si pensi, merita senza dubbio di essere letto. Perché ci fa vivere dal di dentro l’esperienza di un Uomo e dei suoi commilitoni, il loro percorso di addestramento in una delle specialità allora ed adesso fieramente più amate, il loro incontro brutale con la guerra e la morte, la loro capacità di reagire. E la voglia di raccontare e raccontarsi perché quello che hanno vissuto non sia dimenticato. In questo senso vale, come particolarmente significativa, la frase dello stesso Santo Pelliccia riportata nel retro del volume di Fagnani, secondo cui “la Folgore vive e vivrà per sempre, anche quando di noi non si saprà più nulla. Finché esisteranno i paracadutisti. La sua leggenda si perpetuerà oltre il tempo e oltre gli uomini”.
Vero. Anzi, verissimo. E questo accadrà anche grazie alle testimonianze di coloro che, come Pelliccia, ne hanno tramandato la storia, contribuendo a scriverla e a diffonderla sia presso coloro che la conoscono e ne apprezzano il valore sia, soprattutto, presso le nuove generazioni. Che proprio da quella storia possono trarre insegnamenti universalmente validi di coraggio e patriottismo. Insegnamenti di cui, oggi come mai, c’è estremo bisogno.